Annia Regilla: femminicidio nell'Antica Roma

ottobre 25, 2020

 

Sulla via Appia Antica, poco distante dalla tomba di Cecilia Metella, si trova un parco di pini e cipressi, immerso in una singolare atmosfera di quiete. L’antica strada consolare lastricata di basoli, definita dai romani Regina viarum, è un susseguirsi di monumenti funerari, costruiti nel corso dei secoli, dall’età repubblicana a quella tardo imperiale. 

(Foto Nando Nanni)

Il nostro viaggio tra le vite delle donne di Roma inizia qui, sulla via Appia, davanti al cancello della villa di Capo di Bove, all’interno del Parco archeologico dell’Appia Antica. Attraversiamo il portico, all’entrata, e il mistero comincia ad avvolgerci perché i pochi frammenti di marmo e di intonaco dipinto, e quei pavimenti in mosaico bianco e nero, di particolare grazia e raffinatezza, ci dicono che in questo luogo doveva certamente abitare una nobile famiglia romana, probabilmente vissuta nella metà del II secolo d.C. 


Una lastra di marmo con una iscrizione recita “Regilla luce della casa” e il mistero si scioglie: siamo davanti alla lapide di un monumento sepolcrale, fatto costruire da Erode Attico per la moglie Annia Regilla


Ma quella lapide non è il simbolo di un dolce ricordo alla memoria dell’amata perduta, è l’emblema della violenza maschile, del potere di vita e di morte che, nell’antica Roma, così come nel mondo greco, i mariti esercitavano sulle mogli. Perché Regilla è stata assassinata con un calcio nel ventre, all’ottavo mese di gravidanza, proprio dall’uomo che aveva sposato. Nata nel 125 d.C. da una famiglia dell’élite romana, discendente di Attilio Regolo e imparentata con la moglie dell’imperatore Marco Aurelio, Regilla è andata in sposa al ricco sofista Erode Attico, all’età di dodici anni


Cosa del tutto normale, visto che le leggi promulgate da Augusto nel 18 a.C., hanno stabilito che quella è l’età minima a cui le fanciulle possono contrarre matrimonio. A scegliere il marito è stato, ovviamente, il padre di Regilla il quale, secondo l’usanza, lo ha fatto puntando su un uomo venticinque anni più anziano di lei. Un uomo importante e ricco, appunto, il cui ambizioso padre ha scalato il potere sposando Vibullia Alcia Agrippina, fino a diventare console e poi senatore. Il figlio Erode ha così appreso il latino che, unito allo studio della filosofia, gli ha permesso di acquisire una discreta cultura.


Non sappiamo se la piccola Regilla fosse contenta di sposare un uomo simile e per di più straniero, ma è facile supporre che, come tutte le fanciulle romane, anche lei fosse cresciuta nella speranza di unirsi a un cittadino di Roma, come lo erano suo padre e suo fratello. Erode, invece, l’avrebbe portata a vivere in Grecia, lontano dalla famiglia d’origine, in una specie di esilio, e non appena giunta nella nuova dimora, l’avrebbe sottomessa al suo volere e a quello della sua famiglia, come era costume per ogni donna greca. Sebbene non renda felice la sposa, questo matrimonio è di certo molto vantaggioso per Erode, oltre che per la famiglia di Regilla, perché, grazie alla moglie, lui viene a imparentarsi nientemeno che con la famiglia imperiale, visto che una zia della ragazza, Annia Galeria Faustina, figlia dell’imperatore Antonino Pio, ha sposato Marco Aurelio.


Il rituale nunziale per Regilla era molto diverso rispetto a quello delle sue coetanee, destinate a sposare un romano. Non può sperare di essere portata in braccio, oltre la soglia, dal marito, come la tradizione di Roma vuole fin dai tempi del ratto delle Sabine, costrette al matrimonio con la violenza e portate a Roma per popolare la città. Regilla sa bene che in cambio di un comportamento pudico e dimesso, per non dire esplicitamente silente e assoggettato ai voleri del marito, potrà ricevere l’ammirazione e il rispetto dovuti a una matrona romana. Casta, riservata, modesta, dotata di grazia per la sua capacità di restare in silenzio: sono queste le virtù della donna romana, nel mondo antico. Una moglie ha, ovviamente, dei doveri anche a letto: ma più che assomigliare a un’appassionata amante, è bene che la sposa mostri un comportamento timido e remissivo, rispetto alla virilità del maschio, che deve comandare e sottomettere. Le spose romane sono solo delle bambine impaurite e inesperte di sesso, vergini che attendono di essere deflorate, quasi sempre senza alcuna grazia o accorgimento da parte del marito, un uomo, di solito, molto più vecchio e del tutto sconosciuto. Facile, dunque, immaginare quale trauma restasse nella vita di queste bambine, costrette a vivere una prima notte di nozze che era praticamente un autentico stupro. Di questi matrimoni assolutamente privi di amore, celebrati per il solo interesse delle famiglie, resta testimonianza negli affreschi di quella che un tempo era la Villa di Vispanio Agrippa, genero di Augusto, riportata alla luce a Trastevere nel 1879 e oggi conservati presso il Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo alle Terme.


Immagini di un lontano passato, che dicono in maniera esplicita come i romani interpretassero il sesso tra moglie e marito. Una volta usata la moglie per adempiere al dovere coniugale di concepire figli sani, il marito ha tutto il diritto di cercare passione e sensualità tra le braccia di una concubina o di una prostituta. In uno di questi ritratti, lo sposo è sdraiato sul letto completamente nudo con la testa rivolta teneramente verso la moglie, quasi in stato di contemplazione, mentre la giovane sposa seduta sul bordo del talamo, è ancora completamente vestita con una lunga tunica gialla che le copre persino i capelli. Lo sguardo della donna è rivolto verso il basso, quasi spaventato e affranto per ciò che sta per accadere. Le braccia del marito la cingono nel maldestro tentativo di consolarla, per il dovere che, di lì a breve, sarà chiamata a compiere.


Di certo anche la giovane Regilla è stata istruita sul modo di comportarsi a letto, una volta sposata, o perlomeno sa quali sono i doveri di una buona moglie. Le fonti non dicono quali fossero i rapporti di Erode con le donne: se le disprezzasse come esseri inferiori o se avesse da sempre manifestato nei loro confronti un’indole violenta. Di certo, come altri uomini del suo rango, ha liberamente frequentato prostitute e schiave al suo servizio. I dipinti sulle pareti della sua casa, dedicati a Venere in posizioni erotiche con Adone, Marte e altri giovani amanti di rara bellezza, dimostrano in modo abbastanza esplicito quanto lo sposo di Regilla non disdegni orge e banchetti carnali; un comportamento assolutamente normale e socialmente ben visto, per un maschio dell’antica Roma. Perché se il compito della donna romana è quello della moglie devota e della madre attenta, è lecito e anzi auspicabile che l’uomo mostri ovunque la sua virilità, simbolo di potenza e vigore sessuale, dal momento che il sesso è pratica da vincitore, di conquista. Il maschio romano è dunque in preda a una continua, ossessiva, autoglorificazione dei rapporti che riesce ad avere con più donne, quasi sempre prostitute, o con uomini, nell’espressione di una sessualità che è soprattutto etica del vanto. Se la virilità del maschio non può essere messa in discussione, la verginità della donna assurge a valori sacrali. Per le ragazze di famiglie illustri, come Regilla, è impensabile non arrivare vergini e illibate al matrimonio. Non solo per il senso di moralità che una moglie doveva portare in dote al marito, quanto per evitare il disonore dello sposo, qualora fosse restata incinta di un altro, con il pericolo di immettere sangue estraneo all’interno della famiglia. Quello tra Erode e Regilla è un matrimonio celebrato nel pieno rispetto della tradizione romana, voluto dal padre della ragazza e accompagnato da una sostanziosa dote. Un matrimonio in cui la moglie è sottomessa loco filiae, “come una figlia”, alla patria potestas del marito, esercitata su lei, sulla prole e sui servi. Erode Attico, come molti altri uomini del suo rango, ha quindi il diritto di esercitare tutto il potere che vuole sulla moglie, fuori e dentro la camera da letto. Ma è essenziale, comunque, che un marito si mostri premuroso, al fine di mantenere buoni rapporti con i parenti della sposa, per evitare che questi da alleati si trasformino in nemici. Possiamo facilmente immaginare quale turbamento desti in seno alla famiglia imperiale, e in tutta Roma, la notizia della morte di Regilla, quando la donna ha ormai trentacinque anni ed è già madre di quattro figli. È proprio il fratello di Regilla, il console Annio Bradua, a denunciare il cognato Erode, dinanzi al Senato, incolpandolo di aver assassinato la moglie durante uno dei suoi soliti attacchi d’ira. Erode si difende, dichiara false tutte le accuse mosse contro di lui e dice che Annio vuole solo incastrarlo per rientrare in possesso della splendida villa sull’Appia, accanto alla villa dei Quintili, portata in dote dalla sorella assieme ad altre ricchezze. Per alcuni giorni la famiglia imperiale evita di prendere posizione, mentre l’opinione dei romani si divide, tra chi crede all’ipotesi dell’omicidio e chi, invece, pensa che la donna sia morta in seguito alle complicanze di una gravidanza, sopraggiunta in età ormai avanzata; ma con un clamoroso colpa di scena, quando ormai sono tutti convinti che quel greco, arrogante e impudente, non la farà franca, il Senato si pronuncia per l’assoluzione di Erode, proprio a seguito dell’intervento dell’imperatore. La famiglia di Regilla subisce una pesante sconfitta politica, umiliata dalla mancanza di giustizia per la parente assassinata. E sulla donna cala l’oblio, come il velo funebre con il quale viene coperta la villa sull’Appia. Di Regilla resteranno solo le epigrafi e i santuari, come quello dedicato alla divinità di Eleusi, di cui oggi resta uno splendido sarcofago conservato a Palazzo Farnese, fatti costruire in suo ricordo da Erode. 


Dimostrazioni di certo eccessive, e anche sospette, come il tempio dedicato a Cerere, Faustina e Regilla, eretto all’interno del Triopio di Erode, poi inglobato nella chiesa di S. Urbano alla Caffarella all’interno del Parco omonimo,


Per conservare la memoria di sua moglie e chiedere agli dei dell’oltretomba di accoglierla, Erode fa poi costruire sull’Appia il Cenotafio, un monumento funebre commemorativo.


Ma i resti di Regilla sono destinati ad andare lontano: ben due epigrafi a lei dedicate, e ritrovate nel Seicento, sono oggi esposte al Museo del Louvre di Parigi.


(Michela Ponzani, Massimiliano Griner - Donne di Roma)


You Might Also Like

0 commenti

POST POPOLARI