5° ITINERARIO - RIONE IV CAMPO MARZIO (PRIMA PARTE)

aprile 02, 2021

Totale percorso km. 2,7 questa la mappa 

Anche in questo caso l'itinerario sarà diviso in due parti per la vastità delle cose da vedere.
Il nome deriva dall'antico Campus Martius (campo di Marte) e si estende a nord del Campidoglio fra il corso del Tevere e i colli Pincio e Quirinale. È il luogo dove in età repubblicana si praticavano essenzialmente attività militari e sportive. Durante l’impero vi sorsero numerosi edifici pubblici: teatri, stadi per l’atletica, palestre, templi dedicati, oltre al dio Marte, anche a molte altre divinità. Durante il Medio Evo cadde in rovina e divenne una cava inesauribile di marmo e travertino. Quando poi, nel 1570, in questa parte di Roma, tornò nuovamente l’acqua corrente, il rione iniziò a ripopolarsi e ad espandersi nuovamente. 
Questo itinerario inizia da Piazza del Popolo, anche perché entrare dalla porta del Popolo, credo sia uno dei più bei modi di accedere in città. Anticamente questa era la porta Flaminia, dal nome della strada che arrivava fino ai piedi del Campidoglio. Poi il nome del tratto urbano cambiò in via Lata, ai tempi di Augusto, mentre nel Medio Evo, restò Via Lata nel tratto dal Campidoglio all'attuale piazza Colonna, e via Flaminia per il restante tratto, fino a divenire, durante il papato di Paolo II, per l'intero tratto, dalla porta al Campidoglio, via del Corso, dalle corse dei cavalli durante le feste del Carnevale, che il papa, veneziano, stabilitosi in piazza Venezia, volle spostare in questa zona dal Monte Testaccio, dove fino ad allora si erano svolte. La via Flaminia, attualmente, inizia dopo la porta. La facciata esterna della porta fu commissionata da papa Pio IV a Michelangelo, il quale però trasferì l’incarico a Nanni di Baccio Bigio, che la realizzò fra il 1562 e 1565. L’antica porta non si presentava come la vediamo ora. 
Era ad un unico fornice, inquadrato da quattro colonne che provenivano dall'antica basilica di San Pietro. Sopra di esso la grande targa commemorativa e lo stemma papale sorretto da due cornucopie. Ai lati del fornice erano due possenti torri di guardia quadrate, che andavano a sostituire le originali torri a base circolare. Nel 1638 vennero inserite fra le colonne le due statue di San Pietro e di San Paolo, rifiutate dalla Basilica di San Paolo. Nel 1879, per motivi di traffico, fu decisa l’apertura dei due fornici laterali, che comportarono la demolizione delle due torri. La parte interna, invece, è opera di Gian Lorenzo Bernini, che la eseguì nel 1655, su incarico di papa Alessandro VII Chigi, in onore dell’arrivo a Roma della regina Cristina di Svezia, come troviamo scritto sull'attico: “Per un ingresso felice e di buon auspicio nell'anno 1655”, sotto ad un maestoso stemma di famiglia: il monte a sei cime e la stella a otto raggi. Circa l’origine del nome della piazza si hanno diverse opinioni; una ritiene che derivasse dal gran numero di pioppi (“populus”) che dall'Augusteo arrivavano fin qui; mentre più probabilmente il nome è legato alle origini della chiesa.  
Secondo una antica leggenda, nata durante il Medioevo, ai piedi del Pincio si trovava un noce gigantesco, cresciuto, sembra, dove era stato sepolto Nerone, e si diceva che il fantasma dell’imperatore si aggirasse da quelle parti e terrorizzasse la popolazione. Pasquale II, preoccupato della situazione a causa delle continue lamentele che gli pervenivano, ebbe in sogno l’apparizione della Vergine, che gli indicava la soluzione: tagliare il noce, dissotterrare le ceneri e disperderle nel fiume. Così fu fatto e tornò la tranquillità. Al posto del noce fu eretta una piccola cappella costruita con il contributo del popolo romano, e per questo denominata Santa Maria del Popolo. La chiesa fu poi riedificata intorno al 1477 da Sisto IV su disegno di Baccio Pontelli; nei primi anni del XVI secolo iniziarono i lavori per il rifacimento del coro absidato da parte di Donato Bramante e la costruzione della Cappella Chigi su disegno di Raffaello, mentre è del Seicento, per volere di papa Alessandro VII Chigi, l’intervento del Bernini, che darà alla chiesa l’attuale impronta barocca che ancora oggi possiamo ammirare. 
L’interno è a tre navate con quattro cappelle per lato. Degna di nota è, senz'altro, la suddetta Cappella Chigi, disegnata da Raffaello per Agostino Chigi nel 1513 e restaurata dal 1652 al 1656 dal Bernini di cui possiamo ammirare le bellissime statue “Abacuc e l’angelo” e “Daniele nella fossa dei leoni”; ma è nella Cappella Cerasi che lo stupore raggiunge i massimi livelli: due tele di Caravaggio sono là, alla portata di tutti, senza pagare nessun biglietto! “La crocifissione di San Pietro” e la “Conversione di San Paolo”. Perdo la cognizione del tempo davanti alle due tele, ad osservare con attenzione quel Saulo accecato dalla luce divina, che rischia di finire sotto gli zoccoli del suo cavallo, o ad assistere al martirio di Pietro, e percepire lo sforzo sovrumano dei suoi carcerieri, ripresi nell'atto di rialzare la croce, dopo averlo crocifisso a testa in giù. Quello che colpisce è la grande umanità che traspare dai personaggi rappresentati, non solo quella dei due santi; sono scene di vita raccontate con tragico realismo.
Al centro un altrettanto notevole pala d’altare di Annibale Carracci, “L’Assunzione della Vergine”. La straordinarietà di queste due cappelle, non devono mettere “in ombra” altri capolavori della chiesa, come gli affreschi della volta e “la Natività” nella Cappella Della Rovere, ambedue del Pinturicchio. Sull'altare maggiore poi, vi è una delle icone bizantine più belle di Roma; portata, dal Laterano, da papa Gregorio IX verso il 1231, si ritiene opera dell’evangelista Luca.
Sito ufficiale della Chiesa. Esco, e mi fermo un attimo sulla scalinata: il colpo d’occhio sulla piazza è davvero fantastico. Al centro svetta l’Obelisco Flaminio, il primo ad essere trasferito a Roma, insieme a quello di Montecitorio, al tempo di Augusto, nel 10 a.C. Fu posizionato nel Circo Massimo, dove, dopo 350 anni, verrà affiancato da quello Lateranense. È alto circa 24 metri, e con la base raggiunge quasi i 34. Venne innalzato nella piazza, nel 1589, per volere di Sisto V, dal suo architetto preferito, Domenico Fontana. 
Ai suoi piedi era la fontana del Trullo, spostata successivamente in piazza Nicosia, a seguito della risistemazione, nel XIX secolo, qui effettuata dal Valadier, che, proprio partendo dall'obelisco, volle dare all'intera piazza uno stile egizio, facendo posizionare ai quattro lati di esso, altrettante vasche rotonde di travertino, sormontate da leoni di marmo bianco, dalle cui bocche esce l’acqua a ventaglio, mentre negli emicicli, sulle due esedre in laterizi, sono posizionate delle sfingi e al centro due fontane, quella sotto il Pincio, rappresenta la “Dea Roma attorniata dal Tevere, dall'Aniene e dalla lupa” e l'altra “Nettuno fra due Tritoni”. Dalla piazza parte il cosiddetto “Tridente”, ovvero le tre strade: via del Babuino, via del Corso e via di Ripetta, che partendo da qui divergono in direzione sud, assumendo la forma di un tridente. Come due guardiani, all'imbocco delle strade, in una scenografia perfetta, sono le due chiese gemelle, che poi, a guardarle bene, tanto gemelle non sono.
Lo spazio sulla sinistra era minore, così l’architetto Rainaldi risolse il problema progettando una cupola ottagonale per la chiesa a destra, Santa Maria dei Miracoli e una cupola dodecagonale per quella a sinistra, Santa Maria in Montesanto (detta anche degli Artisti); inoltre anche la pianta interna è differente: circolare la prima, ellittica la seconda. Eppure, a guardarle dalla piazza, sembrano proprio uguali. Iniziate, come abbiamo detto, dal Rainaldi, furono portate a termine dal Bernini e da Carlo Fontana. Santa Maria dei Miracoli, deve il suo nome all'immagine di una Madonna, un tempo posta lungo gli argini del Tevere, a cui veniva attribuito il miracolo di aver salvato un bambino che stava annegando. Santa Maria in Montesanto invece, prende il nome dalla precedente chiesa dei Carmelitani di Monte Santo, ma è comunemente chiamata la “Chiesa degli artisti”, dalla celebrazione della Messa domenicale, che, nel tempo, ha coinvolto numerosi e celebri rappresentanti del mondo dell’arte, e dal fatto che qui vengono tradizionalmente celebrate le esequie di molti personaggi appartenenti al mondo dello spettacolo. Ambedue le chiese riportano sulla facciata il nome del Cardinale Gastaldi, che fu il finanziatore di esse. Iniziamo ora la passeggiata attraverso le strade e stradine del Tridente… a me, quando sono da queste parti, piace andare a zig-zag, e vederle un po’ tutte; in questo caso suggerisco un itinerario preciso, ma chiaramente, ognuno può sperimentare come meglio crede, anche per questo ho diviso la visita del rione in due parti, perché è un reticolato di strade, ed è bello girarle tutte anche in maniera casuale, senza temere il rischio di perdersi. Prendo a destra, via di Ripetta, strada che si ritiene essere stata costruita al tempo dell'edificazione del mausoleo di Augusto, e risistemata nel 1510 da papa Leone X, che applicò, per questo scopo, forti tasse alle prostitute. Nel primo tratto di strada noto su un edificio alla mia destra, il busto di  Angelo Brunetti, più famoso come "Ciceruacchio", eroico protagonista della Repubblica Romana del 1849, ucciso dagli austriaci con i suoi figli, Luigi e Lorenzo, come ci ricorda la targa apposta sulla casa in cui abitò.
Passeggio ancora lungo la via, e attraversata via del Vantaggio, trovo l'hotel "Residenza di Ripetta". 
Qui era il Conservatorio delle Zitelle, istituzione che provvedeva all'educazione di povere e oneste fanciulle, fintanto che non trovassero marito o si facessero suore. Le ragazze principalmente erano dedite alla realizzazione di guanti e altri oggetti in pelle. La parte più antica è quella ad angolo, dove si vede il portale bugnato ad arco e una finestra inferriata accanto, anche le due finestre al primo piano sono ad arco bugnato. Nel corso dei secoli venne poi ampliato, accogliendo anche le zitelle di un altro conservatorio che si era disciolto, e divenne un unico "Conservatorio della Divina Provvidenza e di S. Pasquale Baylon". Continuò la sua attività di educazione di ragazze orfane fino alla metà degli anni cinquanta del 1900, quando poi venne restaurato ed adibito ad Hotel. Ancora più avanti, questa volta sulla sinistra, c'è la piccola Chiesa di Santa Maria in Portae Paradisi, alle spalle dell'ex ospedale San Giacomo, angolo con via Canova, detta la "chiesola", per distinguerla dalla più grande Chiesa di San Giacomo, ambedue annesse al complesso dell'Ospedale. Adibita a funzioni funebri, essendo prossima al cimitero del S. Giacomo, forse deve il suo nome proprio a questo, oppure alla vicinanza della porta che conduceva agli antichi giardini del vicino Mausoleo d'Augusto. Ricostruita nel 1523 su disegno di Antonio da Sangallo il giovane, venne poi ristrutturata nel 1626.
Interessante nel suo piccolo portico, il bassorilievo raffigurante la "Madonna con Bambino" posizionato sopra il portale. Di fronte alla chiesa apre la piazza Ferro di Cavallo, così chiamata dalla forma semicircolare del palazzo che qui affaccia, sede dell'Accademia delle Belle Arti. Passata l'Accademia, eccomi arrivata all’Ara Pacis, l’altare dedicato alla dea della Pace, costruito dall'imperatore Augusto, tra il 13 e il 9 a.C., con il quale si celebrò la pace nel Mediterraneo dopo le battaglie di Augusto in Spagna e nella Gallia. Era situato in Campo Marzio, (nella zona che corrisponde all'odierna Piazza di San Lorenzo in Lucina), in un modo tale che l’ombra del grande obelisco del Campo di Marte si proiettava sull'Altare il giorno del compleanno di Augusto.
I primi pezzi ritrovati sotto le fondamenta del palazzo Fiano, durante il XVI secolo, non riconosciuti come appartenenti all'Altare, vengono venduti al Granduca di Toscana che li porta a Firenze. Un altro frammento va al Louvre, un altro ai Musei Vaticani e molti frammenti di parti decorate vengono murate nella facciata di Villa Medici. A seguito di lavori di consolidamento del Palazzo, nel 1898 viene ritrovato il basamento dell'altare e donato al Museo Nazionale Romano. Solo dopo il riconoscimento del monumento da parte dell’archeologo tedesco Friedrich von Duhn, si iniziò a scavare con l’approvazione del Ministero della Pubblica Istruzione. Ma a causa dei rischi per la sicurezza dello stabile soprastante, i lavori vengono interrotti e ripresi nel 1937, adottando tecniche all'avanguardia, come il congelamento del terreno dell’area di scavo, per riportare il monumento alla luce; vengono recuperati i reperti da Firenze e dal Vaticano, mentre per quelli del Louvre e di Villa Medici, si provvederà con dei calchi in stucco. Contemporaneamente si lavora per la costruzione del padiglione che ospiterà il monumento, che verrà posizionato in una zona fra il Tevere e il Mausoleo di Augusto; l'inaugurazione avvenne nel settembre del 1938. L’Ara è un grande recinto rettangolare di marmo aperto sui due lati lunghi, all'interno del quale è posizionato l’altare vero e proprio. L’esterno del recinto è decorato in due fasce orizzontali, l'inferiore con  un motivo vegetale, la superiore figurato. Sulle pareti vicino alle due entrate, sono rappresentate scene mitiche che rimandano alla fondazione di Roma, mentre sui lati, un corteo di personaggi, fra cui i membri della famiglia imperiale, secondo alcuni rappresentante l’inaugurazione del monumento stesso, secondo altri la celebrazione dell’imperatore al ritorno dalla Gallia e dalla Spagna.
L’interno anche è diviso in due fasce: la parte inferiore sembra uno steccato di legno, la superiore decorata con festoni vegetali e tra un festone e l’altro appaiono i bucrani, che chiaramente rimandano ai riti sacrificali che vi si svolgevano.
La nuova sistemazione, dovuta alla progettazione dell'architetto statunitense Richard Meier, fu inaugurata il 21 aprile 2006. Dall'altra parte della strada, troviamo, il Mausoleo di Augusto, tornato proprio in questo periodo visitabile, dopo un lunghissimo periodo di restauro. Venne costruito per volontà di Augusto nel 28 a.C. dopo la conquista dell’Egitto e la definitiva sconfitta di Marco Antonio nella battaglia di Azio. Probabilmente proprio tornando da Alessandria, dopo aver visto la tomba circolare di Alessandro Magno, volle costruire il suo Mausoleo.  Con un diametro di 87 metri, può essere considerato il più grande sepolcro circolare mai conosciuto.
Si accedeva al mausoleo tramite una breve scalinata in prossimità della quale erano collocate, forse su pilastri, le tavole bronzee con incise le Res Gestae, ovvero l'autobiografia dell'imperatore, il cui testo ritroviamo ora trascritto sul muro del Museo dell'Ara Pacis. Davanti all'entrata erano posizionati i due obelischi portati dall'Egitto che ora si trovano in piazza dell'Esquilino e in piazza del Quirinale. La cella aveva forma circolare, e all'interno di tre nicchie rettangolari erano sepolti i membri della famiglia imperiale. Un alto pilone centrale, nel quale vi era un’ambiente di forma quadrata, molto probabilmente il luogo di sepoltura di Augusto, costituiva l’asse interno della costruzione ed arrivava fino alla copertura del tumulo, dove serviva di sostegno alla statua dell’imperatore posta in cima ad esso. Tutta la tomba era coperta da alberi di cipresso, sacri a Venere, da cui la gens Iulia vantava di discendere, e il loro utilizzo venne poi copiato anche in altri mausolei, fino ad essere, ancora oggi, molto usati anche nei nostri cimiteri.
Nel corso dei recenti restauri sono stati piantati nuovi cipressi, ma il mausoleo, dopo anni di abbandono e di trasformazioni, passando da fortezza, a cava di materiali, a vigna fino a divenire teatro in cui si svolgevano tornei, rappresentazioni teatrali e addirittura corride, è ormai poco riconoscibile. La statua di Augusto, durante il Medioevo, venne fusa per ricavarne monete. Fino alla metà degli anni 30 del Novecento veniva ancora utilizzato come sala per concerti, ed erano presenti costruzioni tutto intorno, e a ridosso dell’Augusteo. Il Governo Mussolini, decise poi, per celebrare la figura di Augusto, di demolirle e ridare alla struttura l’aspetto originale. Ma per troppo tempo è rimasto solo un rudere dimenticato, sotto il livello stradale, al centro di una piazza, totalmente ignorato. Intanto il sito ufficiale che ne racconta la storia, creato dalla Fondazione Tim, ha fatto vincere all'Italia il Webby Award di New York, nella sezione culturale. Ultima curiosità: è qui che venne mutilato e bruciato Cola di Rienzo, dopo essere stato ucciso in Campidoglio. Continuo la mia passeggiata su via di Ripetta e appena attraversata via Tomacelli, salgo a destra verso il Lungotevere per andare a godere di quella strana atmosfera che si respira in Piazza del Porto di Ripetta, totalmente ignorata e soffocata dal traffico cittadino, unica testimonianza di quel grazioso porticciolo voluto nel 1704 da papa Albani, Clemente XI, e per questo chiamato Porto Clementino, anche se comunemente detto di Ripetta, per distinguerlo da quello di Ripa Grande.
Dalla banchina due ampie cordonate curve salivano verso la strada e al centro di esse vi era un emiciclo dove era sistemata la fontana che ora vediamo in questa piazzetta, e ancora una volta penso a come doveva essere diverso l'aspetto di Roma, quando era lambita dal fiume.
Fiume che purtroppo molto spesso straripava, e le due colonne ora qui sistemate, erano un tempo posizionate ai lati dell'emiciclo ed indicano i vari livelli delle alluvioni avvenute dal 1495 al 1750 e i relativi pontefici regnanti. La stella che sormonta la fontana era lo stemma araldico della famiglia Albani, e la lanterna di ferro fu aggiunta successivamente per facilitare l’approdo durante le ore notturne. Dalla balaustra mi affaccio sul lato di via Ripetta, e osservo il maestoso Palazzo Borghese che ho di fronte e capisco perché viene chiamato “il Cembalo”. Questa che dà su via Ripetta è la facciata posteriore, stretta con doppio balcone, e sembra una tastiera, mentre il corpo che prospetta su via Borghese, detto la “manica lunga”, con la sua inconsueta forma curva è paragonabile appunto ad un cembalo.
È considerato una delle cosiddette quattro meraviglie di Roma, di cui fanno parte il “dado Farnese” (Palazzo Farnese), la “scala di Caetani” (Palazzo Ruspoli) e il “portone di Carboniani” (Palazzo Colonna Sciarra). La facciata principale è quella che prospetta su Largo della Fontanella Borghese, con un maestoso portale tra due colonne sormontate da un ampio balcone, ma anche quella che affaccia su Piazza Borghese, ha un maestoso portale sormontato da un balcone e dal grande stemma di famiglia. Scendo dalla piazza e  proseguo su via di Ripetta, arrivando fino in piazza Nicosia a vedere la fontana di Giacomo Della Porta che un tempo era posizionata sotto l’obelisco di Piazza del Popolo, prima dei lavori di riqualificazione del Valadier.
Ora divertiamoci anche qui a girovagare fra i vicoli di questa zona dal fascino unico, iniziando da via di Pallacorda, che deve il suo nome alla presenza di un campo dove si praticava questo gioco, simile al tennis, e proprio qui fu dove il Caravaggio uccise Ranuccio Tomassoni. Su questo campo fu poi costruito un famoso teatro chiamato Metastasio, che, demolito nel 1936, divenne, ed è tuttora,  un garage!!! Giro poi in via dei Prefetti, via della Lupa, Via della Torretta, via del Leone, via del Leoncino, godendo di ogni particolare, lasciandomi sedurre dall'incredibile fascino di questa zona,  per ritrovarmi infine su via della Fontanella Borghese, quasi alla fine, in Largo Goldoni, dove, sfacciatamente, ma con educazione,  mi intrufolo nel  portone aperto di palazzo Ruspoli,  e chiedo se è possibile ammirare la "Scala di Caetani" una delle quattro meraviglie di Roma su menzionate.
Composta da oltre cento scalini, ciascuno dei quali costituito da un unico pezzo di marmo di oltre tre metri di lunghezza, opera di Martino Longhi il Giovane. Non solo posso guardarla, ma la signora che incontro, vedendo il mio entusiasmo, mi permette anche di salire al primo piano, dove sono i portoni degli appartamenti. Il pianerottolo è ornato di nicchie con busti di marmo degli imperatori e cassapanche lungo le pareti. Ogni portone ha inciso sull'architrave il nome del principe Francesco Maria Ruspoli.
Molto soddisfatta della mia intraprendenza, riscendo e proseguo la mia passeggiata su via del Corso, direzione Piazza del Popolo. Incontro quasi subito sulla sinistra la Basilica dei Santi Ambrogio e Carlo al Corso. La chiesa, considerata una tra le più importanti del barocco romano, fu costruita dalla Congregazione lombarda, dopo che papa Sisto IV diede loro, nel 1471, come sede, la piccola chiesa di San Niccolò del Tufo, dedica che fu sostituita con quella a S. Ambrogio, patrono di Milano.
La costruzione della nuova chiesa iniziò in concomitanza della canonizzazione di Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, nel 1612, ad opera di Onorio Longhi, per poi passare sotto la direzione del figlio Martino Longhi ed essere completata da Pietro da Cortona, che ne progettò la cupola e la decorazione in stucco della volta, intorno al 1669. Il progetto era chiaramente ispirato al Duomo di Milano, con la scelta, per il presbiterio, di un ampio deambulatorio dietro l’altare maggiore. È a tre navate con tre cappelle per lato. Le decorazioni interne sono di Giacinto Brandi che affrescò la volta con “la caduta degli angeli ribelli”, il catino dell’abside e i pennacchi della cupola, mentre la pala d’altare è opera di Carlo Maratti, e rappresenta la “Gloria dei santi Ambrogio e Carlo”.
Proseguo sull'affollatissimo Corso, e arrivo all'incrocio con via Canova dove giro per andare a vedere la casa-laboratorio del grande scultore. E' facilmente riconoscibile per via dei numerosi frammenti di statue, architravi e sculture di Roma antica, che sono posizionati sulle pareti e soprattutto dal busto con dedica all'artista.
L’edificio dalla parte opposta della strada, che la costeggia per l’intera lunghezza, è l’ex ospedale San Giacomo degli incurabili, così chiamato perché vi si curavano malattie che non erano curabili in altri ospedali. In funzione per oltre 700 anni, inspiegabilmente, dopo un lungo restauro, è stato improvvisamente chiuso nel 2008. Torniamo su via del Corso ed entriamo nella Chiesa di San Giacomo. In origine era una piccola cappella annessa all'ospedale, costruita nel 1347 insieme ad esso. Dedicata a San Giacomo è detta in Augusta per la vicinanza al Mausoleo dell’imperatore Augusto. Nel 1592 fu ricostruita e ampliata ad opera del Cardinale Anton Maria Salviati, e terminata nel 1602 sotto la direzione di Carlo Maderno su disegni di Francesco da Volterra. Entrando si percepisce la sensazione che sia più grande di quello che effettivamente è, probabilmente per la pianta ellittica, su cui si aprono tre cappelle per lato. 
Un bell'affresco sulla volta raffigura la “Gloria di San Giacomo”. L’altare maggiore è opera di Carlo Maderno, e nelle cappelle vi sono opere seicentesche di diversi pittori fra cui la “Resurrezione” del Pomarancio. Nella Cappella della Madonna dei Miracoli, è custodita l’originale dell’immagine sacra di cui abbiamo parlato precedentemente, e che dette origine alla costruzione della chiesa di Santa Maria dei Miracoli in piazza del Popolo. La facciata è a due ordini, di cui l’inferiore è opera di Francesco da Volterra, con un portale con ai lati due porte minori; quello superiore, opera di Carlo Maderno, presenta al centro un balcone con una nicchia a conchiglia sormontata da timpano spezzato. A fianco dell’abside due campanili gemelli. Usciamo e, basta attraversare la strada, per finire dentro un’altra chiesa, quella di Gesù e Maria, costruita dagli Agostiniani scalzi, che acquistarono nel XVII secolo il terreno dove si trovava una villa con giardino, di proprietà degli Orsini. La facciata, di Carlo Rainaldi, rispecchia la semplicità e l'austerità dell’ordine, mentre l’interno è ricco di decorazioni pittoriche e scultoree. 
A navata unica con cappelle laterali, fu decorata grazie alla beneficenza di Giorgio Bolognetti, le cui tombe di famiglia, sulle pareti, fra una cappella e l’altra, rappresentano un esempio, fra i più caratteristici, della scultura barocca funeraria di Roma. La decorazione pittorica è opera di Giacinto Brandi. Sono ormai quasi giunta al termine di questo primo itinerario alla scoperta del Rione Campo Marzio e l'ultima attrazione è sulla mia destra al civico 18 ed è rappresentata dalla Casa di Goethe, 
il luogo dove soggiornò il poeta tedesco durante il suo periodo a Roma e che dal 1997 è diventato un museo, l'unico museo tedesco all'estero. Arrivata nuovamente in Piazza del Popolo, torno a casa. 


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