L'Arco degli Argentari

gennaio 18, 2022

Se ne sta comodamente appoggiato alla chiesa di San Giorgio al Velabro, e non ha più quell’importantissima funzione che aveva nel passato, quando fu costruito. Era infatti uno dei monumentali ingressi in uno dei luoghi più importanti e ricchi del mondo antico: il Foro Boario. Il Foro era il più antico mercato di bestiame dell’Urbe, cuore degli scambi imperiali, grandissimo e ben organizzato in settori specializzati.


Nel 204 d. C. l’associazione dei banchieri e dei cambiavalute vollero rendere onore all’imperatore Settimio Severo e alla sua famiglia, con la costruzione di un monumento, non proprio un arco di trionfo, ma una porta architravata, alta quasi sette metri e larga circa sei. Oggi principalmente ci tramanda l’inesorabile legge della damnatio memoriae. Si usava, infatti, nell’antica Roma, punire coloro che erano considerati nemici dell’Urbe e del Senato con l’esilio e la morte, ma non solo, si eliminava poi ogni traccia, ogni effige, che potesse tramandare ai posteri la loro memoria. È quanto accadde anche a Geta, figlio dell’imperatore Settimio Severo e fratello di Caracalla. Il padre aveva disposto che entrami guidassero “in tandem” l’impero. Ma tale decisione non trovò il consenso di Caracalla, che espresse il suo disappunto uccidendo il fratello. Ora, se guardiamo l’interno dell’arco notiamo un pannello raffigurante Settimio Severo e sua moglie, Giulia Domna, poi una figura cancellata, che rappresentava Geta, il fratello ucciso, accanto Caracalla e ancora altre due figure cancellate: Plautilla, moglie di Caracalla e il padre di quest’ultima, anch’essi fatti uccidere dallo spietato imperatore e tutti condannati alla demnatio memoriae.  


Insomma, in un modo piuttosto infantile, Caracalla ha lasciato sotto l’arco solo la sua rappresentazione con mamma e papà, sostituendo i nomi dei suoi nemici con parole di elogio per sé stesso: “al principe fortissimo e felicissimo”. A questo arco è legata anche una curiosa leggenda: “Tra la vacca e il toro, troverai il gran tesoro”. Girava voce, infatti, che dietro alle scene taurine che si vedono sui bassorilievi dell’arco, fosse stato nascosto un tesoro, in monete e pietre preziose.


Ci fu quindi un gran cercare, con tanto di scalpelli e martelli, che sembrerebbe la causa dei numerosi fori che ancora visibili sull’arco. Addirittura, vista la numerosa partecipazione, si protesse l’Arco con una cancellata e si dispose che potevano avvicinarsi solo coloro che ne avessero fatto ufficiale richiesta. Negli archivi vaticani, alcuni di questi curiosi documenti sono ancora conservati. Ma del tesoro non vi fu mai traccia, e allora viene da pensare se il tesoro non fosse proprio l’arco stesso e la sua originaria funzione: quel desiderio, nell’antichità, di rendere ogni spazio cittadino al servizio del benessere dei romani, un’opera d’arte, perfino l’ingresso di un mercato!


 

(M. Silvia Di Battista - Roma curiosa vol. 4)
(Giulia Fiore Coltellacci - I luoghi e le storie più strane di Roma)
(Sabrina Ramacci - 1001 cose da vedere a Roma)

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