Il Teatro Apollo

ottobre 14, 2020

 

Siamo sul Lungotevere Tor di Nona, di fronte a Castel Sant'Angelo, dove un tempo era situato il teatro Apollo, la cui definitiva demolizione venne amaramente annunciata dalle cronache dell’epoca. Scriveva Costantino Maes nel suo “Cracas”: “Pochi giorni ancora, e il teatro favorito dai romani non sarà più. Il piccone, flagellum Dei, si avventa, come già Attila, sopra quest’altro monumento romano.” Era il 1888 e, nonostante i molti dissapori al riguardo, prevaleva sulla cittadinanza il terribile ricordo dell’ultima alluvione (1870) con le acque del Tevere che invadevano chiese e palazzi fino a raggiungere i primi piani degli appartamenti (ancora oggi, fa impressione vedere le lapidi dell’epoca affisse sui muri del centro a segnare il livello raggiunto dalla melma). 


La costruzione dei possenti muraglioni era dunque in atto e tra i numerosi edifici a farne le spese ci fu anche lo storico teatro, che ebbe la sventura di affacciarsi proprio sulle rive del fiume. In sua memoria resta oggi, sul lungotevere Tor di Nona, un piccolo e strano monumento, quasi dimenticato o del tutto ignorato. Venne posto il 26 ottobre del 1925 ed è una sorta di fontana-sarcofago sovrastata da una grossa lapide di marmo, dell’architetto Cesare Bazzini, ornata con maschere del teatro antico, corone d’alloro e una lira. L’iscrizione ricorda la storia dell’Apollo che nacque “sulle pietre dell’antica torre orsina […] dove foscheggiò Torre di Nona”. 


Utilizzata nel Medioevo come magazzino dell’annona per le derrate che giungevano via Tevere, la Torre, chiamata popolarmente “di Nona”, foscheggiava della terribile fama che circonda le galere. Dal 1410, infatti, venne adibita a prigione dalla Reverenda Camera Apostolica ospitando, fra gli altri, l’eretico Giordano Bruno e l’eclettico Benvenuto Cellini (non si sa se prima o dopo la sua rocambolesca fuga da Castel Sant’Angelo). A un certo punto, però, se ne innamorò Cristina di Svezia, la regina senza trono che scelse l’Urbe per dilettarsi con l’arte e il piacere, senza troppi vincoli di etichetta, insieme alla sua allegra brigata di viveurs. Cristina amava il teatro e nella sua “corte” di palazzo Riario organizzava continuamente spettacoli. Chiese allora al suo segretario, il conte Giacomo d’Alibert, di intercedere presso il papa affinché le fosse assegnata la torre sul Tevere, che ne frattempo si era liberata dai detenuti trasferiti nelle Carceri Nuove.  


La concessione non tardò ad arrivare e nel 1670 il nuovo teatro, col nome di Tordinona, venne inaugurato a fianco dell’antico baluardo, con un grande della scena, Tiberio Fiorilli, in arte Scaramuccia. 


Si trattava di un edificio in legno progettato da Carlo Fontana, al quale si poteva accedere sia dalla strada che dal fiume. E soprattutto era il primo dove si poteva entrare pagando un biglietto e dove tre attrici, Susanna Banchieri, Maria Concetta Matrilli e Anna Priori, furono eccezionalmente ammesse sul palco. Caratteristica del teatro romano, infatti, era quella di escludere le donne dalle scene i cui ruoli venivano interpretati da maschi “en travesti”. Ma se il debutto fu un successo per l’originalità e le scelte d’avanguardia, il futuro riservava anni difficili. Con l’avvento di Innocenzo XII il teatro venne fatto sparire per ragioni di moralità. Ricostruito sotto Clemente XII, riaprì i battenti nel 1733 per essere nuovamente distrutto, stavolta da un incendio, nel 1781. Rinacque nel 1795 col nome di “Apollo” che non cambierà fino alla fine. Passato di proprietà ai Torlonia, divenne dal 1820 il punto di riferimento teatrale e musicale della città. Di questo successo una buona fetta di merito va al più ardito e intrallazzato degli impresari allora in circolazione, tale Vincenzo Jacovacci, detto il Sor Cencio. 


Fu sotto la sua gestione che Verdi vi presentò la prima assoluta del Trovatore. E siccome Sor Cencio non si faceva sfuggire un’occasione, si fece nuovamente avanti con il grande maestro non appena seppe che la sua ultima opera, "La vendetta in domino", era stata censurata dal governo borbonico al San Carlo di Napoli. Riuscì a far fare qualche aggiustamento al libretto e a ottenere da Monsignor Somai, censore di Pio IX, il nulla osta necessario per la messinscena. Pure il titolo venne cambiato e così, il 17 febbraio 1859, l’Apollo ospitò un’altra storica prima, quella di Un ballo in maschera. Ma ci furono anche quelle illustri di Rossini, Bellini, Donizetti, Wagner e Beethoven e balletti memorabili di Fanny Cerrito e Carlotta Grisi. Considerato un teatro di prima categoria come l’Argentina, venne dotato nel 1870 del palco reale. Per ironia della sorte, però, proprio in quell’anno ci fu la devastante alluvione che segnò per sempre la sua triste fine.


(Gabriella Serio – Curiosità e segreti di Roma)

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