Roma libera!

giugno 04, 2020

Arrivo a Roma degli americani (foto da internet)

... e finalmente, alle prime luci del 4 giugno '44, a Roma, arrivano gli alleati. Arrivano dopo quasi 22 anni da quella marcia che portò Mussolini, dal vagone-letto, direttamente al potere (28 ottobre '22).
Arrivano 14 mesi dopo il terribile bombardamento di S. Lorenzo, di cui ancora oggi ignoriamo il numero preciso delle vittime (quattromila?). Arrivano 11 mesi dopo la caduta del fascismo, quel 25 luglio che aveva fatto riversare la gente nelle piazze, con la certezza che ormai era finita e invece poco dopo i nazisti occupano Roma da padroni, come avevano già fatto a Parigi. E il peggio doveva ancora venire: la terribile notte del 16 ottobre, quando duemilanovantuno ebrei romani vengono trascinati nei campi di sterminio, dal quale tornarono in pochissimi.


Arrivano gli alleati, 5 mesi dopo che erano sbarcati ad Anzio, il 22 gennaio, quando sembrava che dovessero precipitarsi a Roma in pochi giorni; ma ci fu ancora il tempo perché i fascisti di "Roma o morte" potessero ammazzare, il 1 febbraio, lo studente universitario Massimo Gizzio, davanti al Liceo Dante: "morte per perforazione dell'intestino. Mezzo usato: arma da fuoco". E poi, il rastrellamento del Quadraro, la cosiddetta Operazione Balena, con centinaia di deportati e la ritorsione lucidamente folle dell'attentato di via Rasella del 24 marzo.

In una frenetica caccia all'uomo si portarono alle Fosse Ardeatine ebrei, militari, detenuti comuni, passanti, più altri 50 nominativi forniti a Kappler dal solerte questore Caruso, per raggiungere il numero di 330 da fucilare (più altri cinque perché non sapevano contare).


E ancora, il 3 aprile, la fucilazione da parte dei fascisti di Don Morosini, che resterà per sempre impresso nella nostra mente con la faccia di Aldo Fabrizi, di "Roma città aperta".
Arrivano gli americani, dopo che il loro comandante, generale Mark Clark, ha litigato furiosamente con il maresciallo inglese Alexander, fino al punto di affermare che avrebbe difeso con le armi "il suo diritto ad entrare per primo a Roma". Il diritto e l'onore di guidare il primo esercito che avrebbe "conquistato" Roma dal Sud. Arrivano gli alleati, dopo gli incontri segreti tra il comandante delle SS Wolfe e il Papa Pio XII, che ammonisce il 2 giugno, S. Eugenio, suo onomastico: "Chiunque osasse levare la mano contro Roma". Meglio tardi che mai! E il giorno dopo, i grandi alberghi di Via Veneto vedono partire precipitosamente gli alti ufficiali tedeschi e i loro compari (Caruso arriva carico di soldi e oro a Bracciano, dove si scontra con un'auto tedesca. All'ospedale di Viterbo viene riconosciuto dai partigiani e portato nel suo "regno", Regina Coeli). Sempre il 3 giugno da via Tasso vengono fatti uscire e caricati su due camion tutti i prigionieri.
Uno non parte per un guasto: resta lì, con il suo carico umano, l'altro arriva fino a La Storta e si scassa. Per scappare più velocemente i tedeschi fucilano sul posto 15 prigionieri, fra i quali Bruno Buozzi.


Invece il governatore di Roma, generale Maeltezer si va a godere l'opera "Un ballo in maschera" con Beniamino Gigli, che nel finale canta "Diletta America". Finito lo spettacolo sale in macchina e scappa al Nord, senza nemmeno recarsi a Frascati, per salutare Kappler. Finalmente, dopo che alle 23.15 la radio alleata pronuncia la parola segreta "Elefante", la mattina di quella domenica 4 giugno 1944, nelle stesse ore in cui avveniva lo sbarco in Normandia, entra in Roma la V armata americana (sembra ci fosse anche il padre di Bill Clinton). Il suo generale si dirige subito verso S. Pietro, poi va in Campidoglio, guidato da un ragazzo che precede la Jeep in bicicletta. Quello che vede è una città sostanzialmente ancora integra nelle sue strutture (il comandante dell'aviazione americana Eaker, che aveva distrutto l'abbazia di Montecassino, aveva inserito Roma tra le città da non bombardare, "nel limite del possibile"), ma la popolazione era a pezzi. Clark sapeva che Churchill aveva vietato i rifornimenti di cibo dal mare, per evitare che i tedeschi si impadronissero dei carichi. La razione giornaliera di pane era ridotta a 100 grammi, che i più furbi integravano con la minestra del popolo fornita dal Vaticano. Si prenota al Banco di Santo Spirito, ma al momento della distrubuzione, le prenotazioni saltano sempre e avvengono zuffe bestiali, con cariche dei vigili metropolitani a cavalli, svenimenti e gente calpestata. La gente stringeva la cinghia, nel senso letterale del termine, ed era arrivata ormai all'ultimo buco, ribattezzato ironicamente Foro Mussolini.


Mi ha raccontato il mio amico Mario D.Z., allora undicenne, che le madri ogni mattina salutavano i figli dicendo: "Stai attento...e non tornare per pranzo". Clark vede gente terrorizzata dalla paura dei fascisti, ogni giorno più cattivi, e delle loro spie: famosa la Pantera Nera, Celeste Di Porto, collaborazionista ebrea, specializzata nel vendere i suoi correligionari e non solo, alla bella cifra di 5 mila lire. Ma i romani sono terrorizzati anche dai racconti di chi veniva dalla Ciociaria, che portava, oltre ai prodotti da vendere alla borsa nera, anche notizie di stupri terribili da parte dei "liberatori". Molte bambine trascorrono i primi giorni della liberazione chiuse nelle cantine, da dove erano appena usciti i loro fratelli disertori (solo il 10% dei romani rispose alla leva militare e del lavoro, contro il 40% delle altre zone in mano ai fascisti). Questo vide Clark e forse vide anche la faccia stupita di Mario Ruccione, autore di "Faccetta nera", quando alla Galleria Colonna, tra i soldati di ogni paese, compresi i 1600 carabinieri italiani del contingente R, passarono i fanti brasiliani, che a ritmo di samba, cantavano proprio il suo inno al fascismo.

Il generale Mark Clark (foto internet)



(di Luigi Stanziani)



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