Quante storie in via dei Leutari!

ottobre 10, 2020

A Roma anche le vie piccole o piccolissime hanno storie incredibilmente ricche da raccontare. È il caso della stretta via dei Leutari, pochi metri di strada che mettono in comunicazione, nei pressi di piazza Navona, corso Vittorio Emanuele con via del Governo Vecchio. Il nome non risale, come comunemente si crede, ai fabbricatori di liuti, ma a una famiglia Leutari che, come altre famiglie nobili e di artisti, aveva la propria residenza nella strada. C’era ad esempio qui la casa di Pietro da Cortona, ma anche il palazzo del Cardinal Dovizi, detto il Bibbiena, in cui morì Maria, nipote del cardinale, che si era fidanzata ufficialmente con Raffaello Sanzio nel 1514 (anche se lui non la sposò mai, sempre innamorato della Fornarina) e che è ancora oggi ricordata da una lapide al Pantheon. Un’altra casa celebre in questa via era appartenuta agli Orsini e ospitò Stefano Porcari, il noto capopopolo che nel Quattrocento, ispirandosi a Cola di Rienzo, tentò di rovesciare il papa Niccolò V, con una congiura che mirava a costituire a Roma un governo repubblicano.
Tommaso Parentucelli, salito al soglio pontificio a quarantanove anni con il nome di Niccolò V, era già passato alla storia per aver risolto lo scisma di Basilea, con la rinuncia dell’antipapa Felice. Tutto ciò grazie alle sue doti diplomatiche e alla sua erudizione che gli avevano valso l’appellativo di “Padre dell’Umanesimo”. Anche la lapide sulla sua tomba, nelle Grotte Vaticane, opera di Enea Piccolomini, lo riconosce come fautore di una nuova età dell’oro per Roma. Fino alla fine, subito prima dell’attimo estremo della morte, gravemente malato tenne ai suoi cardinali un ultimo, celebre discorso che aveva per titolo: “Fare di Roma il centro di irradiazione della cultura”. Eppure, anche un papa così illuminato era capace di essere implacabile quando si trattava di difendere il proprio potere minacciato.
Stefano Porcari, nato da una prestigiosa famiglia romana, aveva anche lui ricevuto una formazione umanistica. Divenuto capitano del popolo a Firenze nel 1427, Stefano si proponeva di rinnovare il sogno della Repubblica romana, ambizione che manifestò in celebri arringhe seguenti la morte di papa Eugenio IV. Il neoeletto Niccolò V, pur conoscendo bene le manovre di Porcari, si limitò ad allontanarlo da Roma, confinandolo a Bologna. Ma Porcari, vero spirito ribelle, riuscì, al momento debito, a sottrarsi ai controlli papali e a fare ritorno di nascosto nell'Urbe, rifugiandosi nella casa del suo sodale Angelo Masi. I due avevano in animo di occupare, con un colpo di mano, la fortezza di Castel Sant'Angelo e di imprigionare, con la partecipazione del popolo in rivolta, il papa e tutta la sua corte, proclamando al contempo la repubblica, che avrebbe avuto proprio in lui la figura di riferimento, nei panni di tribuno. Ma il piano, preparato nei minimi particolari e forte di un esercito di trecento armigeri e quattrocento proscritti, saltò in aria poco prima del momento convenuto, il 6 gennaio del 1453. Niccolò V ordinò di perquisire le case dei rivoltosi e i ribelli furono sbaragliati, prima ancora di entrare in azione. Porcari riuscì miracolosamente a fuggire, riparando proprio nella casa di via dei Leutari, di proprietà del principe Latino Orsini. Catturato grazie a una serie di spiate, Porcari fu immediatamente arrestato, giudicato colpevole dal Tribunale pontificio e impiccato insieme ai suoi complici dopo soli tre giorni, il 9 gennaio 1453, a Castel Sant'Angelo, la fortezza nella quale egli aveva sognato di poter rinchiudere il pontefice.
Un ulteriore mistero della sua parabola è legato alla tomba. Il cadavere di Stefano Porcari, infatti, non fu mai ritrovato. Le leggende vogliono che per volere stesso del papa, il corpo fosse stato gettato nelle acque del Tevere. Secondo alcuni, invece, le sue spoglie furono interrate insieme a quelle di altri rivoltosi in una tomba comune, che oggi si troverebbe nei sotterranei della chiesa di Santa Maria in Trasportina. Sempre in questa piccola via, più di un secolo dopo, ebbe inizio una tragica vicenda di cui per decenni si parlò a Roma. L'edificio situato ai civici 21-23 è conosciuto come Casa Peretti Ricci ed è costituito da due case cinquecentesche limitrofe: la casa di destra era proprietà di Pietro Matuzzi e fu acquistata dal cardinale Peretti Montalto, che la unì a quella di sinistra.
Ancor prima di divenire papa, con il nome di Sisto V nel 1585, il cardinale regalò la casa alla sorella Camilla, che vi abitò con il figlio Francesco e la moglie di questi, Vittoria Accoramboni, appartenente ad una nobile famiglia di origine umbra, ma presente a Roma sin dalla metà del Quattrocento.
Il principe Paolo Giordano Orsini, duca di Bracciano, nonché il più potente e temuto dei baroni romani, invaghitosi della bellissima Vittoria Accoramboni, non esitò, pur di avere per sé la donna, a far uccidere una sera del 1582 il marito Francesco da alcuni sicari, complice proprio il fratello di Vittoria, Marcello. Quella sera un uomo bussò al portone di casa Peretti, con un biglietto scritto da Marcello che invitava Francesco a raggiungerlo nel giardino degli Sforza alle pendici del Quirinale. Camilla, la madre di Francesco, lo scongiurò di non andare, ma questi non sentì ragioni e si incamminò. Vari colpi di archibugio lo attendevano: caduto a terra, venne infine finito a pugnalate. L'istruttoria non riuscì a risalire al colpevole, sebbene si sapesse bene chi fosse stato, anche perché tre giorni dopo il delitto Vittoria andò ad abitare in casa Orsini ed i due si sposarono in barba alle "giustizie" dell'allora papa Gregorio XIII. Ma quando questi morì nel 1585 e divenne papa Sisto V (ovvero lo zio del morto assassinato), i due non si sentirono più tanto al sicuro e fuggirono a Padova. Poco tempo dopo anche Paolo Giordano morì, in seguito all'infezione di una vecchia ferita.
Questo segnò la morte anche per Vittoria, perché il cognato Ludovico Orsini, convinto che fosse stata lei ad aver assassinato il marito, scatenò nella sua casa 40 sicari che compirono una strage. Tutta questa storia è narrata anche da Stendhal in una delle sue "Cronache Italiane". Dopo la morte di Francesco Peretti, una parte della casa passò al nipote di Camilla, Michele; ai primi del Seicento tutto fu venduto ad Orazio Ricci di Voghera, che tra le bugne del portale al civico 21 fece porre due ricci che alludevano al suo cognome.
Un altro fatto importante per cui via Leutari è famosa, riguarda il ritrovamento, sotto le fondamenta di due edifici, della colossale statua di Pompeo. Originariamente situata nella Curia di Pompeo, la statua fu oggetto di dura contesa tra i proprietari dei due palazzi perché giacente sulle proprietà di entrambi, ovvero in posizione orizzontale e con la testa sporgente al di là del muro divisorio dei due edifici. I giudici decisero di far decapitare la statua per accontentare entrambi i contendenti: il cardinale Capodiferro, inorridito dinanzi allo scempio che ne sarebbe seguito, informò dell'avvenimento papa Giulio III, il quale, pur di non far eseguire l'insana sentenza, acquistò la statua per 500 scudi e ne fece dono al cardinale per ornare il suo bellissimo palazzo: ancora oggi possiamo ammirarla all'interno di palazzo Spada, mentre una sua copia è nel cortile di un edificio in via Monte della Farina, a conferma del fatto che questo edificio, presumibilmente, fu costruito sui resti di quella che era la Curia di Pompeo, dove venne assassinato Giulio Cesare, proprio ai piedi della celebre statua. 
Ultima piccola curiosità, di questa piccola strada, si trova al civico 35, dove una targa commemorativa ci ricorda come "abitando questa casa Gioacchino Rossini trovò le armonie sempre nuove del Barbiere di Siviglia"


(Fabrizio Falconi - Roma segreta e misteriosa)
(romasegreta.it)

You Might Also Like

0 commenti

POST POPOLARI