Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia

febbraio 02, 2020


Villa Giulia è uno splendido esempio di Villa rinascimentale, voluta da papa Giulio III come residenza suburbana e costruita tra il 1550 e il 1555. 


Per la sua progettazione e realizzazione venne chiesto il contributo degli architetti e artisti più famosi dell’epoca: Jacopo Barozzi da Vignola, Bartolomeo Ammannati, Giorgio Vasari e Michelangelo Buonarroti, mentre l’apparato decorativo è in parte opera di Taddeo Zuccari e Prospero Fontana. La Villa è dotata di un giardino architettonico con terrazze collegate da scalinate scenografiche, ninfei e fontane.


L’emiciclo è decorato con delicati interventi pittorici ispirati alle grottesche della Domus Aurea.


Nelle sale uno straordinario ciclo di affreschi con le raffigurazioni dei Sette Colli di Roma.


Dal 1889 Villa Giulia è sede del Museo Nazionale Etrusco, considerato il più rappresentativo, ricco di testimonianze provenienti dall'Etruria Meridionale, quel territorio compreso tra il Tevere e il mare Tirreno (Alto Lazio). Sono presenti alcune delle più importanti espressioni artistiche etrusche insieme a creazioni greche di altissimo livello, importate in Etruria tra i secoli VIII e IV a. C.


L’esposizione delle opere segue un criterio topografico: accanto ai grandi centri etruschi di Vulci, Cerveteri e Veio, sono rappresentati anche siti minori dell’Italia preromana (Agro falisco, Latium vetus, Umbria). L’esposizione vanta anche grandi raccolte antiquarie costituite dal nucleo del seicentesco museo Kircheriano, dai materiali delle Collezioni Barberini, Bermann e Gorga e soprattutto dalla ricchissima collezione Castellani, composta da ceramiche, bronzi e dalle celebri oreficerie antiche e moderne, queste ultime opere degli stessi Castellani, orafi fra i più noti a Roma nella seconda metà del XIX secolo.


Famoso in tutto il mondo, il Sarcofago degli Sposi da Cerveteri (VI sec. a.C.). Il loro abbraccio evoca una storia d’amore e arriva al cuore delle persone: è magnetico.Vediamo un sorriso enigmatico. In realtà è un espediente dell’arte antica chiamato sorriso arcaico: non si voleva riprodurre il sorriso umano, ma accentuare le espressioni del volto. 


Gli occhi sono oggi vuoti, ma nella superficie incavata doveva esserci del colore: nero e bianco. 
La statua di Apollo in terracotta policroma da Veio (VI sec. a.C.), decorava il tempio di Portonaccio, a Veio, insieme a gruppi di altre statue che illustravano i miti greci legati al dio. In questo caso si trattava della terza fatica di Ercole: l’eroe tiene tra le gambe la cerva dalle corna d’oro appena catturata, ma verso di lui incede il bel dio, un po’ contrariato perché la cerva è sacra a sua sorella Artemide.


Un altro reperto importantissimo è costituito dalle lamine d’oro in lingua etrusca e fenicia da Pyrgi (V sec. a.C.). Se la lingua etrusca per noi non è più misteriosa il merito è anche di queste lamine d’oro, con incisa la dedica a un luogo sacro di Pyrgi, uno dei porti dell’antica Caere, l’odierna Cerveteri. Due sono scritte in etrusco ma la terza è in fenicio: in questo modo gli studiosi hanno potuto decifrare quell'antica lingua italica, completamente dimenticata dopo la conquista romana. 


C'è poi l’Apollo dello Scasato da Falerii (IV sec. a.C.), di cui è rimasto solo il torso; viene dal frontone del tempio detto dello Scasato nell'antica Falerii, l’odierna Civita Castellana. Rappresenta Apollo e testimonia l’alto livello artistico raggiunto dagli Etruschi, maestri nella modellazione della terracotta, sotto l’influenza dei canoni stilistici greci della tarda età classica.



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