La Tomba del Fornaio

gennaio 29, 2021

Una curiosa notizia qualche anno fa raccontava dei funerali di Renato Bialetti e veniva così descritta da un giornalista de “La Stampa”: “L’uomo che con la sua moka ha svegliato il mondo, dentro una moka l’ha anche lasciato. Il funerale alla caffeina di Renato Bialetti, l’”uomo coi baffi” dei Caroselli mitici, è un’immagine un po’ surreale, magari curiosa, certamente bellissima. Davanti all’altare, fra i fiori, non c’era la solita bara o urna, ma una caffettiera da 24 tazzine, la più grande, con dentro le ceneri di chi l’aveva inventata, prodotta, pubblicizzata, venduta e sicuramente anche amata…”.



Alla luce di tutto questo, non sembra più tanto bizzarra l’idea che ebbe, oltre duemila anni fa, il fornaio Marco Virgilio Eurisace, morto intono al I secolo a.C. La sua tomba si nasconde bene dietro la maestosità di Porta Maggiore, in quel punto nevralgico della città, dove antichi acquedotti e moderne rotaie si incrociano, fra semafori e fermate di autobus; sembra quasi giocare a nascondino, contando anche sulla distrazione del passante che, proprio per tutto quel caos, è intento più a non sbagliare strada, che a guardare il sepolcro.


E pensare che invece l’intento del nostro fornaio, era proprio quello di farsi notare, sbattere in faccia a tutti il suo stato sociale.  Per gli antichi romani, la conquista dell’eternità era uno status da raggiungere tramite imprese leggendarie, abilità militari o discendenze divine, oppure, in alternativa, soprattutto per i ricchi, utilizzando i risparmi per edificare grandi tombe, che venivano decorate con allusioni alla vita quotidiana e lavorativa, per rendere nota l’origine della propria fortuna. È il caso di dirlo: il pane sfama. È infatti grazie alla sua attività che Eurisace poté permettersi una tomba monumentale per sé e sua moglie. Anche lui, come il signor Bialetti, volle trovare sepoltura in qualcosa che ricordasse il suo successo professionale, l’attività che gli aveva permesso, seppur liberto, di creare la sua fortuna. Il cognome di origine greca denuncia, infatti, la sua condizione di ex schiavo. Ma Roma a quel tempo era una terra di opportunità e le sue evidenti capacità lo portarono prima alla libertà e poi a una brillante e remunerativa carriera. Del resto in una città che viveva di “panem et circenses” era impossibile non fare soldi! E Eurisace ne fece parecchi a giudicare dalla sontuosità della sua tomba.


Era un parvenu, insomma, un arricchito, e non aveva nessun problema a dichiararlo, anzi se ne vantava. La tomba è un edificio trapezoidale, probabilmente per adeguare la pianta alle due strade che di qui uscivano dalla città: la Prenestina e la Labicana. È chiamato Panarium, per la forma simile a quella di un forno ed è leggendo l’iscrizione funebre che veniamo a conoscenza del mestiere di Eurisace: un fornaio, appaltatore, apparitore, e cioè fornitore dello Stato, ma anche un ufficiale subalterno di un “pezzo grosso”, un sacerdote o un magistrato, insomma. Era così fiero della sua professione, che fece decorare il sepolcro con rimandi e allusioni al suo mestiere: nella decorazione del fregio sono rappresentate tutte le attività della panificazione, dalla pesatura e macinazione del grano, alla setacciatura della farina, preparazione dell’impasto e infornata finale. Tre file di cavità circolari sono un richiamo ai contenitori cilindrici, in cui veniva impastata la farina.


La copertura, oggi perduta, era forse a piramide, secondo quanto ipotizzato da Canina. Al suo interno fu trovata l’urna che conteneva le ceneri della moglie Atistia, …indovinate un po’? la forma era quella di una madia per custodire il pane! Per questo ci sembra un po’ meno eccentrica la scelta del nostro contemporaneo Renato Bialetti di riposare per sempre in una caffettiera! È una targa con iscrizione a rivelarci il contenuto dell’urna, con la precisazione che si trattava di una donna meravigliosa. Ora l’urna è visibile al Museo Nazionale delle Terme di Diocleziano.  I resti di Eurisace invece non sono mai stati trovati. Chissà all’interno di quale creativo contenitore si nascondino. La coppia, rigorosamente in toga, era anche immortalata su una stele di marmo, perché il ritratto di famiglia non poteva mancare, e se farete una visita alla bellissima Centrale Montemartini, altra sede dei Musei Capitolini, potrete incontrare i due eccentrici coniugi.


Il nostro sepolcro si è salvato a dispetto di monumenti molto più importati, solo perché quando l’imperatore Onorio, nel 402, rinforzò la difesa di Porta Maggiore, aggiungendo due torri laterali e costruendo un piccolo bastione, passò letteralmente sul cadavere di Eurisace, inglobando nella costruzione il suo sepolcro. Solo intorno alla metà dell’Ottocento, quando vennero demolite le torri difensive e il bastione, venne alla luce la singolare costruzione. Qualche nota in più sulla zona limitrofa alla tomba. Era nota come ad Spem Veterem, cioè “alla Speranza Vecchia”, con riferimento a un tempio dedicato a questa divinità nel V secolo a. C., cui ne seguì un altro, più “nuovo” nel Foro Olitorio. Per capirci, appartengono a tale secondo tempio, costruito durante la prima guerra punica, le sei colonne con architrave inglobate nel fianco sinistro della chiesa di San Nicola in Carcere.


La zona era di proprietà della gens Statilia, oggi ricordata solo dal nome di una strada e dai resti di un piccolo sepolcreto di suoi liberti.

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