Chiesa di Santa Maria dell'Orto

maggio 11, 2021

Si dice che Roma abbia più chiese che case e vederle tutte è quasi impossibile, ma una in particolare, resta ingiustamente fuori dai classici percorsi turistici, nonostante la sua ricca ed originalissima decorazione. Siamo a Trastevere, in una zona un po’ defilata rispetto al cuore del rione, vicino all’antico porto fluviale di Ripa Grande. Un tempo questa zona era un via vai di persone, importante snodo commerciale, grazie proprio alla vicinanza del porto, frequentata da commercianti, bottegai, artigiani, gente del popolo. Ed è proprio grazie a loro che fu possibile la realizzazione di Santa Maria dell’Orto. Perché in questo caso, non furono papi o nobili vari a volerne la costruzione, ma fu il popolo di Trastevere, i lavoratori delle varie corporazioni, questa è la loro chiesa.


Ma andiamo con ordine. Le origini della chiesa partono, come spesso accade, da un evento miracoloso. Verso la fine del Quattrocento tutta la zona era prevalentemente coltivata ad orti, un contadino gravemente malato fece un voto davanti all’immagine di una Madonna dipinta su un muro, con la promessa che, se fosse guarito, avrebbe tenuto una lampada sempre accesa davanti alla sua immagine. Miracolosamente guarì e l’uomo mantenne la sua promessa. La notizia si divulgò e in breve tempo l’immagine divenne oggetto di culto, tanto che gli stessi abitanti della zona decisero di edificare una piccola cappella per proteggere l’immagine sacra. Nel 1492 papa Alessandro VI approvò la confraternita della Madonna dell’Orto, che nel 1588 Sisto V elevò al rango di Arciconfraternita, che tuttora seguita a curare la chiesa di Santa Maria dell’Orto. Quando si sentì l’esigenza di costruire una chiesa la Confraternita poté contare sull’aiuto delle Università delle Arti e dei Mestieri, cioè le corporazioni dei lavoratori, in pratica quelle che oggi chiameremmo “associazioni di categoria”.


Ortolani, pizzicaroli, fruttaroli, pollaroli, vignaroli, vermicellari, mosciarelli (venditori di castagne, “mosciarella” è un tipo di castagna secca molto famosa nel Lazio), molinari, barilari, scarpinelli, sensali e mercanti, non badano a spese e realizzano una chiesa tutt’altro che semplice, come ci si potrebbe aspettare, vista la committenza “popolare”. Ogni corporazione si prese in carico l’abbellimento e la manutenzione di una cappella e le dodici università gareggiarono per rendere il luogo uno scrigno d’arte, utilizzando i fondi di cui disponevano grazie ai contributi dei loro associati. Ogni dipinto, ogni stucco, ogni decorazione, è facilmente riconducibile al suo “sponsor”. In tutta la chiesa, infatti, sono presenti iscrizioni che rimandano alle corporazioni che parteciparono alla sua costruzione.


Anche chi non sapeva leggere avrebbe facilmente riconosciuto l’autore dell’impresa da un simbolo che affiancava il nome stesso dell’università. Abbiamo quindi, accanto a capolavori di artisti come gli Zuccari, Baglione e Giaquinto, un insieme di elementi vegetali e floreali, quali zucchine, melanzane, pomodori, peperoni, carciofi, scarpe, galletti e polli, non certo comuni in una chiesa, ma che la rendono originale e stupefacente. Proprio di fronte all’altare maggiore, disegnato da Giacomo Della Porta, l’università dei fruttaroli ha realizzato una bella ghirlanda colma d’ogni tipo di frutta: ciliegie, uva, limoni; mentre la splendida vetrata è decorata con i simboli dell’Ave Maria realizzati con ortaggi vari, fra cui pomodori, carciofi, zucche, peperoni e melanzane.


La facciata, progetto del Vignola, si presenta a due ordini divisi da paraste, con il portale centrale fiancheggiato da due colonne e sormontato da timpano curvo, mentre i due portali laterali, sono a timpani triangolari. Un’iscrizione lungo la trabeazione che divide i due ordini, inferiore e superiore, recita: “La cappella rovinata della Vergine madre di Dio e dell’Orto i confratelli trasformarono in questa chiesa, la dedicarono, vi aggiunsero un ospizio per nutrire i poveri a proprie spese e con devozione". Completano l’insieme una serie di piccoli obelischi in travertino. L’interno è diviso in tre navate con cappelle laterali. Sull’altare maggiore un’opera giovanile di Federico Zuccari “l’Annunciazione” eseguito ad appena ventidue anni.


Sempre a Federico Zuccari, con la collaborazione del fratello Taddeo, sono riconducibili gli affreschi del catino absidale con Storie della Vergine. Molte le opere di Giovanni Baglione che lavoro nella chiesa nell’arco di 43 anni. Infine, tre curiosità che riguardano Santa Maria dell’Orto. La prima è una tradizione, unica nel suo genere a Roma: il Giovedì Santo viene allestita sull’altare maggiore la cosiddetta Macchina delle Quaranta ore. Una struttura in legno dorato dell’Ottocento ornata da trecento candele, che quando vengono accese rischiarano la chiesa creando un’atmosfera unica e suggestiva. La cerimonia consiste nell’esposizione per quaranta ore dell’ostia consacrata. La seconda curiosità riguarda il mondo del cinema; in questa chiesa sono infatti girate molte scene del film “Roma città aperta”, dove Aldo Fabrizi interpreta il ruolo di Don Pietro (ispirato alla figura di Don Giuseppe Morosini) e, infine, la terza curiosità riguarda … un tacchino! Sembra che nel Seicento l’Università dei Pollaroli abbia regalato alla confraternita un tacchino di legno. Non cercatelo nella chiesa. È gelosamente custodito in sagrestia ed è visibile solo con visita prenotata su appuntamento.


(Giulia Fiore Coltellacci – I luoghi e le storie più strane di Roma)

(finestresull’arte.info)

 (romasegreta.it)

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