Le quattro meraviglie di Roma

aprile 24, 2020


Se il mondo antico vantava complessivamente sette meraviglie, la tradizione popolare nostrana ha fissato più modestamente a quattro le autentiche meraviglie architettoniche della vecchia Roma. Quattro soltanto e non sette e, tra l’altro, di gusto un po’ singolare: non celebri monumenti, come potrebbero essere il Colosseo o la basilica di San Pietro, ma quattro nobili dimore e i loro particolari, giudicati tali in un’epoca in cui contavano soprattutto la curiosità, l’imponenza della costruzione e l’importanza della famiglia a cui apparteneva, piuttosto che il suo reale valore artistico. Ma quali sono queste quattro meraviglie, famose fino al XIX secolo e oggi ormai quasi dimenticate? Secondo una cantilena popolare che ci è stata tramandata esse sono “il dado Farnese, il cembalo di Borghese, lo scalone di Caetani e il portone di Carbognani”. Come si vede, per indicarli venivano usati dei nomignoli e forse solo la prima meraviglia è comprensibile al primo approccio: il dado, che altro non è che il regale Palazzo Farnese, la cui compattezza lo fa vagamente somigliare a un cubo.


Frutto del lavoro di Antonio da Sangallo il Giovane (per la facciata principale e le laterali), di Michelangelo (che realizzò il cornicione e il finestrone a loggia sulla facciata del piano nobile) e di Giacomo Della Porta (che curò la facciata posteriore), si racconta che venne costruito con i materiali provenienti dal Colosseo e da altri edifici antichi in rovina. Uno spettacolo davvero, ma da sempre quasi inaccessibile, tranne che a pontefici, cardinali, re, ambasciatori e artisti che nell’arco di cinque secoli vi hanno vissuto e si sono incontrati nel suo labirinto di sale e saloni. Dal 1936, poi, è in affitto alla Francia, che ne ha fatto la sua ambasciata, con un contratto per 99 anni, ad una cifra irrisoria, puramente simbolica. La seconda meraviglia, il cembalo, è Palazzo Borghese, chiamato così per via della sua pianta originale che ricorda lo strumento musicale con la “tastiera” riconoscibile in quella specie di portichetto con balconcino su via di Ripetta, di fronte al Tevere.


Fu il Vignola a conferirgli il caratteristico aspetto, anche se poi venne completato nel 1614 da Flaminio Ponzio in collaborazione con Carlo Rainaldi. Una parte del palazzo appartiene tuttora ai Borghese, mentre il resto è diviso tra la sede dell’ambasciatore spagnolo e l’esclusivissimo Circolo della Caccia, che una volta rifiutò perfino l’iscrizione al principe Carlo perché i suoi antenati non avevano abbastanza quarti di nobiltà. Praticamente solo il cortile si può visitare quando, di tanto in tanto, organizzano manifestazioni ed eventi speciali. Ma veniamo ora allo scalone di Caetani, ovvero la scala d’onore dell’attuale Palazzo Ruspoli, in via del Corso (largo Goldoni). Con i suoi centoventi scalini di porfido, ciascuno dei quali ricavato da un solo pezzo di marmo lungo oltre tre metri, quest’opera monumentale collega il portico di Largo Goldoni col piano nobile dell’edificio.


La realizzò, nel 1640, Martino Longhi il Giovane, appartenente a un’illustre famiglia di architetti lombardi e considerato dalla critica uno dei più originali artisti del barocco romano, in grado di reggere il confronto con i grandi dell’epoca, dal Bernini al Borromini. E sempre del Longhi è pure la bellissima altana del palazzo, che tra i vari personaggi, ospitò anche il giovane Luigi Napoleone, il futuro Napoleone III. C’è, infine, la quarta meraviglia, il portone dei Carbognani, che si apre in via del Corso al numero 239. È ingresso principale del palazzo costruito, alla fine del Cinquecento, da Flaminio Ponzio per i Colonna del ramo Sciarra, signori di Carbognano e per questo identificati popolarmente come i Carbognani.


Realizzato, probabilmente, da Orazio Torriani, è composto da due grandi colonne doriche e una mensola che reggono il balcone. Fa parte dell’esclusivo quartetto perché, secondo la tradizione, l’architetto avrebbe ricavato il materiale da un unico gigantesco masso di marmo antico. Bello, non c’è dubbio, ma in questo caso, forse, si poteva scegliere diversamente.


(Gabriella Serio - Curiosità e segreti di Roma)

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