L'EUR

novembre 11, 2020

 

Per un curioso paradosso, l’immagine della Roma più antica si trova proprio nel quartiere più moderno della capitale. Non che non siano stati creati altri complessi edilizi dopo di quello, anzi, nel dopoguerra Roma è letteralmente esplosa in ogni direzione. L’EUR rimane, però, la più grandiosa realizzazione urbanistica del Novecento, quella ideata con più cura, affidata ad alcuni dei migliori architetti dell’epoca per accogliere l’esposizione del 1942, che doveva celebrare il ventesimo anniversario della “rivoluzione fascista” del 1922. Nei progetti originali doveva chiamarsi “E42”, sigla in cui la lettera “E” stava per esposizione e “42” indicava l’anno della celebrazione, il 1942 appunto.


Hitler aveva assicurato Mussolini che prima di quella data non ci sarebbe stata la guerra e il dittatore italiano si era fidato. Accadde invece che il 1° settembre 1939 il Fuhrer invase la Polonia e fra le tante cose che “saltarono” ci fu anche l’esposizione di Mussolini. Il duce aveva avuto la prima idea della mostra nel 1935. Progettata per il 1942, l’esposizione avrebbe fatto seguito a quella di Parigi del 1937 e di New York del 1939. Con una differenza rispetto alle altre: gli edifici monumentali, espositivi, funzionali, di rappresentanza, avrebbero dovuto avere carattere permanente. Marcello Piacentini, architetto prediletto di Mussolini, nonché progettista capo, riuscì a far accettare una combinazione di stile neoclassico ed elementi moderni. Quindi non padiglioni realizzati con materiali effimeri destinati a durare solo qualche mese, ma robuste costruzioni in cemento armato o pietrame, solidamente rivestite, ideate per diventare un primo insediamento attorno al quale sarebbe sorto via via un nuovo quartiere a sudovest del vecchio centro cittadino, più o meno a metà strada Roma e il mare.

Era un’idea a suo modo geniale, se non altro perché in forte anticipo sui tempi per quanto riguarda concetti come "decentramento e dislocazione sul territorio. Il nuovo quartiere era stato pensato in anni in cui non era nemmeno immaginabile quanto intenso e caotico sarebbe diventato il traffico automobilistico nel dopoguerra. Creare in aperta campagna un polo capace di attrarre uffici e case d’abitazione significava ampliare il concetto di città, strappando Roma all’angustia delle sue stradine seicentesche, liberandola da un affollamento comunque destinato a crescere, proiettando verso l’esterno, “decentrandolo”, il suo centro storico. Il progetto sostanzialmente fallì e non solo per via del conflitto mondiale. Fallì perché lo sviluppo urbanistico negli anni dopo la fine della guerra è stato vorticoso, ha allargato la città in cerchi concentrici, facendola espandere a macchia d’olio e lasciando che il “centro restasse al centro”, con tutte le conseguenze sulla viabilità che i romani ben conoscono. Ma se il progetto è fallito, le tracce di ciò che l’EUR avrebbe potuto essere sono rimaste abbondanti e sempre più evidenti a mano a mano che il passare degli anni le ha trasformate in “storia”. Chi vuole davvero vedere l’EUR, e non soltanto guardarlo, dovrebbe cominciare dal palazzo degli Uffici, il cui ingresso si trova in via Ciro il Grande, il solo edificio a essere completato anche negli arredi e nelle decorazioni prima dello scoppio della guerra.


Sul frontone dell’imponente struttura si legge la scritta “La Terza Roma si dilaterà sopra altri colli lungo le rive del fiume sacro sino alle spiagge del Tirreno”, a conferma delle intenzioni mussoliniane di estendere verso sudovest lo sviluppo urbano.


Di fronte al portico una “fuga” di vasche è decorata da diciotto riquadri di mosaici in bianco e nero. Chiude la prospettiva della “fuga” la statua di un giovane nudo che si appoggia ad un bastone. Non doveva essere una sola statua, ma un gruppo, di cui facevano parte anche una donna e un bambino, dal titolo “Si redimono i campi”.


Si riuscì a portare a destinazione solo la prima, in quanto il treno che trasportava le altre due incappò in un bombardamento aereo e si preferì farlo tornare indietro: oggi le due statue si trovano ancora in Versilia, nel capannone dove sono state scolpite. Sempre all’esterno un’intera parete è coperta da un bassorilievo che rappresenta la storia di Roma attraverso le opere edilizie: dal solco tracciato da Romolo alle realizzazioni di Cesare e dell’Impero; dalla distruzione del Tempio di Gerusalemme all’erezione dell’obelisco in piazza San Pietro; dalla costruzione dell’E42, rappresentato da quello che affettuosamente viene chiamato “Colosseo quadrato”, cioè il Palazzo della Civiltà del Lavoro fino a un Mussolini a cavallo che si erge battagliero sulle staffe.


Davanti al palazzo una statua in bronzo di un giovane atleta con il braccio levato nel saluto “romano” doveva rappresentare il Genio del fascismo. Nel dopoguerra gli vennero applicati dei primitivi guantoni da pugilatore, in modo da giustificarne la posa, e gli fu data una nuova denominazione: Genio dello sport.


Da qui passiamo in viale della Civiltà del Lavoro, chiuso alla fine dalla mole del palazzo della Civiltà Italiana, meglio conosciuto come “palazzo della Civiltà del lavoro” o, come abbiamo detto, “Colosseo quadrato”. Questo cubo, alto 68 metri, abbagliante è diventato l’icona dell’EUR.


Progettato da Giovanni Guerrini, Ernesto Bruno La Padula e Mario Romano, fu costruito a partire dal 1939 e inaugurato nel 1940, ancora incompleto. I lavori, interrotti nel ’43, vennero ripresi nel ’51 e conclusi due anni dopo. È realizzato in cemento armato e rivestito in travertino, ha quattro facciate identiche, ognuna con 54 arcate, lisce, senza un ornamento, un cornicione, un marcapiano; pura geometria, verticalità, volume. Sei file di nove archi ciascuna che rimandano al numero di lettere rispettivamente di “Benito” e “Mussolini”: 216 archi che non vogliono rappresentare altro che il proprio vuoto nel pieno del travertino. Sul frontone di ognuna facciata campeggia la scritta, diventata anch’essa famosa, imitata e parodiata infinite volte: “Un popolo di poeti di artisti di eroi / di santi di pensatori di scienziati / di navigatori di trasmigatori”.


Ai quattro angoli della base quadrata quattro gruppi marmorei rappresentano i Dioscuri, opera di Publio Morbiducci e Alberto Felci,


mentre nel piano terreno 28 statue illustrano metaforicamente arti, mestieri, valori: la musica, l’astronomia, la storia, la fisica, l’artigianato, l’eroismo, il genio militare e via dicendo.
 

Dopo 72 anni di abbandono la maison Fendi ha provveduto al recupero del "Colosseo quadrato" - che per tanto tempo ha fatto da cornice ai film di grandi registi quali Fellini e Antonioni - inaugurando, qualche anno fa, il suo nuovo quartier generale, che riunisce negli 8.400 metri quadri tutte le attività della griffe. A fronteggiarlo, dall’altro lato, un altro importante palazzo simbolo di questo quartiere: il Palazzo “dei Ricevimenti e dei Congressi”, capolavoro di Adalberto Libera.


Anche se realizzato fra alcuni contrasti e con varianti sulle quali l’autore non fu d’accordo, l’edificio, con la sua caratteristica copertura a vela, resta una delle opere più significative del Novecento italiano.


Due ingressi, opposti e simmetrici, consentono di accedere alle diverse parti della struttura. Tutto è felicemente coordinato: le quattordici colonne di granito prive di capitello; le alte vetrate; gli affreschi di Achille Funi, la volumetria interna, di tale grandiosità da poter contenere, si è calcolato, il Pantheon tutto intero, del quale, in chiave moderna, ne richiama l’aspetto.
 

Torniamo sulla via principale del quartiere, la via Cristoforo Colombo. A destra si apre piazzale delle Nazioni Unite. A incorniciare la piazza, due palazzi quasi identici e simmetrici, i loro prospetti formano due ampie esedre ispirate ai Mercati di Traiano.


La piazza avrebbe dovuto fare da quinta scenografica alla Porta Imperiale. Nel 1940 vennero iniziati i due edifici dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, a destra, e dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni, a sinistra, su progetto degli architetti Giovanni Muzio, Mario Paniconi e Giulio Pediconi, conclusi nel dopoguerra. Entrambi i palazzi sono caratterizzati da un rivestimento di lastre di marmo delle Alpi Apuane, presentano un porticato a pilastri e due piani superiori di gallerie e marmo arabescato. Creati con l’idea di ospitare spazi per mostre ed esibizioni sono diventati, in un secondo tempo, le sedi di uffici e abitazioni private. La caratteristica principale dei palazzi su cui si leggono le sigle delle rispettive istituzioni, è la presenza di bassorilievi sulle testate. Sul palazzo dell’INA sono raffigurati “La conquista dei mari” opera di Oddo Aliventi, e “L’impero fascista” di Quirino Ruggeri. Sul palazzo dell’INPS invece “Le repubbliche marinare” di Mirko Basaldella e “Roma contro Cartagine” di Giuseppe Mazzullo.


Soggetti e situazioni diverse ripropongono sempre lo stesso tema. Una figura femminile che domina su tutte le altre, simbolo della forza e dell’unitarietà del regime. Sulla sinistra invece arriviamo a Piazza Guglielmo Marconi, dominata dall’obelisco omonimo realizzato dallo scultore Arturo Dazzi, che la iniziò nel 1939 e allo scoppiare della guerra aveva approntato unicamente i primi due registri della decorazione ad altorilievi in marmo. 


In previsione delle Olimpiadi del 1960, l’opera venne portata a termine, dopo aver corso anche il rischio di essere abbattuta, su proposta del Ministero dei Lavori Pubblici, quando nel 1951 ripresero i lavori del nuovo quartiere. La struttura dell'obelisco è a tronco di piramide ed è formata da calcestruzzo armato rivestito con 92 lastre di marmo di Carrara, su cui sono incisi gli altorilievi, disposti su 4 file, che raffigurano danze, canti, preghiere e animali: una sorta di ringraziamento dell'uomo e della natura per le straordinarie scoperte di Gugliemo Marconi. Stilisticamente, netta è la differenza tra i due registri approntati negli anni '40 ed i restanti, realizzati quindici anni dopo: all'iniziale levigatezza e definizione delle figure si contrappongono volti primitivi, figure esotiche e pose contorte che emergono dalla massa grezza del marmo. 


Nella piazza si trova il Museo delle Civiltà che raccoglie le collezioni dei seguenti musei:

Museo preistorico etnografico “Luigi Pigorini”;

Museo delle arti e tradizioni popolari “Lamberto Loria”;

Museo dell’alto Medioevo “Alessandra Vaccaro”;

Museo d’arte orientale “Giuseppe Tucci”;

Museo italo africano “Ilaria Alpi” (ex Museo Coloniale).


Attraversando il portico che unisce le due sedi museali, Palazzo delle Scienze e Palazzo delle Tradizioni, e percorrendo il lungo Viale della Civiltà Romana, si arriva al Museo della Civiltà Romana, vergognosamente chiuso per lavori di ristrutturazione dal 2014 e di cui non si prevede ancora la riapertura.


Proseguiamo lungo la via Cristoforo Colombo, direzione Laghetto, e poco dopo ci troveremo di fronte al nuovo Centro Congressi “La Nuvola”. La Teca, orientata longitudinalmente, è una struttura in acciaio e doppia facciata in vetro che raccoglie al suo interno la Nuvola, fulcro, tanto dibattuto, del progetto, e punto strategico dell’intera struttura. Realizzata con una nervatura in acciaio è ricoperta da un telo trasparente di fibra di vetro di circa 15 mila metri quadri. All’interno vi sono anche luoghi di ristoro e i vari servizi a supporto all’auditorium.


A questo punto attraversiamo la via Cristoforo Colombo e prendiamo Viale Europa, percorrendola tutta, fino ad arrivare di fronte all’imponente sagoma della Basilica dei Santi Pietro e Paolo. Percorriamo la lunga, ma per fortuna, dolce scalinata al cui culmine sorgono le due statue di San Pietro e San Paolo, poste nel piazzale antistante l’edificio.


È sicuramente uno degli ultimi esempi più convincenti ed appropriati di edilizia sacra. Gli anni del dopoguerra hanno infatti dato a Roma chiese di modestissima concezione, talvolta di imbarazzante bruttezza, quasi che il sacro, dopo tanti secoli di gloria, avesse smarrito le forme con le quali rappresentarsi.


La pianta è quadrata, a croce greca (atipica per l’epoca, nella quale erano sicuramente più frequenti le piante a croce latina); la cupola è gettata in cemento armato, ha un diametro di 32 metri ed è la più grande di Roma, dopo quella di San Pietro.


All'interno, sopra l'altare maggiore, domina l’opera “Cristo nel tappeto di Grazia” di Attilio e Sergio Selva che rappresenta il martirio e la glorificazione degli apostoli Pietro e Paolo;


a sinistra, nella cappella dedicata all'Immacolata Concezione, è presente un mosaico raffigurante la Madonna con il bambino circondata da una corona di angeli. A destra, invece, si trova la cappella di San Francesco ove è collocata una pala in mosaico che presenta il poverello di Assisi insieme ad alcuni santi francescani.


I due edifici simbolo dell’Eur, il “Colosseo quadrato” e la basilica dei Santi Pietro e Paolo, simbolicamente riproducono, per l’E42, la coppia laico-cattolica costituita, per la Roma storica, dal Colosseo e dalla basilica di San Pietro e sono ben visibili da qualsiasi punto del quartiere. 


Insieme all’idea del nuovo quartiere, si pensò anche alla creazione di un’oasi verde da aggiungere ai maestosi viali di pietra. Dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale, però, come abbiamo, sia la costruzione dell’omonimo quartiere (EUR) sia l’idea del parco, elaborata nel frattempo dal rinomato architetto del paesaggio Raffaele de Vico, furono sospese. Solo quando Roma si aggiudicò l’Olimpiade estiva del 1960, il progetto venne ripreso, intervenendo su uno spazio di 160mila mq., metà destinati a parco, l’altra metà a un bacino artificiale di forma allungata, il “Laghetto”. 


Nel 1959 l’allora primo ministro del Giappone regalò a Roma 2500 ciliegi da fiore giapponesi, la maggior parte dei quali furono piantati proprio qui. Per gratitudine verso lo splendido dono, il sentiero che costeggia il Laghetto fu chiamato “Passeggiata del Giappone”.

(Foto da Internet)
Il parco pubblico aprì nel 1962, ma per molti anni rimase un posto non molto invitante. Da un po’ di tempo l’amministrazione comunale e i romani sembrano apprezzare molto il loro Laghetto, specialmente da quando il Parco centrale dell’EUR – questo il suo nome ufficiale – è notevolmente cambiato.


Sulla riva sono stati aperti caffè e ristoranti, si possono affittare pedalò e canoe oppure solcarne le acque con un piccolo battello. Le famiglie, i residenti, le coppie di innamorati vengono a farci picnic, jogging o una pedalata in bicicletta.
 

Oppure si può passeggiare sotto i ciliegi, che da metà marzo, per qualche settimana, immergono il lungolago in una delicata luce rosa, arrivare al ponte Haschi, da cui si possono osservare da molto vicino le cascate davanti al Pala Lottomatica (che riforniscono d’acqua nuova il lago) e godersi un pezzo di natura nel cuore pulsante della città.



(Annette Klingner – 111 luoghi di Roma che devi proprio scoprire)

(Corrado Augias – I segreti di Roma)

(eurspa.it)

You Might Also Like

0 commenti

POST POPOLARI