Er Maritozzo

aprile 15, 2020


Con la panna, come dicono i romani, “è la morte sua”, ma si scelga con cura il luogo dove gustarlo. Se si vuole andare sul sicuro, “il Maritozzaro” di via Ettore Rolli è una leggenda a riguardo. Si trova a due passi dallo storico mercato di Porta Portese, ma attenzione a non confonderlo con gli altri bar del quartiere perché si mimetizza alla perfezione. Paradossalmente è più facile trovarlo a notte fonda, basta far caso alle macchine parcheggiate. Se si avvista un groviglio di auto in sosta selvaggia e un chiacchiericcio diffuso e soddisfatto, è lì.


Da oltre sessant’anni è la casa, anzi il tempio, di questa bomba calorica della tradizione romana che si scopre avere anche un passato decisamente romantico. A lungo infatti è stato il dono benaugurale che il fidanzato faceva alla promessa sposa il prima di venerdì di marzo, che corrispondeva all'odierno San Valentino. Scriveva Giggi Zanazzo nel suo Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma, che “sto maritòzzo era trenta o quaranta vorte ppiù ggranne de quelli che sse magneno adèsso; e dde sopre era tutto guarnito de zucchero a ricami”. Aggiungeva, inoltre, che “in der mezzo, presempio, c’ereno du’ cori intrecciati, o ddù mane che sse strignéveno: oppuramente un core trapassato da una frezza, eccetra, eccetra; come quelle che stanno su le lettere che sse scriveno l’innamorati”. E alla fanciulla andava ancora meglio quando dentro “ce se metteveno insinenta un anello, o quarch’antro oggetto d’oro”. Detto questo si capisce subito l’origine del nome, deformazione “burlesca” di marito, cui contribuì anche la forma vagamente fallica sottolineata, neanche a dirlo, da Gioacchino Belli nel celebre sonetto Er padre de li santi. Che “santo”, poi, fu anche il maritozzo, altrimenti detto “quaresimale”, perché unico peccato di gola concesso durante il lungo e severo digiuno in vista della celebrazione della Pasqua. Veniva però preparato in modo leggermente diverso: era più piccolo, di colore più scuro per via della cottura più lunga e con l’impasto arricchito di uvetta, pinoli e candidi. Circolava, all'epoca, una strofetta: “er primo è pe’ li presciolosi; er siconno pe’ li sposi; er terzo pe’ l’innamorati; er quarto pe’ li disperati”. Oggi, ormai, è un classico dolce da caffetteria, semplice o ripieno di crema o deliziosa panna montata che si presterebbe anche benissimo a ospitare, perché no, una romantica sorpresa…



(Gabriella Serio – Curiosità e segreti di Roma)

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