Il ritrovamento del Laocoonte

ottobre 09, 2020


Aveva solo dodici anni Francesco da Sangallo, quando, con il padre Giuliano, il grande architetto, e Michelangelo Buonarroti, il sommo artista, andò sul colle Oppio ad assistere al rinvenimento del gruppo scultoreo del Laocoonte. Secondo il suo ricordo giovanile, quel giorno, 14 gennaio 1506, “fu detto al papa che in una vigna presso Santa Maria Maggiore s’era trovato certe statue molto belle”. I due famosi artisti vennero così spediti sul posto da Giulio II in persona per verificare coi propri occhi e garantire l’eccezionalità della scoperta. “Questo è il Laocoonte di cui fa menzione Plinio”, commentò esterrefatto Giuliano da Sangallo mentre “la mirabile statua” risorgeva quasi integra dalle viscere del colle. Studioso esperto di antichità classiche, il pensiero dell’architetto era volato immediatamente alle parole di Plinio il Vecchio che nella Naturalis historia descriveva proprio quell’opera e la celebrava come il più grande capolavoro artistico presente ai suoi tempi. A stretto giro, la clamorosa notizia si diffuse per tutta Roma e due mesi dopo, per espressa volontà del papa, il Laocoonte era in Vaticano, primo di una collezione di straordinarie opere d’arte all'origine degli attuali Musei Vaticani. 


Ma chi fu il vero scopritore del celeberrimo gruppo marmoreo, chi per primo vide riemergere dopo secoli di oblio le membra contorte e i volti sofferenti del povero sacerdote troiano e dei suoi due figli? Nessuno dei racconti dell’epoca, fra cui quello del giovane Sangallo, fa il nome del fortunato proprietario della vigna, che viene però ricordato nel documento ufficiale con il quale, nel marzo dello stesso anno, Giulio II gli concede in cambio della statua l’introito della gabella di Porta San Giovanni: si trattava di un certo Felice de Fredis. La vita, si sa, a volte è crudele. La memoria collettiva è corta e mentre il Laocoonte è divenuto uno delle statue più note al mondo, del de Fredis si è perso quasi del tutto il ricordo. Visse il suo momento di gloria esclusivamente nei due mesi che seguirono la scoperta. L’interesse e la curiosità che si scatenarono in città, infatti, furono tali che la sua casa, dove aveva portato il Laocoonte fresco di scavo, era divenuta meta di processioni continue di visitatori. Abitava a Palazzo Branca, nel rione Regola, un nobile edificio quattrocentesco, appartenente alla famiglia della moglie Girolama, sposata nel 1502, che occupava l'area, oggi adibita a giardino, al centro di Piazza Benedetto Cairoli. 


Tutta Roma die noctuque concorre a questa casa che lì pare el jubileo”, racconta Giovanni Sabadino degli Arienti; peraltro, con buona pace di Girolama e della loro intimità, perché Felice aveva riparato il gruppo marmoreo giusto nella camera da letto, dove poteva meglio sorvegliarlo. Anche lui proveniva da un’illustre famiglia ormai estinta. La madre Vannozza era un'Infessura, e suo zio Stefano, “scribasenato” era l’autore del prezioso “Diario della città di Roma”. Per dieci anni Felice fu camerarius Camere Urbis Rome, si occupava cioè dell’esenzione di tutte le entrate spettanti alla città di Roma e distretto. Un lavoro di responsabilità che dovette portarlo spesso ad anticipare a proprie spese gli introiti. De Fredis morì nel 1519 e le sue spoglie trovarono inizialmente sepoltura in Santa Maria in via Lata, dove erano le tombe degli Infessura. Dieci anni dopo, però, il suo feretro venne traslato a Santa Maria dell’Ara Coeli vicino a quello del figlio Federico appena scomparso.


È in quell'occasione che venne composta l’iscrizione sepolcrale ancora visibile sul pavimento della chiesa, presso la Cappella della Madonna di Loreto, e fu allora che il suo nome, oggi ormai dimenticato, venne accostato per l’eternità a quello del Laocoonte. L’epitaffio in latino non celebra particolarmente le sue virtù, note solo ai contemporanei, ma quel casuale e memorabile evento avvenuto nella sua proprietà che innescò il fuoco della sensibilità e creatività dei maggiori artisti, dal Cinquecento in poi. Il testo così dice:


"Girolama Branca, moglie e madre, e Giulia de Fredis de Milizi, figlia e sorella, nell'anno del signore 1529 mestissime fecero porre (questa sepoltura) a Felice de Fredis, il quale meritò l’immortalità per le proprie virtù e per il ritrovato, divino, quasi anelante simulacro di Laocoonte, che in Vaticano tu ammiri, e a Federico, che possedeva le doti d’animo paterne e avite, raggiunti anzitempo da troppo immatura morte."

(Gabriella Serio – Curiosità e segreti di Roma)

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