Il portone ligneo di Santa Sabina

febbraio 21, 2021

A Santa Sabina ci sono tante cose da vedere, tante curiosità e leggende, alcune delle quali le abbiamo anche raccontate: quella, per esempio, dell’arancio di San Domenico, e quella relativa alla pietra del DiavoloOra andiamo a cercare un’altra particolarità di questa meravigliosa basilica, che non a caso è chiamata “la Perla dell’Aventino”. Quella che sembra l’entrata principale, da piazza Pietro d’Illiria, in realtà è una entrata laterale. L’ingresso principale alla Basilica, un tempo, avveniva attraverso un portale, che già di per sé è un capolavoro. È considerato il più antico esempio di scultura lignea paleocristiana esistente al mondo, costruito insieme alla chiesa, intorno al 432 d.C., in legno di cipresso, e rimasto per tutti questi secoli sempre al suo posto, giungendo in ottime condizioni fino ai nostri giorni.
 

Questo “miracolo” fu possibile perché nel 1222 la chiesa venne affidata ai domenicani che inglobarono la zona del portale nella clausura del loro nuovo convento. Il portale, quindi, perse la funzione di ingresso principale, ma al riparo delle intemperie e dagli atti vandalici, guadagnò il primato che ancora lo contraddistingue. Grazie quindi ai fraticelli se ancora oggi è possibile ammirare lo straordinario mosaico di pannelli intagliati, che ne formano i battenti, ciascuno riproducenti scene tratte dall’Antico e dal Nuovo Testamento. Gli stipiti sono ricavati da cornici di età romana, decorati con palmette e fiorellini. Due grandi ante sono suddivise in ventotto riquadri rettangolari, alternati quattro piccoli e quattro grandi, dei quali ne restano solo diciotto, incorniciati da un fregio naturalistico di grappoli e foglie d’uva, con scene che raffigurano le storie di Mosè, di Elia, Eliseo e Abacuc, l’Epifania e gli episodi della vita di Gesù. Tra questi ultimi ve n’è uno, posto in alto sulla sinistra, del tutto eccezionale. Saremmo quasi tentati a non farci caso, abituati come siamo a questo tipo di immagine diffusa; le rappresentazioni della crocefissione sono innumerevoli, tutti i luoghi di culto hanno la loro immagine del Cristo in croce e innumerevoli artisti l’hanno riprodotta.


Ma una cosa c’è da sapere: la Chiesa dei primi secoli vietava rappresentare lo strazio del Golgota; la crocefissione, in quel periodo, era la pena riservata agli schiavi e rappresentare, in modo così poco glorioso, Cristo nel momento del suo supplizio, era considerato un modo blasfemo di confermare l’umiliazione subita dal Nazareno, anziché testimoniare il suo sacrificio per la salvezza dell’uomo. Ci vollero secoli prima che la sensibilità della comunità cristiana accettasse questa iconografia. Questa forma di rappresentazione inizia ad apparire solo dal Cinquecento. Forse a rompere per prima gli indugi, fu proprio la mano di questo anonimo artista, sulla porta lignea di Santa Sabina; una mano guidata da un linguaggio formale, che si ispirava all’arte popolare tardo-antica in vigore all’epoca. Il Cristo al centro è rappresentato di dimensioni più grandi rispetto alle due figure laterali, e non per incapacità dell’esecutore, ma probabilmente per esaltare l’elevatezza spirituale di Gesù; manca la profondità di campo, l’immagine si staglia su una sorta di muro compatto e, con un certo timore reverenziale, il nostro coraggioso scalpellino, accennò appena l’immagine della croce, che si intravede sotto le mani, perforate dai chiodi. Possiamo quindi affermare che la formella in alto a sinistra è considerata la più antica rappresentazione conosciuta della crocifissione.

(foto da internet)
La distanza dal riquadro rende difficile l’individuazione di un elemento curioso: l’intarsio delle figure dei due ladroni disegna un sorriso di speranza sul volto della figura a destra di chi guarda e una smorfia sconsolata senza futuro in quella di sinistra. Il Vangelo di Luca 25, 35-43 fa parlare il buon ladrone di destra e recita: <…E disse: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Gli rispose: “In verità ti dico oggi con me sarai nel paradiso”>. Non si riesce a cogliere il criterio, se mai ve ne fosse uno, che lega i vari pannelli fra di loro. Le storie sono apparentemente mischiate, non vi è una parte relativa all’Antico Testamento e una al Nuovo.  Un’altra curiosità la troviamo nel riquadro in cui è raffigurato l’episodio del passaggio del Mar Rosso. La testa del faraone che annega nelle acque del mare è in realtà quella di Napoleone Bonaparte.


A tal proposito si narra che nel 1836, ben quindici anni dopo la morte dell'imperatore francese, durante alcuni lavori di manutenzione della porta, un restauratore, che probabilmente odiava Napoleone, forse per motivi religiosi, profanò la scultura, al fine di augurare a Bonaparte la dannazione eterna.

(Rinaldo Gennari – Stravaganze romane)
(Gabriella Serio – I tesori nascosti di Roma)
(allontanarsidallalineagialla.blogspot)
(arte-argomenti.org)

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