A Santa Sabina, contro la parete in
cui si apre il grande portone d’ingresso, su un rocchio di colonna con
scanalature elicoidali, c’è una grossa pietra di basalto nero, tonda e
schiacciata come una forma di parmigiano. Lo storico vi dirà, con freddo
distacco, che quell’affare è soltanto un peso di una antica bilancia romana: ma
se si dovesse dar retta agli storici, più della metà della storia di Roma se ne
andrebbe in fumo e sarebbe un grosso peccato perché è proprio la parte più
bella, quella delle leggende e dei racconti di fantasia. Quindi ascoltiamo la
versione, molto più attraente, che ci dà la tradizione: quella pietra è il “Lapis
Diaboli”, ossia la pietra del Diavolo. Che ci fa, in una chiesa consacrata, un
arnese del Diavolo? C’è una spiegazione anche a questo: San Domenico soleva
pregare in questa chiesa e prosternarsi sulla lapide che copriva la cassa monumentale
nella quale erano conservati i corpi di alcuni martiri. Tanta devozione, narra ancora
la tradizione, dava fastidio al Diavolo che, maligno per natura, prese questa
pietra e la scagliò con tutte le sue forze contro il pio Domenico; ma la mira
del Diavolo non doveva essere buona, visto che la tremenda sassata non colse
Domenico e, invece, fracassò la lapide. Ancora oggi si possono vedere i segni
delle spaccature sulla lastra rotta in più di venti pezzi e ricomposta al
centro della “Schola cantorum”, dove poi furono traslate le ossa dei martiri, e sulla pietra stessa alcuni graffi sembrano proprio lasciati da artigli giganti.
Ma
se ascoltate la versione dello storico, sentirete una spiegazione diversa: le
crepe non sono state provocate dal Diavolo e dalla sua fortissima ma imprecisa
sassata; la colpa è solo di un uomo, di Domenico Fontana, l’architetto favorito
di Sisto V, che nell'eseguire lavori di restauro e trasformazione della chiesa,
tolse i corpi dalla cassa monumentale e, nel far questo, spaccò la lapide e la
buttò via. I frammenti furono ritrovati più tardi e ricomposti sulla parete
della navata di destra. Poi furono di nuovo spostati al centro del coro. Ecco:
basta questo piccolo richiamo alla realtà per rompere l’incantesimo e far
perdere ogni interesse alla storia.
(Italo De Tuddo - I Diavoli del Pantheon e altre curiosità romane)