Le Mura Aureliane: Porta Prenestina o Maggiore

dicembre 23, 2020

 

Lasciata alle spalle Porta Tiburtina, riprendiamo il percorso su via di Porta Labicana, dove corre un lungo tratto di mura ben conservato e movimentato da una fila di possenti torri difensive,


che conducono a una zona in cui affluivano otto degli undici acquedotti di Roma antica: Porta Prenestina, (così chiamata perché lì passava l’omonima via, che ancora oggi conduce a Palestrina, l’antica Preneste), ma più conosciuta come Porta Maggiore, non solo per la sua grandiosità, che è evidente, ma soprattutto per la vicinanza con la basilica di Santa Maria Maggiore. È una grandiosa struttura in travertino a due fornici, con blocchi in bugnato rustico e piloni con finestre inserite in edicole con timpano e semicolonne corinzie. La sua costruzione risale al 52 d.C. quando l’Imperatore Claudio fece passare da qui l’acquedotto che portava il suo nome; le arcate servivano per scavallare le strade sottostanti, la via Prenestina e la via Labicana, ed erano così imponenti da ricordare un arco di trionfo, così quando Aureliano diede il via ai lavori per costruire una solida cinta, anche questa struttura venne inglobata tra le mura, divenendone una delle porte più importanti.


Oggi purtroppo è costretta in un gorgo di vie di scorrimento, piazze semaforiche, binari della linea tramviaria, ma resta sempre maestosa e la si riconosce a colpo d’occhio. Arrivando a Termini, all’altezza di Porta Maggiore, i treni si fermano sempre, quasi per voler concedere ai passeggeri in arrivo a Roma, il tempo di ammirarla, così come un tempo vi si soffermavano i pellegrini in visita alla Basilica di Santa Maria Maggiore.   Sempre qui nel V secolo a.C. si ergeva il Tempio della dea Speranza, Spem Veterem, per dirla come gli antichi romani, e non è un caso che proprio questa sia ancora oggi un’interessante area archeologica, ricca di preziosi reperti. La porta si distingue per l’attico suddiviso da marcapiani in tre fasce, i due superiori corrispondono proprio ai canali degli acquedotti Anio Novus, il più alto, e Claudio, quello centrale. L’iscrizione di Claudio riguarda la costruzione della porta, quelle di Vespasiano e di Tito ricordano i diversi lavori di restauro e fortificazione, operati rispettivamente nel 71 e nell’81 d.C.


Tre secoli più tardi, nel 402, il monumento fu fortificato dall’imperatore Onorio, che affidò i lavori al prefetto di Roma, Flavio Macrobio Lonigiano, come testimonia un’altra iscrizione posta sull’estrema sinistra della porta, sul piazzale Labicano. Nella lapide che spiega quest’ultimo intervento, si legge ancora il nome di Stilicone, una curiosa svista, considerando che il generale romano, accusato di tradimento, era stato ucciso e il suo nome cancellato da ogni documento, come era uso per damnatio memoriae. Sempre durante i suddetti lavori di fortificazione, venne edificato un piccolo bastione, che inglobò un sepolcro, quello di Marco Virgilio Eurisace, chiamato Panarium, appellativo dovuto alla sua bizzarra forma (quella di un forno), che si riferiva al mestiere di colui per il quale fu costruito nel 30 a.C.:  un fornaio che riforniva lo Stato con i suoi pani prodotti ogni giorno. 


La sua tomba, forse proprio grazie all’abbraccio delle mura, è giunta quasi intatta fino a noi. Altri restauri nel corso dei secoli sono stati eseguiti, fino all’ultimo, nel Novecento, che ha ridato alla Porta le sue forme originarie, con il recupero dei tratti delle due antiche strade romane, con le lastre di basalto e perfino le impronte lasciate dai carri romani, come è possibile vedere lungo i tratti emersi dalla via Appia.


(Giulia Fiore Coltellacci – 365 giornate indimenticabili da vivere a Roma)
(Sabrina Ramacci – 1001 cose da vedere a Roma)
(Fabrizio Falconi – Misteri e segreti dei rioni e dei quartieri di Roma)

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