La chiesa delle frattaje

settembre 22, 2021


Se vi dicessi che a Roma c’è un museo dedicato alle frattaglie, pensereste a un’esposizione che ricostruisce la gloriosa storia del “quinto quarto”, orgoglio della gastronomia romana, magari allestita all’ex Mattatoio di Testaccio. Bene, siete fuori strada. Anzi siete proprio fuori zona e di parecchio. Il luogo in questione si trova in pieno centro, nel rione Trevi, e le frattaglie qui custodite hanno poco a che fare con il culto della cucina romanesca e molto con il culto e basta. Trattasi, in effetti, proprio di un luogo di culto: la chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio. Se il nome vi dice poco, dipende dal fatto che la sua notorietà è offuscata dalla celeberrima dirimpettaia, la diva di Roma, la più fotografata, gettonata, paparazzata e immortalata, lei: la Fontana di Trevi. 


Nonostante la chiesa sia lì da molto prima, quando ancora la fontana era una fontanella, non viene degnata di uno sguardo dalle frotte di turisti che si accorgono di lei solo perché si rende utile: superato il cancello in ferro battuto, i gradini antistanti l’entrata offrono un temporaneo riposo dalla calca e un buon punto di vista sulla fontana.


Il suo anonimato è aggravato dal fatto che è meglio nota con l’appellativo di “chiesa delle frattaglie” anzi delle frattaje, che è diverso, o anche di Canneto, per via delle diciotto colonne ammucchiate sulla sua facciata. Non può e non deve passare inosservata, però, la sua strana prerogativa. Sì perché questa chiesa nasconde un macabro tesoretto: qui sono conservati i precordi, le viscere, le budella, gli intestini, le frattaglie, chiamatele come volete, di ben ventuno pontefici, da Sisto V a Leone XIII. Dal Cinquecento fino alla fine dell’Ottocento, lo sbudellamento papale faceva parte di un rito funebre che precedeva l’imbalsamazione, durante il quale tra balsami profumati e incensi, le viscere venivano asportate in modo da permettere la conservazione del corpo, esposto per giorni a beneficio dei fedeli. Una volta prelevate, le “sacre budella”, come le chiamavano i romani, erano sigillate e portate nella chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio, scelta tra tutte per un motivo esclusivamente logistico: era la più vicina al Quirinale, all'epoca residenza estiva dei papi, e per questo considerata parrocchia pontificia. Due lastre di marmo alla destra e alla sinistra dell’altare alludono ai famigerati praecordia: cuore, stomaco, pancreas, milza, fegato, reni, polmoni e intestini, conservati in uno stretto corridoio, non visitabile, all'interno di urne ermeticamente chiuse.


Certo essere la chiesa custode di reliquie preziose come i precordi papali sulla carta è un privilegio non da poco: si parla della parte più pregiata, quella che per gli antichi era la sede degli affetti più profondi. Ma sulla carta vergata dalle rime del Belli divenne un “museo de corate e de sciorcelli”. Nel sonetto “San Vincenz’e Ssatanassio a Trevi” il poeta non si lascia sfuggire l’occasione di prendere di mira la lugubre usanza:

lì stanno li precòrdichi, Pacchiella/ d’oggni Sommo Ponfescife che mmore/ Che mme burli? Te pare poco onore?/ Drent’una cchiesa er corpo in barzamella, / e ddrent’un’antra li pormoni, er core,/ er fedigo, la mirza e le bbudella!/ Morto un Papa, sparato e sprufumato,/ l’interiori santissimi in vettina / se conzeggneno in mano der curato. / E llui co li su’ bboni fratiscelli / l’alloca in una spesce de cantina / che è un museo de corate e de sciorcelli.

L’esterno barocco della chiesa non ne lascia presagire il macabro segreto, ma proprio la facciata nasconde altre stranezze.

foto Carlo Pezzi
Innanzi tutto, denuncia l’origine della ristrutturazione avvenuta nel Seicento per volere del cardinale Mazzarino, la cui “firma” è leggibile nell'iscrizione e nello stemma sormontato dal cappello cardinalizio e sorretto da una coppia di angioletti con trombe al centro del triplice frontone.


La cosa più strana, però, è che oltre allo stemma di Mazzarino e agli angioletti, ci sono due figure di donna a seno scoperto che sostengono la trabeazione del secondo ordine, proprio sotto lo stemma del cardinale.


A parte il topless delle signore, che certo stride non poco sulla facciata di una chiesa, altro elemento di “disturbo” è l’identità della signora a mezzo busto che fa loro compagnia: non una santa ma, caso unico a Roma, una laica. 

foto Carlo Pezzi
Secondo alcuni si tratterebbe della nipote del cardinale, tale Maria Mancini, moglie del principe Lorenzo Onofrio Colonna e amante di Luigi XIV, mentre per altri sarebbe, molto più probabilmente, sua sorella Ortensia Mancini, usata dallo zio Mazzarino come pedina di una conveniente politica matrimoniale. 
foto Angelo Strapazzon - Sala delle Belle in Palazzo Altieri 
Dopo aver scartata la proposta del re d’Inghilterra e di altri nobili blasonati, la diede in sposa al marchese Armand de la Porte de la Meilleraye, uno degli uomini più ricchi d’Europa, ma anche dei più instabili, tanto che il matrimonio non durò e la bella, affascinante e colta Ortensia fuggi lontano, contando sull’aiuto di ricchi e potenti protettori. Maria o Ortensia, una cosa è certa: non solo non erano sante, ma per giunta non erano il tipo di donna pia e virtuosa che ci si aspetterebbe sulla facciata di una chiesa, perfino di una chiesa così strana dove si venerano frattaje papali.






(Giulia Fiore Coltellacci – I luoghi e le storie più strane di Roma)

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2 commenti

  1. Grazie! Ne sapevo qualcosa da un monaco bulgaro. So che un tempo la chiesa era usata dai bulgari per funzioni religiosi. Ho i libri sulle chiese di Roma- non sono riuscita a vederle tutte nel tempo, quando abitavamo a Roma. Come anche tutte le cose più significative-ero affascinata. Abitavamo alla Giustiniana, dove c'è una targa commemorativa...Tanta storia ovunque.

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    1. la chiesa è ancora utilizzata dai bulgari per le loro funzioni religiose. Io ho abitato per più di venti anni sulla via Trionfale, all'altezza di Ottavia, poco prima che la via sfociasse sulla Cassia in zona Giustiniana :)

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