San Giovanni in Oleo

maggio 18, 2020


Lo bollirono in olio, o forse si dovrebbe dire lo frissero, Giovanni, in un gran pentolone che il tempietto di San Giovanni in Oleo avrebbe contenuto a malapena… naturalmente si può immaginare che il supplizio sia avvenuto all'aperto e il tempietto a misura di pentolone sia stato creato postumo per ricordare un così insigne testimone della fede cristiana.


La storia di Giovanni è fra le più conosciute nella millenaria storia del cristianesimo: era il più giovane degli apostoli e quello amato da Gesù in modo più affettuoso. Lo vediamo ritratto in tante versioni dell’Ultima Cena: un giovane imberbe che poggia la testa sul cuore di Cristo.


È Giovanni l’apostolo ai piedi della croce: quello che non abbandonerà mai il Signore ed è a lui che viene affidata Maria; è Giovanni l’apostolo che arriva per primo al sepolcro, vuoto, di Gesù; è infine Giovanni a scrivere uno dei Vangeli. Prima di affrontare l’esilio impostogli da Domiziano nel 95 e ritirarsi sull'isola di Patmos, Giovanni finirà nel pentolone di cui si diceva sopra. L’olio bollente lo lasciò indenne e Domiziano dovette “accontentarsi” di esiliarlo in una sperduta isola del Dodecaneso. Nella grotta che fu la sua dimora per alcuni anni, Giovanni scrisse, o riscrisse, il Vangelo e, con tutta probabilità, vi aggiunse l’Apocalisse. Un testo visionario e spaventoso che prefigura la fine del mondo e il giorno del giudizio e in cui si fa un preciso riferimento alla distruzione di Roma: “La città grande, che regna sui re della terra”. Certo la vita di Giovanni era stata avventurosa: come apostolo prediletto di Gesù lo aveva seguito fino alla croce. Poi la predicazione, i viaggi e l’incontro con Domiziano. Sia che la prova fu bere una coppa di veleno, o che fu il pentolone d’olio bollente, Giovanni sopravvisse.


E finisce nelle isole greche. Pur martirizzato sarà l’unico dei discepoli a morire, ad Efeso, di morte naturale ad una veneranda età. A Porta Latina c’è una visibile testimonianza degli eventi: il tempietto, a forma ottagonale, in stile rinascimentale, situato in via di Porta Latina, risale al XVI secolo. Si sa per certo chi lo commissionò: il prelato francese Benedetto Adam, perchè è ricordato su una delle due porte, con il motto "Au plaisir de Dieu", mentre non è chiaro di chi fu il progetto: Donato Bramante o forse Antonio da Sangallo il Giovane.


Nel 1657 fu incaricato il Borromini per eseguirne il restauro. Questi modificò il tetto della cappella, sovrapponendo al tamburo un attico circolare che decorò con un fregio a stucco con festoni di rose e palme. Sopra il tamburo pose una copertura conica terminante in un fascio di foglie su cui si innalza una palla racchiusa da un motivo di rose (che allude allo stemma araldico dei Paolucci, famiglia del cardinale, titolare della vicina Chiesa di San Giovanni a Porta Latina, che commissionò il restauro) sormontato da una croce.


Dal 1967, l'originale della cuspide è riposta sotto il portico della vicina chiesa di San Giovanni a Porta Latina e quella che vediamo sul tempietto è un calco in gesso di Paolo Marconi.


All'interno del tempietto gli affreschi raffigurano scene della Vita di San Giovanni Evangelista e furono eseguiti nel 1661 da Lorenzo Baldi, un allievo di Pietro da Cortona. Vere o leggendarie che siano queste storie (perché occorre dire che molto, moltissimo, ha a che fare con il racconto, la fede, la tradizione), il tempietto, che sembra giusto il contenitore di un enorme pentolone, e la bellissima chiesa medievale, tuttavia, sono veri e ci ricordano fatti straordinari. O narrazioni, ugualmente straordinarie.





(Marita Bartolazzi - Le strade del mistero e dei delitti di Roma)
(romasegreta.it)


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