L'Egitto a Roma

ottobre 31, 2020


Girando per le strade e i musei di Roma può capitare di imbattersi in pezzi di Egitto… non sto parlando della Piramide Cestia, romanissima imitazione delle grandi tombe dei faraoni e neanche degli obelischi (quasi tutti originali, tranne l’Esquilino, l’Agonale, il Sallustiano e quello del Pincio, che sono copie romane), ma delle tante, tantissime statue provenienti dall’Egitto o ispirate alla sua arte che decoravano edifici pubblici e privati della città. C’è la collezione capitolina proveniente principalmente dall’Iseo Campense, del quale parleremo tra poco; la collezione del Museo Gregoriano Egizio, voluta da Gregorio XVI nel 1839, che raccoglie reperti dell’antico Egitto proveniente in larga parte da Villa Adriana.


Ci sono i leoni della Cordonata del Campidoglio


o della fontana del Mosè, poi rimossi – o forse scappati! – da quel monumento tanto brutto da essere ribattezzato dai romani il Mosè ridicolo ed essere fatto oggetto di diverse pasquinate, che irridevano alla sua disarmonia e al suo incapace architetto, Giovanni Fontana: “
guardo con occhio torvo, l’acqua che sgorga ai pié, pensando inorridito, al danno che a lui fe’, uno scultor stordito.” O ancora: “E’ buona l’acqua fresca e la fontana è bella, con quel mostro di sopra però non è più quella. O tu, Sisto, che tanto tieni alla tua parola, il nuovo Michelangelo impicca per la gola”.


C’è poi una delle statue parlanti: la massiccia Madama Lucrezia di piazza San Marco, busto in realtà di una sacerdotessa di Iside o Iside stessa che, come Cenerentola, avrebbe perso la scarpetta (a dir la verità con tutto il piede!) se a lei appartiene il frammento scultoreo che dà il nome a via Piè di Marmo.


C’è anche una sala riccamente decorata con motivi egittizzanti nascosta nel cuore del Palatino (la c.d. Aula Isiaca). Il rapporto dei Romani con l’Egitto, e soprattutto con la sua religione, è emblematico per comprendere molte cose sull’antica Roma. Il culto di Iside e Osiride già dal III secolo a.C. aveva iniziato a diffondersi per tutto il Mediterraneo e nel I sec. a.C. i fedeli di tale religione erano tanto numerosi a Roma, da richiedere la costruzione di un grande luogo di culto; sorse allora l’Isium Metellinum, dal nome di colui che lo realizzò, Publio Cecilio Metello Pio, cui seguì nel 43 a.C. l’Iseo Campense (dal luogo della sua ubicazione, nel Campo Marzio) a opera dei triumviri Ottaviano, Marco Antonio e Lepido.


L’Iseo Campense era ornato con statue di grandissimo valore storico provenienti da Hebit, il più antico luogo di culto della dea Iside in Egitto. Quando l’imperatore Tiberio nel 19 d.C. ne ordinò la distruzione, neanche tali venerande statue furono risparmiate e insieme agli arredi sacri furono gettate nel Tevere. Il perché di tanta furia fu dovuto a uno scandalo. Ci parla della vicenda Flavio Giuseppe nelle sue "Antichità Giudaiche" e viene da chiedersi se Adrian Lyne, o meglio Jack Engelhard, rispettivamente regista e autore del romanzo "Proposta indecente", celebre film con Rober Redford e Demi Moore, si siano ispirati a questo scandalo romano. Lo storico giudeo-romano, ci racconta di come, al tempo dell’imperatore Tiberio, il cavaliere Decio Mundo si fosse invaghito della matrona Paolina, cui aveva fatto appunto una proposta indecente: in cambio di una notte d’amore le aveva promesso duecento dracme attiche. Paolina, al contrario di Demi Moore, aveva sdegnosamente rifiuta le molte avances dell’uomo. Accadde però che la donna, devotissima fedele di Iside, venne a sapere dai sacerdoti della dea che ben altro amante la bramava per sé: nientemeno che il dio Anubi.


Trattandosi di un dio, la donna non se la sentì di fare la preziosa e, anzi, confidò orgogliosa la cosa al marito Saturnino e alle amiche. Si preparò, quindi, all’incontro nell’Iseo, appunto, dove il dio sciacallo le si manifestò, come già era accaduto nel mito ad Acca Larenzia con Ercole; i due cenarono insieme e passarono poi l’agognata notte d’amore. Il mattino dopo però Anubi perse la sua testa di sciacallo e Paolina si rese conto di essere stata vittima dell’inganno di Munto, che era arrivato a corrompere i sacerdoti di Iside, per inciso per una cifra molto inferiore a quella offerta alla donna! Infuriata, la matrona raccontò tutto al marito, il quale pretese giustizia nientemeno che dall’imperatore in persona, che condannò Mundo all’esilio, fece crocefiggere i sacerdoti di Iside e infine ordinò la distruzione del tempio e delle statue in esso conservate, che vennero gettate nel Tevere. Venne così bandito il culto egizio e quello giudaico, quattromila liberti aderenti a tali “superstizioni” vennero deportati in Sardegna per combattere il brigantaggio, mentre tutti gli altri devoti che non volessero abbandonare il loro credo dovevano parimenti lasciare l’Italia. La scomunica però fu solo temporanea: Caligola restaurò il tempio; Vespasiano e Tito vi trascorsero la notte precedente al loro trionfo nella speranza di essere visitati da sogni profetici; Domiziano lo ricostruì e abbellì dopo l’incendio dell’80 d.C.


Insomma, gli imperatori successivi a Tiberio non solo rispristinarono, ma altresì favorirono il culto, nel tentativo di accaparrarsi la benevolenza dei suoi fedeli. Dell’Iseo del Campo Marzio oggi rimane ben poco: alcuni obelischi sparsi qua e là per la città (forse proveniva da qui quello oggi posto sulla fontana dei Fiumi a Piazza Navona, di certo una serie di obelischi più piccoli: uno in piazza della Rotonda, un altro davanti a Santa Maria sopra Minerva, un altro ancora in via delle Terme di Diocleziano, nascosto in un’aiuola, e infine altri due finiti rispettivamente a Firenze e Urbino), qualche frammento di statua (la già citata Madama Lucrezia e il suo probabile piede, leoni e babbuini sparsi nei musei).



(Flavia Calisti – Alla scoperta dei segreti perduti di Roma)


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