La cacciata dei Tarquinii
febbraio 26, 2020
Un tempo Roma era la terra dell’accoglienza
e dell’integrazione. Nata da un melting pot come New York, crogiuolo di popoli
e di genti raccogliticce (quando non di avanzi di galera) trasformava i nemici
in cittadini e gli stranieri in re. Avvenne così per Lucumone, figlio di un
greco espatriato in Etruria. Eh sì perché a quanto racconta Livio, poiché “gli
Etruschi disprezzavano Lucumone perché era figlio di uno straniero esule”
questi, spinto dall'ambiziosa moglie etrusca Tanaquil, prese la decisione di
allontanarsi da Tarquinia.
Roma sembrò loro fornire le migliori possibilità:
quello era un popolo di fresca formazione dove, per un atto di valore, si
poteva diventare nobili all'improvviso ed era il posto giusto per un uomo forte
e valoroso. Lì aveva regnato Tazio che era sabino, lì, da Curi, era stato
chiamato a regnare Numa. Anco poi era figlio di una donna sabina ed era nobile
solo da parte di Numa. Tanaquil aveva ragione e Lucumone, che intanto aveva
romanizzato il suo nome in Lucio Tarquinio, entrò nelle simpatie del re, che lo
fece, per testamento, tutore dei figli.
Quando poco dopo il re morì, Tarquinio
si lanciò nella prima campagna elettorale di Roma e il popolo romano,
riconoscendo i meriti dell’Etrusco, lo elesse suo re. Tarquinio condusse quindi
a termine vittoriose guerre contro i Latini e i Sabini, rese stabili i giochi e
per ospitarli individuò l’area dove poi sorse il Circo Massimo. Bonificò le
valli ai piedi dei colli e aprì il cantiere per l’erezione del tempio di Giove
Capitolino. Come se non bastasse, visto che nella sua casa, un prodigio aveva
indicato il favore divino per un bambino, figlio di una sua schiava, lo accolse
e lo crebbe come fosse suo e quando sopraggiunse la sua morte violenta, ad
opera dei figli di Anco, che si sentivano depredati del trono, Tanaquil fece in
modo che il trono toccasse a lui. Si chiamava Servio Tullio.
Anche Servio fece
moltissimo per la città e altro avrebbe fatto, se la cattivissima figlia e il
perfido genero non lo avessero ucciso. Il genero si chiamava Lucio Tarquinio, figlio
(o nipote) del primo, il Prisco e aveva un caratteraccio, come dimostra questa
sua criminale apparizione nella storia (che a ben vedere aveva un altro
delittuoso antecedente, visto che sposata Tullia Maggiore, placida figlia di
Servio Tullio, la uccise per sposare l’altra Tullia, la figlia cattiva, sua
cognata, che nel frattempo aveva fatto fuori il fratello di lui, il pacifico
Arrunte Tarquinio, cui il padre Servio l’aveva data in sposa!). Preso il potere
Tarquinio fece uccidere i senatori che erano rimasti fedeli al vecchio re, creò
un suo personale corpo di guardia e iniziò a far eseguire a suo piacimento
condanne capitali. Non consultava più il senato, amministrava la politica
interna ed estera a suo capriccio. Per vendetta fece ingiustamente condannare a
terribile morte il povero Turno Erdonio, con l’inganno prese anche Gabii (con
il celebre messaggio in codice che dava il segnale al figlio di eliminare i “papaveri”).
Con il bottino di guerra esaudì il voto fatto dal padre e portò a termine il
tempio di Giove e le fonti attribuiscono a lui i primi impianti stabili per il
Circo Massimo e i lavori per la Cloaca Massima, nei quali impiegò i cittadini
Romani, crocifiggendo quelli che si rifiutavano di prestare la loro opera per
un lavoro ritenuto degradante. Insomma, non è un caso che i suoi concittadini lo
abbiano ribattezzato “Il Superbo”.
La proverbiale goccia che fece traboccare il
vaso e che portò i Romani alla rivolta, fu la drammatica violenza perpetrata
dal figlio Sesto contro Lucrezia, moglie di Collatino, e il suo conseguente suicidio.
Il re venne allora esiliato insieme ai figli, Sesto fu ucciso a Gabii. Dopo duecentoquarantaquattro anni finiva la monarchia, Lucio Tarquinio riparava a Cerveteri dopo venticinque anni di regno. Visto però che già all'epoca non si lasciava a cuor leggero una poltrona, o meglio un trono, Tarquinio tentò di tornare, con un colpo di mano che però fallì. In quell'occasione, probabilmente, venne distrutto il tempio di Sant'Omobono, dal quale gli ultimi re avevano tratto la loro legittimazione e venne inaugurato il tempio Capitolino, inaugurando anche il computo della nuova era repubblicana. Fu allora che si decise di cancellare ogni legame con i Tarquinii lasciando al saccheggio della plebe i loro beni e consacrandone poi i terreni a Marte. Nasceva così il Campo Marzio. Ma poco distante nacque qualcosa di ben più stupefacente: un’isola.
Era, infatti, il periodo del raccolto e il
farro cresceva copioso sui terreni consacrati. Venne quindi raccolto, o meglio
strappato via, e ammassato in delle ceste che furono poi gettate nel fiume. Fu cosi
che esse, nel fiume in secca per il caldo estivo, si arenarono e vennero
ricoperte di fango, fino a formare l’Isola Tiberina.
(Flavia Calisti - La storia di Roma in 100 luoghi memorabili)
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