10° ITINERARIO - RIONE VI PARIONE (SECONDA PARTE)

novembre 03, 2021

Totale percorso km. 2, 47  questa la mappa


La seconda parte del nostro itinerario inizia con la visita al Museo di Roma, ospitato nel Palazzo Braschi.
L’edificio fu costruito, nel 1792, dall'architetto Cosimo Morelli, per volere di papa Pio VI Braschi, il quale l’anno precedente, a questo scopo, aveva fatto demolire il palazzo Orsini, acquistato qualche anno prima. Beneficiari di questa nuova costruzione, erano i due nipoti del papa, Romualdo e Luigi Onesti, e può considerarsi l’ultimo palazzo romano simbolo del nepotismo pontificio, prima dei cambiamenti politici e culturali, provocati dalla Rivoluzione francese. Fu venduto allo Stato italiano nel 1871 e divenne sede del Ministero degli Interni e in seguito, durante il periodo fascista, sede di alcune istituzioni del regime. 
Diventa Museo di Roma nel 1953, dopo essere stato, alla fine della guerra, per tre anni, dimora di alcune famiglie di senzatetto, cosa che provocò un grave danno agli affreschi e ai pavimenti a causa dei numerosi fuochi che vi si facevano. Nel 1987, il degrado strutturale e conservativo dell’edificio, impone una chiusura per un lungo restauro. 
Riapre nel 2002, ma i lavori continuano ed ora il palazzo si presenta come un prestigioso contenitore, dove oltre alle opere contenute, (più di centomila fra dipinti, sculture, incisioni, fotografie, abiti,) anche le decorazioni murali, gli arredi fissi e mobili, i solai a cassettoni decorati e i pavimenti decorati, rappresentano già da soli un buon motivo per entrare e visitare questo museo, per non parlare dello scalone d’onore, definito da alcuni come “il più bello e ricco del mondo”.
Oltretutto, essendo diventato Comunale, il museo è anche visitabile gratuitamente per i residenti possessori della tessera MIC. Costeggiamo il palazzo lungo via della Cuccagna e, prima ancora di arrivare in Piazza Navona, svoltiamo a destra in Vicolo della Cuccagna. Arriveremo in Piazza dei Massimi, una deliziosa piazzetta adibita ormai, purtroppo, solo a parcheggio. 
Le macchine si addossano all'unica colonna superstite dell’antico Odeon di Domiziano, il teatro coperto che l’imperatore volle vicino allo Stadio, per le gare musicali e le audizioni. La Colonna è stata innalzata nel 1950 davanti al Palazzo Massimo istoriato, il più antico di quelli che la famiglia dei Massimi aveva in questa zona. Chiamato così per la sua facciata interamente decorata con pitture a monocromo che raffigurano storie del Vecchio e Nuovo Testamento. 
Usciamo dalla piazzetta prendendo via S. Giuseppe Calasanzio e arriviamo in Corso Rinascimento, svoltiamo a destra e torniamo su Corso Vittorio Emanuele per andare a vedere l’altro meraviglioso palazzo Massimo, quello cosiddetto alle Colonne, considerato il capolavoro dell’architetto Baldassarre Peruzzi, ricostruito tra il 1532 e 1536, dopo la distruzione, a seguito del Sacco di Roma del 1527, del preesistente edifico.
La particolarità del palazzo sta nella sua curvatura, che segue l’andamento dell’antico teatro Odeon, sui resti del quale fu costruito. Il caratteristico portico, formato dalle sei colonne doriche, immette in un cortile anch'esso porticato con colonne doriche. Ogni anno, il 16 marzo, il palazzo apre le porte ai visitatori, per commemorare, quello che si ritiene un miracolo di San Filippo Neri, quando nel 1583 fece resuscitare, per breve tempo, Paolo Massimo, figlio quattordicenne del principe Fabrizio. A questo punto attraversiamo Corso Vittorio Emanuele e continuiamo la visita del rione Parione dall'altro lato, quello che, come spiegavo nella prima parte è il più popolare, con i nomi delle strade che richiamano gli antichi mestieri che vi si svolgevano. Prendiamo, per l’appunto, Via dei Chiavari, che segna la linea di confine con il rione Sant'Eustachio, a cui appartiene la chiesa S. Andrea della Valle, che quindi non prenderemo in considerazione in questo caso. Il toponimo deriva dai fabbricanti di chiavi e serrature, che facevano parte della Confraternita dei Ferrari alla quale appartenevano, fra gli altri, anche i maniscalchi, gli armaroli, i calderari, gli ottonari, gli stagnari. Tutta questa zona che da Campo de fiori arriva a Largo Argentina, era occupata in antichità dal Teatro di Pompeo, e via dei Chiavari delimita perfettamente il confine tra la scena e il quadriportico del Teatro.
Ne percorro un tratto e giro poi a destra in Piazza del Paradiso, dal nome di una delle più antiche locande medioevali di Roma, la "Locanda del Paradiso", che in realtà erano due, vicine, chiamate “il Paradiso Grande” e “il Paradiso Miccinello”; in questa piazza si usava “mettere alla berlina” chi si macchiava di reati minori, cioè si esponevano costoro alla pubblica derisione, molto spesso sopra un palco e con l’indicazione del crimine commesso. Non posso non notare il bel portale di un edificio settecentesco, con cornice marmorea e mensole che sorreggono il balconcino soprastante, il quale è letteralmente ricoperto di fiori e piante ricadenti. 
Proseguo su via del Biscione e arrivo nell'omonima piazza. In questo caso l’origine del nome della via e della piazza non è molto chiara, alcune tesi sostengono che deriverebbe dall'anguilla presente nello stemma degli Orsini, che nella zona possedevano alcune proprietà; mentre ipotesi meno probabile è che derivi dal biscione visconteo contenuto nell'insegna di una locanda di proprietà o gestita da milanesi. 
Tutta questa zona, come già detto, era interessata dalla grande struttura del Teatro di Pompeo, sulle cui rovine gli Orsini costruirono le loro prime dimore. Mi trovo davanti al Palazzo Pio Righetti, costruito nel 1450 dal card. Francesco Condulmer, nipote di Eugenio IV e rientrato in possesso degli Orsini nel 1494, che lo restaurarono e inserirono un orologio nella Torre Arpacata, ormai inglobata nel palazzo e che presumibilmente è quell'edificio stretto e quadrato che si trova a sinistra del cinema Farnese. 
Fu poi proprietà dei Pio di Savoia da Carpi che lo ristrutturarono completamente nel 1667 ad opera dell’architetto Camillo Arcucci, che realizzò la maestosa facciata che vediamo ora, con le finestre del primo piano a timpani curvilinei e teste di leone e pigne, quelle al secondo a timpani triangolari decorati con aquile coronate, tutti simboli araldici della famiglia Pio di Savoia, mentre il cornicione è decorato con protomi leonine e rose, emblema degli Orsini. Nell'Ottocento divenne proprietà del banchiere Righetti. Sul fondo della piazza affaccia un palazzetto piuttosto malconcio, ma dal fascino indiscutibile, ricco di decorazioni graffite dai colori vivaci che si ritiene essere probabilmente l’edificio che un tempo ospitava le stalle dell’attiguo palazzo Pio Orsini Righetti. Una Madonnella posta all'interno di una cornice di stucco è conosciuta come “Madonna del latte” e reca l’iscrizione “In Manibus tuis sortes meae”. 
Proprio accanto a questo palazzetto percorro uno stretto vicolo, in fondo al quale un arco mi immette in quello che è chiamato il Passetto del Biscione, un basso, oscuro sottopassaggio, da poco tornato alla sua bellezza originaria con un sapiente restauro che ha regalato alla città una bellezza dimenticata che meritava di essere riscoperta. 
All'interno si trova l’immagine ridipinta della Madonna della Misericordia del Pulzone, il cui originale si conserva ora nella chiesa di San Carlo ai Catinari, e che in antichità era molto venerata, tanto che proprio da qui nasce il famoso detto “andare a cercar Maria per Roma”, in quanto l’affresco era così nascosto nel piccolo tunnel che per trovarlo bisognava fare una vera e propria caccia al tesoro. In antichità il passaggio collegava la cavea del Teatro di Pompeo con l’esterno. Per uscire dal sottopasso non più un arco, ma due strette aperture, parallele fra loro, con gli stipiti di travertino, che tramite tre scalini, mi conducono in via di Grottapinta, che, inutile dirlo, prende il nome proprio dai dipinti della “grotta” appena percorsa. La cosa straordinaria in questa via è il palazzo con la facciata a semicerchio che ricalca perfettamente la curva interna della cavea del Teatro di Pompeo, che ha fatto da fondamenta all'edificio. 
Potendo scendere nei sotterranei del palazzo, infatti, vedremmo ancora i muri in “opus reticulatum”, la tipica tecnica edilizia muraria usata dai romani. Pur non essendo maestoso come quello originale, ancor oggi, in questo edificio, si trova un piccolo spazio dove vanno in scena commedie e spettacoli satirici: Il Teatro dei Satiri, ma credo che proprio recentemente sia stato costretto alla chiusura. Torniamo in via dei Chiavari passando però da Largo del Pallaro, anche perché da qui avremo una visione della cupola di Sant'Andrea della Valle davvero stupefacente. 
Sembra di poterla toccare con mano! il nome di questa piazza deriva dal fatto che qui si svolgeva un gioco molto simile al nostro odierno Lotto, dove un “pallaro” raccoglieva le scommesse ed estraeva 5 palle numerate da 1 a 90. Il gioco, come tutti i giochi d’azzardo, spesso e volentieri finiva in rissa, per questo, nel 1780, fu proibito. In via dei Chiavari al numero civico 6 è la casa di Cassiano dal Pozzo, scienziato, archeologo e collezionista, scopritore di illustri talenti. È infatti al suo fiuto che si deve il lancio di “giovani ben intendenti” come il Domenichino, Nicolas Poussin, Alessandro Algardi e persino dei due geni del barocco romano: Pietro da Cortona e Gian Lorenzo Bernini. Inoltre, tra tutti questi artisti, è proprio Cassano dal Pozzo a “scoprire” e lanciare una delle rare figure femminili nel mondo dell’arte di quel periodo: Artemisia Gentileschi. È anche lui l’autore del celebre “Museo Cartaceo” una raccolta che comprendeva disegni e stampe ordinati in sezioni tematiche come la botanica, l'ornitologia, la zoologia, i riti ed i giochi degli Antichi, la pittura greca e romana, l'architettura classica e rinascimentale, nonché una sezione dedicata ai "libri dei disegni" eseguiti dai grandi artisti del Cinquecento come Perin del Vaga, Polidoro da Caravaggio, Girolamo da Carpi e Pirro Ligorio, e dei suddetti "giovani ben intendenti".
Alla sua morte la collezione passò alla famiglia Albani e fu poi venduta al re di Prussia. Durante il trasporto in mare la nave affondò e molti dei libri andarono perduti. Quelli recuperati sono ora divisi tra varie collezioni e la maggior parte si trova nella Collezione Reale a Windsor.  Poco più avanti dal lato opposto, si notano sul muro i resti di quella che era chiamata Torre Tufara, una torre medievale che probabilmente poteva far parte, insieme alla Torre che si trovava in vicolo dei Chiodaroli 15, e all'altra in via del Monte della Farina 30, oggi tutte inglobate negli edifici costruiti successivamente,  di un unico complesso fortificato che aveva come nucleo centrale il suddetto Palazzo Orsini e la sua Torre Arpacata.  
Questa ipotesi è data dal fatto che tutte le torri sembrano essere in linea fra loro, e potevano essere collegate l’un l’altra da un muro, i cui resti potrebbero essere quelli individuati ai lati della torre a via del Monte della Farina. Stiamo percorrendo una zona di confine fra i rioni Parione e Sant'Eustachio, cui appartiene il lato sinistro della strada e arriviamo in via dei Giubbonari che addirittura si divide tra tre rioni: il lato destro del tratto che andremo a percorrere fino a Campo de Fiori è Parione, il lato sinistro è Regola per tutto il percorso, partendo da piazza Benedetto Cairoli , mentre il lato destro del tratto che dalla piazza arriva fino a via dei Chiavari appartiene a Sant'Eustachio.  Il nome è dato ai tessitori di corpetti, dal latino “Jupponarii”. È una strada molto commerciale, con una fila quasi ininterrotta di negozi che si susseguono l’un l’altro, fino a Campo de’ Fiori. A circa metà della via si trova largo dei Librari, con la caratteristica chiesa di Santa Barbara dei Librai, perfettamente incastonata all'interno di due antichi palazzi. 
È una delle chiese più piccole di Roma, dedicata alla Santa considerata protettrice delle morti violente e improvvise. La leggenda racconta che, divenuta cristiana, venne denunciata dal suo stesso padre Dioscuro, e dopo essere stata torturata fu condannata alla decapitazione per mano del genitore, che una volta eseguita la condanna, venne ucciso da un fulmine. La chiesa fu consacrata nell'anno 1306, ma le sue origini risalgono al X o XI secolo, come ricorda una lapide al suo interno che la dichiara appartenente a Giovanni di Crescenzio de Roizo e sua moglie Rogata, senatrice dei Romani. Nel 1601 papa Clemente VIII la affidò alla Confraternita dei Librai e nel 1680 fu ricostruita nelle attuali forme barocche da Giuseppe Passeri. Dopo il 1870 la Confraternita venne sciolta e la chiesa fu abbandonata e sconsacrata e addirittura adibita a magazzino. Solo negli anni Ottanta, su forte richiesta della S. Sede e della Soprintendenza ai monumenti di Roma e Lazio, è stato eseguito un importante restauro che ha portato la chiesa alla sua funzione religiosa.
L’interno è a croce greca con uguale misura della navata e del transetto, ed è ricca di decorazioni di stucchi bianchi. Sull'altare maggiore, decorato con intarsi in madreperla e avorio, è posto un quadro che raffigura “Santa Barbara in adorazione del Cristo Risorto” di Luigi Garzi, mentre sopra il portale di ingresso si trova un organo del ‘600 di notevole valore. Molto interessante è il presepe “Arti e mestieri nella Roma del 700” che dal 2005, ogni anno, dal 4 dicembre, festa di Santa Barbara, a metà febbraio, viene aperto al pubblico. Pochi passi ancora e arriviamo a 
Campo de’ Fiori, una delle più famose piazze di Roma, caratterizzata sia da una vivace vita mattutina, per via del suo famoso mercato, il più grande della città, attivo fin dal 1869, che da un'altrettanta vivace vita notturna, dovuta ai numerosi locali che circondano la piazza. La sua storia inizia fin dall'antica Roma, come luogo di rimessa per le squadre di Aurighi del Circo Massimo. A testimonianza di ciò sono proprio i resti di tali rimesse trovati in tutta la zona limitrofa. 
Sul nome circolano diverse voci: c’è chi sostiene derivi dal nome della bella Flora, amata da Pompeo, che in questa zona costruì il suo Teatro, tra il 61 e il 55 a.C., e chi, molto più verosimilmente, sostiene derivi dal fatto che, durante il Medioevo, la zona era ridotta ad un grande prato, che digradava verso il Tevere. Attorno al 1456, per conto del papa Callisto III, si ebbe una prima riqualificazione della zona, anche perché questa rappresentava la unica via percorribile verso il Vaticano, per i pellegrini che venivano da Sud. Venne, infatti, aperta quella che, ancora oggi, conosciamo come via del Pellegrino e bonificata l’area con la costruzione di fognature e servizi essenziali. Si cominciarono a costruire i primi palazzi signorili, come quello degli Orsini e già nel Cinquecento era considerata un importante punto d’incontro, dove i cittadini potevano assistere a pubbliche discussioni o leggere i vari proclami papali; quando poi anche il mercato, che prima si svolgeva a Piazza Navona, venne spostato qui, divenne un luogo prospero, pieno di osterie, fra cui la famosissima “Osteria della Vacca”, di proprietà di Vannozza Cattanei, la cortigiana amante di Alessandro VI Borgia, con il quale ebbe ben quattro figli, i più famosi dei quali certamente sono Cesare e Lucrezia. Il suo emblema araldico, consunto dai secoli, è tuttora sul muro del vicolo del Gallo, in cui l’osteria era situata.
Anche le stradine adiacenti alla piazza, che man mano venivano ampliate e sistemate, divennero simbolo di attività commerciali, come ricordano i loro stessi nomi: via dei Cappellari, dei Baullari, dei Giubbonari, tanto per citarne qualcuna. Purtroppo, però, fu anche luogo di torture e esecuzioni. La via “della Corda” non richiama i suoi fabbricanti o venditori, (per questo c’è via dei Funari), ma bensì la tortura detta “il tormento della corda”, che consisteva in un palo sul quale il colpevole veniva tenuto sospeso per le braccia, fino a provocarne la dislocazione delle scapole. L’avvenimento senz'altro più importante, ricordato con la sua statua al centro della piazza, è quello della condanna al rogo del filosofo Giordano Bruno, che non volle abiurare le sue teorie rivoluzionarie sull'infinità dell’universo e il moto della Terra. Venne arso vivo il 17 febbraio 1600. La statua venne innalzata, pur se tra mille polemiche e una forte opposizione della Chiesa, nel 1887; il suo autore è lo scultore Ettore Ferrari. Resta storica la frase pronunciata dal filosofo: “forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io nell'ascoltarla”
Sarà forse per questo che è l’unica grande piazza di Roma senza una chiesa? Spalle alla statua prendo a destra, via dei Baullari, arrivo in piazza del Teatro di Pompeo, (che prende il nome più per la vicinanza, credo, che per la presenza, visto che il perimetro dell’antico teatro è ben marcato fra via del Biscione, via dei Giubbonari, Largo di Torre Argentina, via del Sudario e Piazza del Paradiso), e giro a sinistra in Piazza della CancelleriaLa piazza prende nome dal grande palazzo che la domina. 
Costruito tra il 1485 e 1513 per volere del cardinale Raffaele Riario, nipote di Sisto IV Della Rovere, che secondo la tradizione, sembra abbia vinto in una sola notte, al gioco, la somma necessaria alla sua costruzione. Il travertino utilizzato è quello del Colosseo e del Teatro di Pompeo che si trovava nelle immediate vicinanze.  Non è ben chiaro chi sia stato a realizzarlo, forse Leon Battista Alberti, ed è considerato uno dei più bei palazzi rinascimentali della città. È certo, invece, l’intervento del Bramante per la realizzazione del cortile, a tre ordini, di incredibile eleganza e perfezione tecnica, anche qui con colonne derivanti dal suddetto Teatro.  
Poco dopo la fine della sua realizzazione venne confiscato al cardinale Riaro, accusato di avere partecipato ad una congiura contro il papa Leone X, e da allora divenne sede della Cancelleria Apostolica, tranne un breve periodo nel 1798 che fu Tribunale della Repubblica, nel 1810 che fu quello della Corte Imperiale e nel 1848 del Parlamento romano. Attualmente ospita alcuni Tribunali ecclesiastici come quello della Sacra Rota Romana. Essendo di proprietà del Vaticano gode di extraterritorialità.  Al piano nobile vi è un affresco del Vasari compiuto in soli 100 giorni, su pressione del committente, che ne aveva urgenza per festeggiarvi un matrimonio. Leggenda racconta che il Vasari si sia vantato con Michelangelo della rapidità dell'esecuzione e che la risposta di quest'ultimo sia stata: “e si vede”! in realtà sono solo voci di popolo.  L’appartamento del Cardinale ospita la Cappella del Pallio con stucchi e dipinti di Francesco Salviati, mentre, nel Salone di Studio, la volta è affrescata da Perin del Vaga. Durante alcuni lavori di manutenzione venne scoperto il sepolcro del console Aulo Irzio immerso nell'antico fiume Euripo, visitabile se si va a vedere l’interessantissima Mostra di LeonardoIl palazzo ingloba la bellissima chiesa di San Lorenzo in Damaso, per questo “invisibile” dall'esterno, non avendo una propria facciata, tanto che molti le passano davanti, passeggiando lungo Corso Vittorio Emanuele, senza nemmeno varcarne la soglia. E questo è un vero peccato, perché l’interno riserva, invece, molte sorprese. 
La Chiesa è considerata una della più antiche della città. Una prima basilica sorse intorno all'anno 380 per volere di papa Damaso I, che la costruì nella propria casa, orientata con ingresso principale su via del Pellegrino. Fu poi abbattuta e ricostruita, spostata di qualche metro, quando il cardinale Riario fece costruire il suo Palazzo della Cancelleria, tra il 1484 e 1495, nel quale venne inglobata. È passata per le mani del Bramante e del Vignola (suo il bel portale), del Bernini, di Valadier e di Vespignani con una serie di modifiche, aggiunte, rifacimenti e restauri che ne hanno sostanzialmente cambiato di volta in volta l’aspetto. Durante l’occupazione francese è stata addirittura sconsacrata e trasformata in stalla! E nel corso della metà del Ventesimo secolo è stata danneggiata da un incendio. Di antico resta la pala su lavagna di Federico Zuccari. L’interno conserva comunque una struttura tardo quattrocentesca a tre navate precedute da un vestibolo con volta a crociera, dove a destra c'è una cappella disegnata da Nicola Salvi,
(quello della fontana di Trevi per intenderci) e a sinistra, la cappella del Sacramento, commissionata dal cardinale Pietro Ottoboni ed affrescata con un'allegoria biblica da Andrea Casali. 
Tutta la chiesa è ricca di marmi, stucchi e opere d’arte di Corrado Giaquinto, Sebastiano Conca, Stefano Maderno, vi è sepolto, fra gli altri, Annibal Caro, il celebre traduttore dell’Eneide e vi fu battezzato Giuseppe Gioacchino Belli. Infine, un’immagine miracolosa si conserva in una delle cappelle a sinistra: la Vergine di Grottapinta. Finalmente il palazzo, in restauro da circa cinque anni, circondato da impalcature e completamente impacchettato da teloni pubblicitari, è stato restituito alla vista, per quanto riguarda la splendida facciata, proprio in questi giorni. Percorro ora Via del Pellegrino, costeggiando lateralmente il Palazzo della Cancelleria. A circa metà della facciata del Palazzo, dalla parte opposta del marciapiede, si apre un Arco. Se volete, come per incanto, lasciarvi alle spalle il chiacchiericcio dei turisti e il tipico frastuono che proviene dal mercato della vicina Campo de’ Fiori, passate sotto l’arco degli Acetari e vi troverete immersi in un’atmosfera d’altri tempi!
Un vero tuffo nella Roma medioevale che raramente è possibile trovare ai giorni nostri. Continuo sulla via e poco più avanti una bellissima Madonnella settecentesca è posta all'angolo con Arco di Santa Margherita.
Il personaggio nel medaglione è San Filippo Neri, mentre l’altorilievo rappresenta la “Madonna della Concezione” che quasi sembra mostrare ai passanti il bambino benedicente che tiene in braccio. Proseguo la mia passeggiata fino alla fine della via, dove sulla destra poco prima di svoltare in via dei Cartari, scorgo sul muro un cippo del pomerio di Claudio del 49 d.C. che indicava il luogo di confine tra l'urbs e l'ager publicus dopo che i confini imperiali erano stati ampliati, di cui parlo anche in una delle curiosità  del mio blog.
Da via dei Cartari esco su Corso Vittorio Emanuele, di fronte alla Chiesa Nuova, e verso destra, rientro tre traverse più avanti in via Sora dove, attraversando via del Pellegrino, entro in via dei Cappellari, che con una leggera curva diventa parallela della strada percorsa all'andata, tornando cosi verso Campo de’ Fiori. È una via di confine che separa i rioni Parione a sinistra, dal rione Regola a destra.
La via deve il nome alla comunità dei fabbricanti di cappelli che appartenevano all'Università dei Merciai. Io la trovo una via molto affascinante, anche se nell'Ottocento era cosi descritta: "Strada già rimarchevole ed amabilissima per oscurità, fango perpetuo, lordura sempiterna, casupole, sfasciumi, grotte ed altre simili piacevolezze che l'abitarvi è una benedizione...". A circa metà strada un arco la attraversa, detto dei Cappellari, fatto costruire da Paola di Giovanni Antonio Calvi che trasformò la sua casa in un monastero, chiamato “Casa Santa”, dove pregavano le cosiddette “bizzocche”, donne molto religiose, riunite in comunità, ma che non prendevano i voti. Sotto l’arco una targa del Comune di Roma, ci avvisa che quella era la casa dove nacque il poeta Metastasio, la cui statua abbiamo ammirato, nella prima parte di questo itinerario, in piazza della Chiesa Nuova.
Attiguo all'arco dei Cappellari c’è il caratteristico Arco di Santa Margherita, che unisce la strada con la parallela via del Pellegrino, passando attraverso un particolarissimo cortile, che si sta cercando di risanare dall'abbandono e dall'incuria, che regnava sovrana fino a poco tempo fa. Una ripulita al sottopasso, dei murales a coprire le indecenti e insignificanti scritte sui muri, e un’”artistica” composizione appesa di bottiglie di plastica, lo rendono un angolino davvero affascinante, tanto che anche le guide, che portano a spasso i turisti per le vie del centro, vi passano a farlo ammirare.
Ci ritroviamo, dunque, nuovamente in via del Pellegrino, all'altezza della Madonnella decritta precedentemente e da qui torniamo in Campo de’ Fiori. Attraversiamo di nuovo Piazza della Cancelleria, prendiamo sulla destra il vicolo dell’Aquila e arriviamo direttamente all'entrata del Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco, visitabile gratuitamente, quindi un peccato non entrare. Finiamo così  il nostro itinerario come lo abbiamo iniziato: con una visita museale.  Il museo è formato da una collezione di sculture antiche che vanno dall'arte assira, egizia, cipriota a quella fenicia, etrusca, greco-romana, raccolta nel corso degli anni da Giovanni Barracco un ricco calabrese, deputato del primo parlamento italiano, che donò l’intera collezione al Comune di Roma nel 1904.
La palazzina che lo ospita è definita “la piccola Farnesina” per la decorazione a gigli che erroneamente venne riferita ai Farnese, mentre, in questo caso, era una concessione onorifica di Francesco I di Francia a Thomas Le Roy, il prelato che ne ordinò la costruzione nel 1520. Le opere, circa 400, sono disposte in nove sale espositive fra il primo e secondo piano, suddivise a seconda della civiltà di appartenenza.










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