7° ITINERARIO - RIONE V PONTE (PRIMA PARTE)
giugno 18, 2021
Totale percorso km 2,1 questa la mappa
Il rione V, deve il suo nome al famoso Ponte Sant'Angelo, l’antico ponte Elio, fatto costruire dall'imperatore Adriano nel 134, per poter accedere al suo mausoleo. Oltre ad essere il più bello, è anche l’unico, fra tutti i ponti romani, ad avere resistito quasi duemila anni senza mai crollare per effetto delle piene del Tevere.Il rione si estende lungo il fiume e per questo, un tempo, terreno di paludi e di frequenti alluvioni. Il primo a restaurarlo, fu papa Sisto IV che, nel XV secolo, fece selciare tutte le vie e ripulire la zona da tutti i tuguri fatiscenti. Da Ponte S. Angelo si diramano le strade che portano nel cuore del rione. Non ci sono siti famosissimi, è un labirinto di stradine e stretti vicoli, dove è bellissimo passeggiare, anche a caso, osservando con calma ogni piccolo particolare, alla ricerca dei moltissimi angoli pittoreschi che è possibile scorgere.
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Vicolo in via dei Coronari e Via del Banco di Santo Spirito |
Nei primi
anni del Cinquecento papa Giulio II, insieme al Bramante, progettò la nuova
strada, la prima e più lunga via di Roma, un rettilineo di circa un chilometro,
che fu chiamata “strada Julia”. Vennero a costruire qui i loro palazzi i nomi più importanti dell’epoca, dai Ricci ai
Chigi, ai Sacchetti, il cui palazzo è proprio poco più avanti, ma prima di arrivarci, sulla
sinistra, un iscrizione sulle tre finestre al primo piano di un edificio colpisce
la mia attenzione: “POSSEDEVA – RAF SANZIO – NEL MCXX”; tradizione dice sia la casa in
cui visse Raffaello, ma è più probabile, invece, che qui avesse dei terreni, sui quali fu costruito l’edificio, visto che l’artista morì prima che il palazzo
fosse completato.Al civico 66 è Palazzo Sacchetti, forse il più bello di tutta
la via. Fu costruito su progetto di Antonio da Sangallo il Giovane per sé stesso, ma
l’artista vi abitò solo pochi anni prima di morire nel 1546.Fu venduto,
passando attraverso diversi proprietari, che lo ampliarono e restaurarono, ma poi
sempre costretti a rivenderlo, per poter rientrare delle spese sostenute, fino
al 1648 quando venne acquistato dai Sacchetti. Sulla facciata in una nicchia
era presente uno stemma di Paolo III Farnese con la scritta: “TU MIHI
QUODCUMQUE HOC RERUM EST”, che voleva essere un omaggio dell’artista verso il
papa che, con la sua protezione, gli aveva permesso di vivere in modo tanto agiato.
Ma nel 1799, lo stemma del giglio Farnese, venne scambiato dai francesi per
quello della casa reale di Francia, appena soppressa con la rivoluzione, e la
superficie venne tutta graffiata. Angolo con il palazzo è vicolo del Cefalo, e
strani “sedili” affacciano lungo le pareti di tutto l’isolato, che da qui arriva
fino alla traversa successiva, che è via dei Bresciani. Si tratta delle
fondamenta di quello che doveva essere, nei progetti di Giulio II e del Bramante,
il Palazzo dei Tribunali, dove riunire tutte le prefetture e tribunali sparsi
in varie parti di Roma. Il progetto però si fermò poco dopo a seguito della
morte sia del papa che dell’architetto, ma restarono le fondamenta, che sono
ancora lì, inglobate dai palazzi costruiti dopo, e soprannominate dal popolo
romano “i Sofà di via Giulia”. Al
centro dell’isolato la chiesa di San Biagio degli Armeni, o della Pagnotta,
cosi chiamata perché il giorno della ricorrenza del Santo, il 3 febbraio, la
chiesa distribuisce dei panini benedetti, che allontanano le malattie della
gola, essendo San Biagio protettore proprio di questa parte del corpo. Era
infatti un medico che curava i poveri, e mentre veniva portato al martirio, una
donna con un bambino che stava soffocando per una spina di pesce andata di
traverso, gli si avvicinò; lui poggiò le sue mani sulla gola del piccolo e lo
guarì.
Questo
miracolo lo vediamo rappresentato sull’affresco che sovrasta il portone. La
chiesa venne affidata nel 1836 all’Ospizio degli Armeni. Via Giulia è un
concentrato di chiese, ce ne sono ben sette! La prossima che incontriamo,
subito dopo via dei Bresciani, è la Chiesa di Santa Maria del Suffragio,
costruita da Carlo Rainaldi nel 1669, per l’Arciconfraternita che aveva il
compito di pregare per le anime del Purgatorio.
Ha una bella facciata in travertino, divisa in due ordini: il superiore con lesene a capitello ionico, e finestrone centrale, l’inferiore con lesene a capitello in stile composito, un bel portale con timpano triangolare, e due portoncini laterali con timpano curvo. Sono arrivata in via del Gonfalone, che prende nome dall'Oratorio, costruito sull'antica chiesa di Santa Lucia, che continuò ad essere utilizzata come luogo di sepoltura.
Ha una bella facciata in travertino, divisa in due ordini: il superiore con lesene a capitello ionico, e finestrone centrale, l’inferiore con lesene a capitello in stile composito, un bel portale con timpano triangolare, e due portoncini laterali con timpano curvo. Sono arrivata in via del Gonfalone, che prende nome dall'Oratorio, costruito sull'antica chiesa di Santa Lucia, che continuò ad essere utilizzata come luogo di sepoltura.
L’attività dell'Arciconfraternita iniziò alla fine del
Quattrocento e durò fino al 1890, occupandosi di opere assistenziali, organizzando
anche numerose processioni e cerimonie; molto caratteristici i loro abiti
bianchi con il cappello blu. L’oratorio, che custodisce preziosi dipinti
raffiguranti le “Storie della Passione di Cristo”, opera dei principali
esponenti del Manierismo romano, cadde in disuso e fu abbandonato tanto da
diventare un “deposito” per i netturbini. All'inizio del Novecento, fu
restaurato dalla soprintendenza e dal 1960 è affidato al Coro polifonico
romano. L’adiacente Museo Criminologico nato con l’intenzione di ricostruire la
storia del crimine e del suo castigo e illustrare l’attività di polizia, è purtroppo
chiuso ormai dal 2016, senza che si abbia un’idea di quando sarà possibile
riaverlo a disposizione. Era nato nel 1930, con sede nella prigione seicentesca
delle Carceri Nuove, in via Giulia. Venne poi chiuso negli anni Sessanta e
riaperto nella nuova sede di Via del Gonfalone, nei primi anni Settanta, per
essere chiuso nuovamente verso la fine di quegli stessi anni. Rimasto chiuso
per una quindicina di anni, riaprì nel 1994 con un nuovo assetto. Diviso in tre
sezioni: le prime sale sono dedicate al periodo dal Medioevo al XIX secolo, e
agli oggetti utilizzati per le torture, allo scopo di ottenere confessioni o
quelli utilizzati nelle esecuzioni, come per esempio la spada che decapitò la
giovane Beatrice Cenci. Nella stessa sezione si trova il mantello rosso che era
solito indossare il Boia ufficiale di Roma, mastro Titta.
Poi ci sono le sale
dedicate al contrabbando, con oggetti utilizzati per sfuggire ai controlli
della polizia; la sezione dei falsi: dai quadri d’autore falsificati a
strumenti per ottenere banconote e francobolli falsi, e la sezione delle
malizie carcerarie, come Cesare Lombroso definiva le ingegnose invenzioni che i
detenuti mettevano in atto per imbrogliare le guardie e nascondere per esempio
oggetti con i quali tentare l’evasione o provocarsi ferite. C’è infine, la
pistola usata da Gaetano Bresci per uccidere il re Umberto I, le armi usate per
compiere delitti passionali, o gli strumenti con cui la mafia ammazzava i suoi
nemici, e un’area dedicata agli omicidi che hanno destato, nel corso del
Novecento, maggior scalpore, primo su tutti quello di Aldo Moro ad opera delle
Brigate Rosse. Per info qui
Sono arrivata alla fine dell'appartenenza di via Giulia al rione
Ponte, da qui fino alla fine in piazza di San Vincenzo Pallotti, la strada, come
abbiamo detto, fa parte del rione Regola. Svolto quindi a sinistra su via delle
Carceri e arrivo in via dei Banchi Vecchi, ad angolo sulla destra trovo subito
la Chiesa di Santa Lucia al Gonfalone. Probabilmente costruita tra il XII e il
XIII secolo, venne affidata alla fine del Quattrocento all'Arciconfraternita
del Gonfalone, e dopo vari restauri nel 1511 e nel 1603, venne ricostruita nel
1764 in stile tardo-barocco, e nuovamente restaurata nel 1866 da Francesco
Azzurri, che fu anche l’autore della decorazione interna. La facciata presenta
un bel portale affiancato da due semi colonne nella parte inferiore, e in quella
superiore un bel finestrone centrale; l’interno è a navata unica e tre cappelle
per lato.
Fra le opere più interessanti, un Crocefisso ligneo del XVI secolo e, sopra l’altare maggiore, un dipinto del Cinquecento raffigurante la “Madonna del
Gonfalone”. Uscita dalla chiesa, vado a
sinistra; anche qui bisogna andare piano, e guardarsi intorno, osservare bene i
particolari, le finestre ad arco, il cornicione con greca a svastica, che nulla
a che vedere con la simbologia che, purtroppo, soli dodici anni di storia (dal
1933 al 1945) hanno contribuito a dare a questo simbolo. In realtà esso è molto più antico, rappresenta il sole, ed è quindi fortemente positivo e irraggiante energia. Al
civico 22 è una stranissima palazzina, chiamata “la casa dei pupazzi”. Impossibile non notare la sovrabbondanza degli stucchi che la decorano. Si tratta del palazzo Crivelli, dal nome dell’orefice milanese che se lo fece
costruire nel 1538, come dice l’iscrizione del marcapiano sopra il portone: "IO
PETRUS CRIBELLUS MEDIOLANEN(SIS) SIBI AC SUIS A FUNDAMENTIS EREXIT". La
facciata è ricca di particolari: trofei di scudi e corazze,
grotteschi mascheroni e teste leonine, candelieri sorretti da puttini,
satiri che reggono lunghi festoni vegetali. Addirittura, all’ultimo piano, due
bassorilievi, dove in uno è raffigurato Carlo V che bacia il piede di papa
Paolo III, e nell'altro il Papa che riconcilia Carlo V e Francesco I a Nizza.
Resto un bel po’ a guardare, poi mi rimetto in moto.
Sempre lentamente, godendo
a fondo di quell’aria di antico/vecchio che si respira, in modo particolare, in
questa via, arrivo a Largo Ottavio Tassoni. Sul lato del palazzo che affaccia
sulla piazza una targa ricorda che “in questo edificio eretto ad uso di zecca
lavorò Benvenuto Cellini”. Infatti, prima di divenire sede del Banco di Santo Spirito,
fondato nel 1605 da papa Paolo V, con lo scopo di accogliere depositi e fare
prestiti, questo palazzo era la Zecca pontificia. Trasferita qui, per volere di
papa Giulio II, nel 1404, da palazzo Sforza Cesarini, vi rimase fino al 1541,
anno in cui fu spostata al Vaticano. Bellissima la sua facciata, leggermente
concava, che realizzò Antonio da Sangallo il Giovane, divisa da quattro paraste
al centro delle quali si trova una grande nicchia ad arco, con quattro finestre
e due oculi ai lati. Il grande stemma sulla sommità di Paolo V Borghese, con le
due statue della Carità e dell’Abbondanza fanno parte, invece, dell’opera di
rinnovamento del palazzo, quando, nel 1667, fu trasferito in questa sede, il
Banco di Santo Spirito.
Un altro edificio particolare che si affaccia su questa
piazza, è il
Palazzo Gaddi Niccolini, costruito probabilmente tra il 1518 ed il 1527 da
Jacopo Sansovino, per il banchiere fiorentino Luigi di Taddeo Gaddi. Passato
poi a diverse famiglie, dai Valdina Cremona, ai Niccolini, agli Amici ed ai
Montani, attualmente ospita l'Ambasciata della Repubblica di Argentina.
Giro per via dei Banchi Nuovi.
Anche qui la denominazione della strada fa riferimento ai banchi dove
negozianti, banchieri, notai, scrivani e mercanti esercitavano i loro affari, essendo
il punto di passaggio obbligato dei pellegrini verso S. Pietro. Il distinguo fra vecchi e nuovi è dovuto allo spostamento della Zecca Pontificia, che come
abbiamo visto, precedentemente, era situata in via dei Banchi Vecchi a palazzo
Sforza Cesarini. Quando venne spostata in quello che poi sarà il palazzo del
Banco di Santo Spirito, si spostarono di conseguenza anche i vari banchieri e
mercanti e la via limitrofa prese il nome di Banchi Nuovi. Il primo palazzetto
sulla sinistra è quello dove abitò Carlo Maderno, come ci ricorda una lapide
apposta dal Comune di Roma.
Molto belle le finestre del primo piano ad arco, in
travertino, mentre
quelle al secondo piano hanno timpano triangolare e curvo alternati. Anche
qui, quello che mi affascina è il contrasto fra il vecchio, quello dei palazzi
quasi fatiscenti, e l’antico, quello dei palazzi con le facciate in
bugnato, le finestre architravate, i timpani triangolari, tondi, o spezzati… io mi incanto a notare tutti questi particolari. Man
mano che mi avvicino a Piazza dell’Orologio, lo scorcio che si ha sul
bellissimo Orologio del Convento dei Filippini, che dà il nome alla piazza, è
fantastico.È posto sulla torre costruita dal Borromini nel 1648. La mano
dell’artista si riconosce dalle tipiche curve concave e convesse. Sulla sommità
un’architettura con volute di ferro che sostengono le campane, mentre ai suoi
fianchi sono posti due cippi con stelle araldiche di bronzo a 24 punte.Sotto
l’Orologio un bellissimo mosaico della “Madonna della Vallicella”, disegnato da
Piero da Cortona, mentre all'angolo dell'edificio con via del Governo Vecchio,
è un tabernacolo della Madonna circondata da angeli, molto tipico del Bernini.Sulla piazza affaccia palazzo Bennicelli, dove nacque e visse il Conte Tacchia. Ma il palazzo
originariamente era stato costruito, su volere del monsignor Spada, per essere
la sede del Banco di Santo Spirito, anche se non aveva l’appoggio dei ministri
dell’Istituto bancario, secondo i quali il palazzo era troppo lontano da quello
che era comunemente ritenuto il centro degli affari. Alla morte del monsignore,
avvenuta solo dopo due anni dall'inizio della costruzione, i ministri decisero
di posizionare la sede nel palazzo di cui abbiamo già precedentemente parlato,
quello che ancora oggi è conosciuto come Banco di Santo Spirito.Gli eredi
Spada furono così costretti ad acquistare il palazzo e terminarlo. Fu poi
venduto ai conti Bennicelli, che lo ristrutturarono, a fine Ottocento, ad opera
dell’architetto Koch. Di fronte al palazzo si apre via degli Orsini, dal nome
della famiglia che qui ebbe molte proprietà a cominciare dall'edificio che si
affaccia a sinistra sulla via, costruito nei primi del Seicento.La facciata
del palazzo presenta due portoni gemelli: da uno entravano le
carrozze, dall'altro uscivano. Al primo piano le finestre hanno timpani
triangolari e sono ornati con conchiglie, mentre al secondo con capitelli e al
terzo con teste femminili. Entro a sbirciare nel cortile, e riesco anche a
fotografare la bella fontana settecentesca a parete, incastonata in un’edicola
ad arco, con timpano spezzato, con al centro un’aquila, emblema araldico della
famiglia Stampa, che fu proprietaria del palazzo nel Settecento, dopo la
vendita da parte degli Orsini.Nell'Ottocento l’edificio fu venduto ai
Pediconi, e in seguito ai Cavalletti, che sono gli attuali proprietari.
Entrando mi colpisce una lapide sulla parete a destra, che testimonia la
nascita, in questo palazzo, di Eugenio Pacelli, colui che divenne poi papa con
il nome di Pio XII, dal 1939 al 1958. Alla fine della strada, che incrocia con
via di Monte Giordano, c’è un altro meraviglioso palazzo facente parte delle
proprietà degli Orsini: il Palazzo Orsini Taverna. Fu la loro roccaforte, con
torri e edifici suddivisi fra i vari rami della famiglia: dai duchi di
Bracciano, che furono i più importanti, ai conti di Pitigliano, ai signori di
Marino e di Monterotondo. Fu ricostruito da Giordano Orsini, dopo la
distruzione da parte di Cesare Borgia, e abitato dal cardinale Ippolito d’Este,
che lo rese luogo di incontri mondani e culturali. Alla fine del Seicento,
l’ultimo duca di Bracciano fu costretto a venderlo, per ripagare i suoi enormi
debiti. Dopo vari passaggi di proprietà, che videro personaggi illustri
abitarvi o esserne ospitati, tra cui l’imperatrice Eugenia de Montijo, moglie
di Napoleone III e il Cardinale Luciano Bonaparte, il palazzo divenne proprietà
dei Taverna, ai quali ancora appartiene. Sono entrata in questa roccaforte
in occasione della Giornata Nazionale A.D.S.I, che prevedeva l’apertura dei
cortili delle dimore storiche, ed è stato molto interessante ascoltare la
storia del palazzo, oltre alla straordinaria sensazione di fare un tuffo nel passato, perché, come in molti altri casi, se le facciate di questi palazzi hanno un’aria elegante, a volte austera, nei loro giardini o cortili, si percepisce tutta l’atmosfera di una Roma che non c’è più. Bellissima anche la
fontana che prospetta sul vialetto d’entrata, visibile a tutti.Da qui inizia
via di Panico, che percorro per un breve tratto, girando subito dopo il palazzo
Taverna, a destra, nel vicolo Domizio, per sbucare in via dei Coronari, proprio
dove all'angolo si trova la famosa “Immagine di Ponte”, considerata la più
antica delle edicole sacre di Roma. Più che un’edicola, sembra un piccolo
monumento, realizzato da Antonio da Sangallo il Giovane per conto di Alberto
Serra da Monferrato, nel 1523. L’immagine dell’“Incoronazione della Vergine” è
stata dipinta da Pierin del Vaga. La cosa curiosa: il committente di questa
edicola era notaio della Camera Apostolica, e, durante il sacco di Roma, si
salvò a stento dalla cattura dei lanzichenecchi correndo a Castel S. Angelo e
arrivandoci un attimo prima di essere acciuffato. Peccato che appena varcata la soglia, gli venne un infarto, non si sa se per la corsa o per lo spavento! Via
dei Coronari è una delle più belle strade di Roma, cosi chiamata dai venditori
di oggetti sacri, che qui avevano le loro botteghe, in quanto strada di transito
dei pellegrini che si recavano a S. Pietro. È una via che concentra tutti e tre
gli aspetti di Roma: il medievale, che ritroviamo nei vicoli, il rinascimentale
dei palazzi e casette, e il barocco. Quasi di fronte
all'edicola, un palazzetto del Cinquecento, abitazione dell’abbreviatore
apostolico Prospero Mochi, ai tempi di Paolo III, ha delle curiose scritte
sopra il portone e sopra le finestre del primo e secondo piano. Sul portone ci
dice: “tua pute que tute facis” (“considera tuo quel che tu stesso fai”); sulle
finestre del primo piano il suo nome e il suo mestiere: “P. De Mochis Abbr. A:” (“Prospero De Mochis
abbreviatore apostolico”) su quelle del secondo piano: “non omnia possumus
omnes” (“non tutti possiamo fare tutto”) e “Promissis mane” (“mantieni le
promesse”).
Mi dirigo verso piazza dei Coronari e giro a sinistra in via di
Panico; sopra il civico 29, una edicola settecentesca originale in tutte le sue
parti: dal cupolino a spicchi, con ciondoli e frange, al mensolino di legno e il
lume. L’immagine della “Madonna della pietà” fu invece rubata nel 1992 e venne
sostituita. Recuperato l’originale, fu ricollocata, durante un restauro, nel 2000, ma senza la cornice a tortiglione con punti e
cherubini che aveva precedentemente. Molto curioso anche il palazzo ad angolo
fra via dei Coronari e via di Panico, che forma un vertice.Arrivo fino al
vicolo della Campanella, entro nel vicolo, e continuo la mia passeggiata,
passando davanti all’Oratorio di San Celso, conosciuto anche come San Celsino,
per distinguerlo dalla chiesa dei Santi Celso e Giuliano, nella via del Banco
di Santo Spirito, nella quale arrivo dopo aver percorso il vicolo del Curato. Prima di andare a visitare la suddetta chiesa, attraverso la strada per
fotografare l’Arco dei Banchi, un caratteristico passaggio che collega
direttamente con via Paola, e all'interno del quale si trova un’edicola con una
immagine della Vergine molto venerata. Ma la cosa più interessante sotto l’arco
è sicuramente la lapide, considerata la più antica, che attesta il livello
raggiunto dal Tevere durante la tremenda alluvione avvenuta il 7 novembre 1277.
In origine la targa era posta sotto il portico della Chiesa dei Ss. Celso e Giuliano,
quando questa era situata in Piazza di Ponte, e la scritta, in caratteri
semigotici, tradotta recita cosi: “Qui arrivò il Tevere, ma torbido, di qui
presto si ritirò nell'anno del Signore 1277, sesta indizione, settimo giorno
del mese di novembre, mentre la chiesa era vacante”. Il riferimento alla chiesa
vacante è dovuto al fatto che il pontefice Giovanni XXI era morto, e passarono
sei mesi prima che venisse eletto il nuovo pontefice, Niccolò III. Sono ora
davanti alla Chiesa dei Ss. Celso e Giuliano, che come ho già detto, in origine
si trovava sulla Piazza di Ponte. Fu papa Giulio II a farla demolire,
incaricando il Bramante per la ricostruzione, ma a causa della morte del papa,
il progetto fu sospeso e la chiesa portata a termine solo nel
1535. Anche questa fu poi demolita per volere di papa Clemente XIII, che la
fece ricostruire da Carlo De Dominicis nel 1735, e, più di un secolo dopo, nuovamente
restaurata dall'architetto Andrea Busiri Vici.La facciata, molto particolare,
scandita da lesene e doppie colonne, con capitelli compositi decorati da rami di
palme. Nella parte superiore una grande finestra e un timpano mistilineo in
stile borrominiano. Nella parte
inferiore, ai lati del portone, due nicchie ornate da una conchiglia, mentre
sopra il portone un oculo incorniciato da rami di palma e gigli in stucco.
L’interno è a pianta ellittico con cappelle laterali. Un notevole dipinto
raffigurante il “Cristo in gloria e i Ss. Celso, Giuliano, Marconilla e
Basilissa” è posto sull'altare maggiore ed è opera di Pompeo Batoni del 1738. L'ultimo edificio della via, che fa angolo con la Piazza di Ponte S. Angelo, è palazzetto Bonadies, un edificio quattrocentesco, costruito su precedenti strutture, restaurato e modificato nell'Ottocento, quando furono costruiti i muraglioni sul Tevere. Particolarissimo il porticato che si trova al pianterreno, che fa da cornice alle vetrine di un negozio di stampe antiche, con colonne con capitelli in stile ionico e una cornice con palmette e protomi leonine. All'attico, invece, una bellissima loggia ad archi su pilastri e colonnine, che offriva sicuramente una vista privilegiata sugli "spettacoli" che si tenevano soventemente in questo luogo. Piazza di Ponte S. Angelo fu tristemente nota, intatti, per essere stata luogo di esecuzioni capitali. In questo post non ho parlato appositamente del Ponte perché riserverò per tutti i Ponti di Roma, una sezione apposita.
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