Drammi, litigi e ripicche a Sant'Andrea della Valle

agosto 26, 2020

Sant'Andrea della Valle - Facciata

La storia di Sant'Andrea della Valle è disseminata di litigi, incomprensioni, ripicche, piccoli e grandi melodrammi. Cominciamo dal nome, ovvero dalla valle in questione. L’appellativo deriva dal fatto che anticamente, ma proprio al tempo degli antichi Romani, l’area era una zona depressiva dove convogliavano le acque di quello che Tacito definiva il “lago di Agrippa”. Lo storico racconta che il divo Nerone si divertiva a giocare in questa sorta di stagno, organizzando battaglie navali e dissolute orge a bordo di una grande barca ornata d’oro e avorio. Successivamente bonificata, la valle venne livellata e nel 1591 fu costruita la chiesa. O meglio, iniziarono i lavori per la realizzazione della basilica, progetto di Giovan Francesco Grimaldi e Giacomo Della Porta, perché la sua gestazione fu lunga e molto travagliata, in alcuni casi addirittura melodrammatica. Nel 1655, infatti, erano stati costruiti solo il corpo centrale e la cupola di Maderno, la seconda più alta di Roma, dopo quella di San Pietro, ma mancava ancora la facciata.

Sant'Andrea della Valle - La cupola vista da Largo del Pallaro
Subentrò Carlo Rainaldi, al quale il progetto della facciata di Maderno non piaceva affatto e quindi cercò di modificarla tentando allo stesso tempo di soddisfare la richiesta del pontefice Alessandro VII di celebrare la sua famiglia. Rainaldi pensò di colmare la differenza tra la parte inferiore e quella superiore della facciata senza ricorrere al tipico escamotage architettonico barocco delle volute, ma realizzando al loro posto due angeli da affiancare allo stemma della famiglia Chigi, sei colli sormontati da una stella. Questa era l’idea, solo che la realizzazione scatenò il primo dramma: “il gran rifiuto”. Quando Ercole Ferrata, incaricato di realizzare i due angeli, presentò la prima scultura finita, fu ricoperto di critiche e le più aspre provenivano proprio da Alessandro VII, che senza tanti giri di parole disse che era orrenda, con quelle ali poi, una piegata e l’altra distesa era davvero inguardabile! L’artista non prese affatto bene i severi giudizi del committente e rispose a tono, rifiutandosi di scolpire il secondo angelo e intimando al papa che, se lo voleva, se lo sarebbe dovuto fare da solo. Fine primo atto: Ferrata lasciò il cantiere infuriato, abbandonando la facciata asimmetrica. E così è rimasta, con il vuoto lasciato dall'angelo mancante e il superstite con le ali sbilenche, una delle quali poggiata in modo anomalo alla parete, come a volerla sorreggere.

L'angelo della facciata con lo stemma dei Chigi
 La strana posizione dell’angelo non passò inosservata e non fu risparmiata dai commenti del popolo, né tanto meno dalla voce del popolo, Pasquino, che così interpretò i pensieri dell’infelice statua: “Vorrei volare al pari di un uccello, ma qui fui posto a fare da puntello”. Il secondo atto, “ripicche e dispetti”, si svolge all'interno della chiesa. Gli attori principali sono Domenico Zampieri, detto il Domenichino, e Giovanni Lanfranco, nomi di spicco del primo barocco, entrambi allievi di Annibale Carracci. Il primo era un personaggio piuttosto strano: basso e con le gambe storte, era soprannominato “il bue” per la sua rinomata lentezza e non godeva di grande popolarità per via del carattere estremamente timido e taciturno. Sembra che riservasse ai rapporti sociali solo un’ora al giorno, attenendosi a una rigida lista di sette persone, cui dedicarsi in quell'unica ora, perché il resto della giornata si concentrava esclusivamente sulla sua arte. Tanta dedizione era ripagata: non a caso era il preferito del maestro, che gli passava le commissioni migliori, e di conseguenza il più odiato dai colleghi, tra cui Giovanni Lanfranco. Siamo intorno al 1621 quando Domenichino ottenne l’ambito incarico di realizzare gli affreschi dell’abside e della cupola di Sant'Andrea della Valle. Si mise subito al lavoro dedicandosi per mesi alla preparazione. In questo lasso di tempo, però, Lanfranco ne approfittò per lavorarsi i frati, demonizzando lo stile fuori moda del collega, un conservatore ancora legato al gusto rinascimentale, e celebrando invece la sua arte, innovativa, proiettata verso la nuova maniera barocca. Senza contare che lui, Lanfranco, era molto più rapido. 

Affresco della cupola: Gloria del Paradiso di Giovanni Lanfranco
Quando Domenichino fu pronto per passare dalla teoria alla pratica, trovò il rivale arrampicato sulla cupola e scoprì che a lui erano rimasti solo gli affreschi del transetto absidale e i pennacchi sotto la cupola. Delusione, rabbia… vendetta? Chissà quali sentimenti si agitarono nell'animo dell’artista, fatto sta che un giorno Lanfranco stava per salire sui ponteggi per lavorare agli affreschi, quando si accorse che erano stati manomessi. Tutti i sospetti ricaddero, ovviamente, sul suo antagonista, ma il giallo rimase insoluto. Per fortuna di tante scaramucce, liti e ripicche (vere o presunte), rimangono la Gloria del Paradiso di Lanfranco che domina la cupola e i Quattro evangelisti di Domenichino che la piantonano nei pennacchi: 

Domenichino: I quattro Evangelisti 
dell’odio rimane solo la bellezza, questa è la magia dell’arte. A proposito di arte, arriviamo al terzo atto: “il finto dramma”. Tra le tante vicende drammatiche che hanno avuto come palcoscenico Sant'Andrea della Valle, la più nota è l’unica frutto dell’immaginazione. Gli appassionati di lirica conoscono bene questa chiesa, in quanto vi è ambientato il primo atto della Tosca, una delle opere più famose di Giacomo Puccini. È nella prima cappella di sinistra che il pittore Cavaradossi lavora al ritratto della marchesa Attavanti, scatenando la gelosia della sua amante Tosca. La cappella Attavanti è in realtà la cappella Barberini, oramai la più famosa della chiesa per via dell’opera di Puccini, ma è solo una delle numerose, tutte molto scenografiche.

La Cappella Barberini dove fu ambientato il primo atto della Tosca di Giacomo Puccini
E con Tosca cala il sipario su Sant'Andrea della Valle, luogo di drammi, melodrammi, litigi e ripicche a colpi di scalpelli, pennelli e acuti.

Teatro dell'Opera di Roma

( Giulia Fiore Coltellacci - I luoghi e le storie più strane di Roma)


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