Il Ghetto ebraico

marzo 18, 2021

Portico d'Ottavia
Era il 3 ottobre del 1555 quando il muro di cinta del ghetto venne ultimato per ordine del papa. Paolo IV Carafa era stato un inquisitore particolarmente severo nei confronti degli ebrei romani e non appena salì al soglio pontificio decretò che dovessero vivere separati dai cristiani: così nacque il secondo ghetto della storia.

Via del Portico d'Ottavia
Il primo era stato costituito a Venezia nel 1516, ma il rapporto della Serenissima con la comunità ebraica è una vicenda a sé. Insomma, il papa decise che gli ebrei se ne dovessero stare lì dentro dal tramonto all’alba, ben chiusi, con le porte serrate e sorvegliate da guardiani, pagati dalla stessa comunità ebraica, per questo prese il nome di “serraglio degli Hebrei”. Fu quello uno dei punti più bassi nella millenaria vicenda degli ebrei romani. Il pontificato durò solo quattro anni ma determinò la condizione degli ebrei per secoli (sia pure con alcune variazioni).

Via della Tribuna di Campitelli (retro Portico d'Ottavia)
I grossi problemi, per gli ebrei, iniziarono durante la Controriforma: i papi, all'improvviso, si sentirono di dover difendere a ogni costo la fede cristiana e così le vessazioni si moltiplicarono. Gli ebrei furono privati della libertà di vivere dove volevano, di avere più di una sinagoga di avere rapporti di qualsivoglia tipo con i cristiani e viceversa, di possedere libri sacri di qualsiasi natura, obbligati, senza eccezioni, a indossare un contrassegno di colore giallo sul berretto, per gli uomini, mentre la donne, per essere facilmente identificabili, avevo l’obbligo di portare uno scialle o un velo dello stesso colore (che era poi lo stesso contrassegno delle prostitute).
 

Via di Sant'Angelo in Pescheria
Il solo lavoro permesso era il commercio di stracci e anticaglie o l’attività del prestito di danaro. Almeno i tre quarti degli ebrei erano sarti, categoria che comprendeva i mercanti di tessuti antichi e preziosi, i ricamatori e gli stracciaroli: erano celebri i ricami delle ragazze ebree capaci di cucire con un filo d’oro sottilissimo, ma questo tipo di artigianato andò scomparendo per la mancanza di acquirenti. È difficile immaginare oggi l’aspetto dell’antico Ghetto, perché buona parte fu sventrato con l’Unità d’Italia e l’aspetto dell’intera area cambiò radicalmente con la costruzione degli argini del Tevere: si trattava di tre ettari in tutto, dove nel corso degli anni la popolazione variò dalle tre alle settemila persone. Da qui la necessità di costruire case a più piani, concesse esclusivamente in affitto: la pigione, versata ai proprietari cristiani, era regolata dallo “Jus Gazzagà”, una sorta di equo canone.  La zona prescelta andava da ponte Quattro Capi, ovverosia ponte Fabricio, e si distendeva sulla riva sinistra del fiume sino a piazza delle Cinque Scole.

Piazza delle Cinque Scole
La vicinanza al fiume rendeva il ghetto soggetto alle inondazioni, perché il livello stradale era basso e la scarsezza di fontane pubbliche rendevano le condizioni igieniche davvero spaventose e molto frequenti erano le epidemie. Qualche vaga idea di come fosse, la si può avere in via della Reginella, una delle zone acquisite solo più tardi nel perimetro del Ghetto. 

Via della Reginella
In esso confluirono, si può dire da un giorno all'altro, famiglie provenienti da Trastevere, dall'Aventino, da San Lorenzo e da San Giovanni. Il trasferimento coatto li costrinse a vendere le proprietà immobiliari con speculazioni di ogni genere da parte degli acquirenti. L’unico edificio che appariva in condizioni decenti era quello delle Cinque Scole, sulla piazza alla quale dà il nome, che concentrava al suo interno cinque sinagoghe, a seconda dei luoghi di provenienza e del rito dei suoi frequentatori, raccordate e unificate da passaggi interni. Così la comunità aveva aggirato ingegnosamente il divieto di erigere all'interno del ghetto più di un edificio religioso.
  
La Sinagoga attuale
Perché tra le manie dei pontefici, c’era quella di ostacolare la professione del culto, con la speranza che, prima o poi, i figli di Giuda si sarebbero convertiti al cristianesimo. Per Gregorio XIII fu quasi una missione, tanto che nel 1572 decretò che i membri adulti della comunità, in un dei suoi giorni più sacri, il sabato, fossero obbligati ad assistere alle cosiddette “prediche coatte” che, nel Settecento, divennero delle vere e proprie messe officiate dai gesuiti, cui si doveva partecipare, pena il pagamento di una multa. Si dice che alle funzioni non mancasse mai nessuno, ma che in molti usassero tapparsi le orecchie con la cera, per avere almeno la libertà di pensare ai fatti propri. Uno dei luoghi preposti a queste prediche era il piazzale antistante al Tempietto del Carmelo.


Il Tempietto del Carmelo
Si arrivò a proibire ai medici ebrei di curare i cristiani: una cosa mai accaduta prima, anche nei momenti più cupi, infatti, i medici ebrei erano celebri per il loro sapere e avevano curato più di un papa… insomma il Ghetto, da qui in poi, fu pensato come una particolare forma di costrizione e umiliazione. L’esperienza di essere rinchiusi di notte l’avevano fatta molte comunità sino a quel momento: venivano chiusi in quartieri speciali i cristiani, in Oriente, mentre i mercanti provenienti dall'Europa dell’Est, venivano circoscritti nel Fondaco dei tedeschi, a Venezia. A Roma i papi mantennero la comunità ebraica, ma la umiliarono e le imposero tali limitazioni da impoverirla, così da rendere manifesta la superiorità di una fede sull'altra. Quello di Roma, come già detto, fu il secondo a essere creato e sarà solo il Regno d’Italia a chiudere la vicenda del Ghetto e della segregazione degli ebrei.

L'edificio più antico del Ghetto: la casa di Lorenzo Manilio

(Marita Bartolazzi - Le strade del mistero e dei delitti di Roma)
(Gabriella Serio – Curiosità e segreti di Roma)

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