San Clemente: viaggio al centro della terra

maggio 07, 2020


Roma è fatta a strati, non è certo una novità, ma a San Clemente la sovrapposizione di luoghi e storie è unica, potremmo dire che ne rappresenta la quintessenza: tre edifici – una basilica medievale, una paleocristiana e un mitreo d’epoca romana – uno sopra all'altro, consentono un percorso storico artistico che abbraccia un arco temporale di oltre ventidue secoli. Durante questo viaggio nel tempo le sorprese non mancano così come le meraviglie artistiche. Partiamo dall'inizio, ovvero dal basso.


E con basso si intende proprio il centro della terra. Scendendo parecchi metri sotto il livello stradale ci si ritrova a percorrere alcuni labirintici ambienti d’età romana: vicoli strettissimi, stanze decorate con pitture, soffitti con volte a botte e pavimenti a spina di pesce.


C’è perfino un torrente sotterraneo.


È ancora incerta l’attribuzione precisa dei resti di alcuni degli ambienti, probabilmente si trattava di magazzini ad uso del Colosseo o della Zecca, il luogo dove si coniavano le monete imperiali, mentre i resti di una residenza privata su due piani, risalente alla seconda metà del II secolo, sono stati attribuiti a una delle numerose ecclesiae domesticae dove i cristiani si riunivano di nascosto. Successivamente questi stessi spazi furono in parte occupati da un mitreo.


Questa religione misterica e iniziatica d’origine orientale, che in epoca tardoimperiale divenne molto popolare a Roma, condivideva curiose similitudini con il cristianesimo: secondo la credenza il dio Mitra sarebbe venuto al mondo con la missione di salvare l’umanità, sarebbe nato il 25 dicembre (secondo una versione della leggenda in una grotta e da una madre vergine) per morire a 33 anni. Ulteriore similitudine era la presenza di un rito a base di pane e vino. Come i cristiani si incontravano nell'oscurità delle catacombe, anche gli adepti del mitraismo si riunivano sottoterra, ma non per ragioni di sicurezza. Oltre alla natura iniziatica del culto, segretissimo ed esclusivamente riservato agli iniziati (solo uomini, donne escluse), la scelta di un luogo di culto ipogeo era dettata da necessità di “messa in scena”: il mitreo, infatti, doveva rappresentare una caverna, una falsa grotta dove avvenivano i riti iniziatici, secondo una liturgia ben precisa. Il mitreo di San Clemente ha tutti i requisiti: c’è la volta decorata con le stelle a simboleggiare i pianeti e lo zodiaco, lungo le pareti ci sono i banchi in muratura, dove gli adepti si sdraiavano per partecipare ai banchetti rituali a base di pane e vino e c’è l’altare, con il rilievo raffigurante il dio Mitra, riconoscibile per il consueto look con cappellino frigio e mantello, intento a uccidere il toro, affiancato dai fedeli assistenti Cautes e Cautopates.


Siamo ora pronti per risalire di un livello e visitare l’antica basilica paleocristiana, immergendoci in un’altra storia, un’altra epoca, altri riti. Quando nel 313 con l’editto di Milano, Costantino concesse a ciascuno la libertà di onorare le proprie divinità, permise ai cristiani di uscire allo scoperto, anche fisicamente e i luoghi di culto abbandonarono il sottosuolo e la clandestinità. Ecco che nel IV secolo, proprio sull'antico mitreo, venne edificata la basilica di San Clemente, la prima dedicata al santo, terzo successore di Pietro.


La struttura dell’antico edificio è poco leggibile, ma a far risplendere questo luogo sotterraneo sono i preziosi affreschi, realizzati in epoche successive, tra il V e l’XI secolo, come il ciclo che racconta le leggendarie e miracolose imprese di San Clemente. Della vita di questo santo papa si sa poco e quel poco è ammantato di leggenda, leggenda in parte raccontata sui muri della basilica inferiore. Secondo la tradizione, Clemente fu ucciso in Crimea, gettato in mare con un’ancora al collo. Tempo dopo la sua morte, le acque del Mar Nero si divisero rivelandone la tomba, costruita dagli angeli. Da quel momento, ogni anno le acque si ritiravano, per mostrare il miracoloso reliquiario, finché non fu portato a Roma, per essere custodito nella basilica intitolata al santo. Tutto molto interessante, però non è questa la storia più strana, né la più divertente raccontata dagli affreschi. La vera star del ciclo dedicato a San Clemente, infatti, è il suo antagonista Sisinnio, la cui leggenda raffigurata nella basilica inferiore vanta un primato incredibile: può essere considerata il primo fumetto della storia, con tanto di parolaccia. Il racconto si articola in strisce e le battute compaiono vicino alla testa dei personaggi, praticamente manca solo il balloon. Questa la trama: quando Sisinnio, un ricco pretore romano, scopre che la moglie Teodora è diventata una seguace del cristianesimo e lo “tradisce” frequentando le messe celebrate da Clemente, non ci vede più della rabbia. Dopo aver seguito la moglie, in compagnia dei suoi sgherri, fa irruzione durante una cerimonia. Vorrebbe riportare Teodora a casa, ma viene accecato da una luce divina. Qualche tempo dopo, il futuro santo, Clemente di nome e di fatto, fa visita a Sisinnio per ridargli la vista, ma il ricco romano non ci vuole sentire e ordina ai servi di arrestarlo. Il santo, però, è un osso duro, un avversario tosto dotato di superpoteri: grazie a un altro miracolo, gli uomini di Sisinnio scambiano una pesantissima colonna per san Clemente e cercano invano di trascinarla con grande sforzo. Un’iscrizione in volgare, uno dei primissimi esempi, riporta l’invettiva di Sisinnio che, fedele al ruolo di cattivo, è sboccato e si esprime in modo volgare: inveisce contro i suoi servi sparolacciando: “Fili dele pute, traite”, (“Tirate, figli di puttana). Clemente, invece, l’eroe della storia, fraseggia in modo elegante, dispensando benedizioni e forbite perle di saggezza, mentre va via illeso: “Voi gente dal cuore di pietra, è giusto che trasciniate una pietra”.


Ora, ditemi voi se non è strano ritrovarsi a leggere un fumetto medievale in una chiesa paleocristiana, che si trova sotto un’altra chiesa e sopra un mitreo, e finire a ridere per una parolaccia inserita, assurdo per assurdo, all'interno di un ciclo di affreschi sulla vita di un santo. Solo questo sarebbe straordinario, ma le meraviglie di San Clemente non sono ancora finite. Manca l’ultimo strato, l’ultimo, ovvero il primo: la basilica superiore. Altro strato, altre storie. Risaliamo di cinque metri e di qualche secolo, arrivando precisamente al terribile 1084, anno in cui Roma fu messa in ginocchio dal sacco dei Normanni di Roberto il Guiscardo, e proseguiamo fino al 1091 quando un devastante terremoto rase al suolo quel che era rimasto in piedi, basilica di San Clemente compresa. Rainiero di Bleda, il cardinale titolare della basilica e futuro papa Pasquale II, dopo alcuni interventi di restauro, reputò più conveniente riempire di terra la vecchia chiesa (in questo modo si salvarono i suoi tesori d’arte) e usarla come base per costruirne una nuova.

Nuova e bella, all'altezza della sua posizione strategica lungo la strada dove si svolgevano i solenni cortei diretti a San Giovanni in Laterano, allora sede papale. Nonostante l’aspetto tardo barocco, dovuto a un successivo restauro settecentesco (sempre strati su strati, epoche e stili che si sovrappongono in un gioco infinito), i capolavori più preziosi della basilica superiore sono quelli risalenti al XII secolo: il pavimento cosmatesco, uno dei più belli di Roma, la schola cantorum con i pulpiti e il candelabro, sempre cosmateschi, il baldacchino in marmo dietro la cantoria, che custodisce le presunte reliquie del santo titolare, ma soprattutto lo splendido mosaico absidale, scintillante dimostrazione che il Medioevo romano non fu, anche dal un punto di vista artistico, solo un periodo buio, triste e angosciante.


Il mosaico dell’abside è probabilmente uno dei più belli del XII secolo, colpisce per l’elegante armonia della composizione e il carattere gioioso dei temi figurativi. Un tripudio di natura lussureggiante, con fiori, frutta, animali esotici e figure umane, perfino bambini, ruotano intorno a Cristo sulla croce, ma la croce, ornata da dodici colombe, sboccia da avvolgenti spirali di acanto e si trasforma in un albero, l’albero della vita, simbolo di rinascita. Un abbagliante messaggio di ottimismo per portare ai fedeli una luce di speranza, in anni oscuri di saccheggi, terremoti e distruzioni. Anche le figure di Maria e Giovanni, ai lati della croce, hanno sì un’espressione dolente, ma molto umana, e la perfetta sintesi tra naturalismo e simbolismo, unita alla spinta vitale che movimenta la composizione, riesce a superare la ieraticità dell’arte musiva, compiendo un passo avanti. Altra importante testimonianza artistica della basilica superiore è rappresentata dagli affreschi della cappella di Santa Caterina, opera di Masolino da Panicale, affiancato probabilmente da Masaccio, anche se sulla collaborazione di quest’ultimo non c’è certezza.


La decorazione della cappella rientrava nel progetto di renovatio urbis promosso da papa Martino V, il quale invitava i cardinali a contribuire al recupero delle chiese, per il bene della città. Branda da Castiglione, cardinale titolare di San Clemente tra il 1426 e il 1431, rispose all'appello del papa commissionando a Masolino gli affreschi della cappella. L’importanza del ciclo che racconta le storie di santa Caterina d’Alessandria e di sant'Ambrogio, va oltre il lato puramente estetico, in quanto rappresenta la testimonianza di un passaggio fondamentale nella storia dell’arte e della cultura. Masolino da Panicale, come Masaccio, fu tra quegli artisti che nel Quattrocento iniziarono a distaccarsi dal gusto fiabesco medievale, per prediligere un uso più disinvolto della prospettiva, nel tentativo di conferire alle figure una fisicità più naturale, puntando a una maggiore umanità. Ci si stava lasciando il Medioevo alle spalle, per incamminarsi a grandi passi verso l’Umanesimo e il Rinascimento. Un’ulteriore prova di questo cammino culturale è la scelta di raccontare gli episodi significativi della vita di santa Caterina, in particolare il suo “scontro” con l’imperatore Massenzio. Non si trattava di una santa qualunque, ma di una nobildonna estremamente colta ed istruita che abitava in quell'Alessandria d’Egitto che per gli intellettuali dell’epoca come Masolino, come il fine letterato Branda da Castiglione e lo stesso papa Martino V, rappresentava la culla del pensiero.  Dopo aver risalito secoli di storie, arte e leggende si arriva quasi storditi alla fine di questo incredibile viaggia al centro della terra. San Clemente è, senza dubbio, una matrioska d’arte e storia che non finisce mai di stupire.




(Giulia Fiore Coltellacci - I luoghi e le storie più strane di Roma)

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