L'Acqua Tofana

gennaio 22, 2020

Evelyn De Morgan: La pozione d'amore (1903)

Nella Roma barocca di Urbano VIII trionfa l’arte e imperano le feste, ma anche il Tribunale dell’Inquisizione lavora senza soste. Le leggi le fanno ancora gli uomini e le donne le subiscono, assieme ai matrimoni imposti e ai maltrattamenti non puniti, prepotenze a cui nessuno, nemmeno il Santo Padre, intende porre rimedio. La musica cambia, però, quando nella città sul Tevere approda una bella forestiera, giovane plebea di dubbia morale e cuore schietto. Le notizie biografiche su Giulia Tofana sono scarse e lacunose. Nacque a Palermo, probabilmente a cavallo fra il Cinque e il Seicento. Secondo alcune fonti era una sorta di ‘figlia d’arte’ perché sua madre (per altri, sua zia) era Thofania d’Adamo, giustiziata a Palermo il 12 luglio 1633 con l’accusa di aver avvelenato il marito Francesco. Orfana e poverissima, Giulia viveva nel malfamato quartiere del Papireto, dal quale voleva fuggire e riscattarsi. E non le fu difficile realizzare il suo desiderio, dal momento che, pur non essendo istruita, era una ragazza attraente e molto intelligente. Adusa a commerci carnali, anche con esponenti del clero, fu grazie all'amicizia stretta con un frate speziale, che riuscì a rifornirsi delle “polveri” necessarie per mettere a punto la sua miscela. Creò così l’acqua tofana (detta anche ‘Manna di San Nicola’ perché contenuta in una boccetta decorata con l’immagine di San Nicola, ingegnoso espediente per non destare sospetti sul reale contenuto della bottiglietta). Si trattava di un intruglio a base di arsenico, piombo e probabilmente belladonna (sono ignote le esatte dosi di ciascun ingrediente) mischiati in acqua bollente e che uccideva senza lasciare traccia. 


Fondamentale era versarne poche gocce al giorno, per provocare con il tempo un avvelenamento tale da portare ad una morte apparentemente naturale, perché priva di sintomi.  In un mondo pieno di rancori e di conflitti, la bella Giulia non faticò a piazzare la sua merce. Difatti, non era per suo diretto beneficio che l’aveva concepita, bensì per farne commercio. Tutto sembrava filare liscio quando, a causa di un cliente maldestro, la giovane rischiò di finire sotto la lente del tribunale dell’Inquisizione. Per sottrarsi alle indagini e alle relative conseguenze, finì per accettare la proposta di un altro frate, tale Girolamo, che la portò con sé a Roma, dove l’aspettava una brillante carriera ecclesiastica. Approdarono insieme nell'Urbe di papa Urbano VIII e Giulia prese alloggio in un bell'appartamento alla Lungara, nel rione Trastevere, a spese dell’amante, di stanza nel convento di San Lorenzo. Pare che poco tempo dopo, la siciliana avesse già imparato a scrivere, vestendo come una dama d’alto rango, ormai dimentica degli anni bui di Palermo. Finché un’amica, più cara delle altre, non si andò a lamentare, proprio con lei, dei maltrattamenti subiti in casa dal marito, una piaga che all'epoca accomunava la maggior parte delle spose. Costrette al matrimonio in età giovanissima, subivano abusi e angherie d’ogni genere dai coniugi indesiderati. Fu così che Giulia, forte del suo ascendente sull'amante, lo spinse a procurarle la materia prima, noncurante di trovarsi nella città di San Pietro, sotto il naso dell’Inquisizione. Spregiudicato quanto lei, Girolamo non oppose resistenze e si rifornì dell’arsenico tramite uno zio compiacente, frate speziale alla Minerva.


Rispolverata la vecchia formula, Giulia tornò al lavoro vendendo, come sembra, la sua preziosa merce quasi esclusivamente alle donne. Quei traffici diventarono sempre più intensi. Dopo qualche anno, però, una delle “clienti”, la contessa di Ceri, ansiosa di liberarsi del consorte e contrariamente alle istruzioni ricevute, gli vuotò l’intera boccetta del veleno nella minestra, provocandone la morte immediata e scatenando i sospetti dei parenti. L’indagine di polizia condusse presto a Giulia. Arrestata, subì un processo, al pari delle sue … seicento clienti (un solo uomo fu coinvolto nel processo). Fu condannata a morte e giustiziata a Campo de’ Fiori nel 1659, mentre le mogli, che lei aveva accusato, furono murate vive a Porta Cavalleggeri, nel palazzo dell’Inquisizione. Alcuni storici riportano che il complice-farmacista di Giulia Tofana riuscì a farla franca, grazie ad una specie di amnistia, così come esistono tradizioni diverse sulla fine della protagonista di questa storia «nera»: secondo alcune fonti fu giustiziata, come abbiamo detto, secondo altri, fu fatta fuggire da qualche alto prelato di cui godeva i favori. Ancora a metà dell'Ottocento, il ricordo di Giulia Tofana e della sua acqua, erano vivi, tanto che Dumas inserì un riferimento nel Conte di Montecristo: "...noi parlammo signora di cose indifferenti, del Perugino, di Raffaello, delle abitudini, dei costumi, e di quella famosa acqua tofana di cui alcuni, vi era stato detto, conservano ancora il segreto a Perugia".

(Adriana Assini - Giulia Tofana)
(Viaggiatoricheignorano.blogspot.com)
(lagazzettadelmezzogiorno.it)






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