Il Museo Criminologico

aprile 09, 2022

Roma dei delitti e della cronaca nera, città maledetta. Una storia fondata sul sangue, quella di Roma, sin dai tempi di Romolo e Remo. Non stupisce dunque che nell’Ottocento l’amministrazione penitenziaria pensò di aprire un museo del Crimine, da utilizzare come strumento scientifico e che fosse da supporto per lo studio del sistema penale e carcerario. Ma ancora i tempi non erano maturi e l’idea divenne realtà solo nel 1931.


Non è un museo molto conosciuto, quindi può capitare di essere soli durante la visita, ma è un museo molto particolare e sicuramente visitarlo sarà un’esperienza che rimarrà bene impressa nella memoria. Si trova in via del Gonfalone, una traversa di via Giulia, nel tratto di strada che appartiene al rione Ponte. Inizialmente occupava il piano terra delle carceri di Via Giulia, venne poi spostato nella sede attuale nel 1968. Negli anni Settanta il MUCRI fu riallestito e definitivamente aperto al pubblico solo nel 1994; dal giugno del 2017 il museo è chiuso per lavori, e non è ancora prevista la data di riapertura. Minuscole finestre chiuse da robuste sbarre identificano il complesso come un carcere. In questi ambienti si possono vedere alcune testimonianze della giustizia così come veniva comminata al tempo del Papa Re. In realtà la pubblicità che viene fatta a questo luogo è soprattutto per le macchine da tortura che contiene, e questo non so se va a vantaggio del museo. Tra i macabri reperti qui conservati una vera crudeltà umana, si rivela tutta nella “Vergine di Norimberga” e nel “toro di Falaride”, due ingegnose macchine da cui difficilmente si usciva vivi. 

La Vergine è un armadio di ferro che sembra la figura di una donna incappucciata e ammantata a grandezza naturale. Le ante all’interno però – e qui viene il bello – sono foderate di punte affilate pronte a conficcarsi nel malcapitato prigioniero. Il toro è un’invenzione anche più geniale. Si tratta dell’omonimo animale realizzato in bronzo all’interno del quale veniva fatto entrare il condannato. Dopo di che si accendeva un bel fuoco alla sua base, così che all’abbrustolimento del suppliziato si aggiungeva anche un raccapricciante gioco acustico, con le atroci grida che fuoriuscendo dalla bocca del toro, ne simulavano il muggito. 

(foto da Internet)
In questo singolare museo, è come se si aggirassero i fantasmi del bandito Salvatore Giuliano e del suo compare, nonché assassino, Gaspare Pisciotta; della contessa Giulia Trigorna, uccisa nel 1912 dal suo amante e della ventitreenne decapitata Beatrice Cenci; e ancora, gli spettri dell’anarchico Gaetano Bresci, che colpì a morte il re d’Italia Umberto I e quello della povera Faustina Setti, caduta sotto i colpi di scure della saponificatrice di Correggio. 


Di questi fantasmi e di molti altri protagonisti del crimine ci sono anche gli oggetti personali scrupolosamente allineati entro vetrine e bacheche, fra questi la pistola con cui venne appunto ucciso il re Umberto I, nonché documenti, ritagli di giornale.


La collezione inizia con una sezione dedicata agli strumenti di tortura, alcuni originali, altri riprodotti, molti dei quali erano ancora utilizzati alla fine dell’Ottocento. Tra gogne, spade, fruste e catene emergono alcuni aggeggi dai nomi curiosi, che suonano, ingannevolmente, quasi simpatici.

È il caso, per dirne una, della “briglia delle comari”, una maschera di ferro che veniva applicata sul volto delle donne accusate di maldicenza e calunnia; o della “gatta da scorticamento”, una frusta in cuoio intrecciato terminante con quattro code che, effettivamente, doveva risultare di una certa efficacia per ottenere le confessioni.


Il macabro repertorio prosegue con il mantello rosso porpora di Mastro Titta, il celebre boia di Roma, che nella sua lunga carriera di “maestro di giustizia”, praticò ben 516 esecuzioni, anche se era una sopravveste, perché nell’esercizio delle sue funzioni vestiva abiti più comodi, potremmo dire “da lavoro”. Accanto, non poteva mancare la ghigliottina dello Stato Pontificio, con tanto di cestello in vimini per raccattare le teste. C’è persino il cranio del criminale Giuseppe Villella, sul quale Cesare Lombroso scoprì la fossetta occipitale mediana e provò la famosa tesi della delinquenza atavica. Si passa, quindi, al piano superiore, dove inizialmente si avverte un certo “sollievo” nella sala riservata a furto, ricettazione e contrabbando,


in cui si scoprono tante curiosità: dai fusti per la distillazione clandestina della grappa, alla bicicletta col telaio vuoto usata per lo spaccio di alcool; dai bauli con doppio fondo, ai tanti altri mezzi ingegnosi e un po’ ingenui confiscati negli anni Venti del secolo scorso.


Nella sala successiva c’è, invece, un’interessante rassegna di dipinti e litografie che portano la firma, tra gli altri, di Guttuso, De Chirico, Dalì, Fontana. Peccato che siano completamente falsi, come anche i molti reperti archeologici che riempirebbero da soli un piccolo museo. Eppure, riecco nuovamente un brivido di terrore, una volta giunti nella grande area dedicata agli omicidi e ai fatti di cronaca che suscitarono molto scalpore negli anni del secondo dopoguerra. È in questo regno del giallo che, tra le varie storie, si scopre quella di Leonarda Cianciulli, la terribile “saponificatrice di Correggio”. 


Un soprannome dovuto all’abitudine di invitare le amiche a prendere il tè per poi ucciderle, sezionarne i corpi e farli bollire entro lugubri pentoloni per ricavarne sapone. A suo dire, con alcuni resti confezionò anche “una gran quantità di pasticcini croccanti” che poi offriì ad altre amiche. Con la terza e ultima vittima, però, le vennero migliori: “quella sì che era una donna veramente dolce”. Infine, molto curiose sono le stanze dedicate allo spionaggio, con le armi tipiche del miglior agente segreto e con il “baule dello spione”, una cassa attrezzata per far sopravvivere un uomo al suo interno per vari giorni. Il baule fu sequestrato nel 1964 all’aeroporto di Fiumicino, mentre stava per essere imbarcato su un aereo diretto in Egitto.


Aveva nascosta al suo interno una spia, Mordechai Louk.
 Lo spazio espositivo, di notevole interesse storico-scientifico, ospita inoltre anche un ricco Archivio fotografico e l’Archivio storico delle carceri italiane. Un viaggio nella crudeltà dell’uomo. Molte delle vie attorno al museo sono rimaste uguali: sono le stesse strade percorse da tanti condannati per cui esse rappresentarono gli ultimi panorami della loro vita terrena.

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tutte le foto sono di Laura Bosi Bertolotti

(Marita Bartolazzi – Le strade del mistero e dei delitti di Roma)
(Sabrina Ramacci - 1001 luoghi da vedere a Roma)
(Gabriella Serio – Curiosità e segreti di Roma)
(M. Silvia Di Battista – Roma Curiosa, 40 luoghi da scoprire)

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