L'orologio del Monte di Pietà

dicembre 23, 2021

È davvero molto lunga la storia del palazzo del Monte di Pietà che affaccia sulla piazza omonima, nel cuore del rione Regola. Il palazzo fu costruito nel 1588, come nobile residenza di un cardinale, Prospero Santacroce. Soltanto quindici anni più tardi, nel 1603, dopo la morte del cardinale, divenne la sede del Monte dei Pegni – originariamente in via dei Coronari – fondato nel 1527 da un padre minorita, Giovanni da Calvi. Per destinarlo alla nuova funzione, ideata da un gruppo di nobili romani papalini per combattere la piaga dell’usura, furono necessari lavori di ampliamento del palazzo Santacroce, affidati ai più geniali architetti dell’epoca: Carlo Maderno e Francesco Borromini. L’edificio fu ampliato e diviso in due parti, una destinata a conservare il denaro e l’altra per i pegni, che da quel periodo in poi i romani in difficoltà economica andavano a “piazzare al monte”. Nella facciata un’elegante edicola sacra con l’immagine di Gesù nel sepolcro e una bella fontana del Maderno, commissionata da Paolo V. 


Tra i numerosi abbellimenti e ornamenti del palazzo, si provvide nel Settecento anche a dotarlo di un grande orologio – tra i più grandi di quelli pubblici a Roma- posto al di sotto del campanile “a vela” sul frontone. A quanto pare però, quest’opera monumentale, sin dalla sua installazione, cominciò a mostrare difetti di funzionamento: non era quasi mai sincronizzata con gli altri orologi romani. Una leggenda – probabilmente basata su un fondamento di verità – spiego questo malfunzionamento con l’ira di un orologiaio, colui che si era dedicato alla costruzione del meccanismo, il quale indignato per la somma ricevuta, ben più bassa rispetto a quanto pattuito, aveva deciso di sabotare il congegno, lasciando perfino la firma del suo dispetto in un’iscrizione incisa sull’orologio stesso: “per non esser state a nostre patte/orologio del Monte sempre matte”.


Ovvero, in pratica: "Accordi saldati, orario impazzito". Più verità che leggenda, visto che l’iscrizione pare vi fosse realmente e sia stata cancellata dalle autorità cittadine in tempi relativamente recenti. Resta la singolare circostanza che proprio una comune, quotidiana, questione di soldi finì per condizionare il corretto funzionamento dell’ingranaggio, divenendo emblema – visto che l’orologio anche ai tempi nostri continua a seguire un orario diverso dagli altri  - del palazzo che più di ogni altro a Roma è stato il simbolo del denaro.



(Fabrizio Falconi - Misteri e segreti dei rioni e dei quartieri di Roma)

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