Medusa del Bernini

maggio 23, 2021



Per una donna in estasi, ce n’è una pietrificata dalla paura. Stiamo parlando di due capolavori di Gian Lorenzo Bernini: “L’estasi di Santa Teresa” (nella chiesa di Santa Maria della Vittoria) e “la Medusa” conservata ai Musei Capitolini. Questo busto di marmo di 50 centimetri, considerato una delle opere più problematiche dell’artista, nasconde una storia molto curiosa, una storia d’amore, di passione, di tradimento, rodimento e vendetta. Dimenticate il mito della Gorgone, perché questo straordinario fermo immagine di marmo racconta una storia più personale, un dramma della gelosia che vede protagonista proprio Bernini. La Medusa è una delle poche sculture che l’artista realizzò non su commissione ma “per suo studio e gusto”. Secondo alcuni è databile tra il 1644 e il 1648, anni in cui il nostro vive una temporanea fase calante, e si tratterebbe di una raffinatissima metafora sul potere della scultura capace di pietrificare, come la Gorgone del mito, l’osservatore trasformando viceversa il marmo in materia viva. Secondo altri, però, sarebbe frutto di una ben più personale e prosaica metafora e riflessione dell’artista su una vicenda privata. Tutto inizia con un altro ritratto, il busto di Costanza Bonarelli, scolpito da Bernini tra il 1636 e il 1638: la camicetta aperta sul petto che lascia intravedere la scollatura, l’acconciatura scarmigliata con i capelli spettinati, le labbra carnose dischiuse in modo quasi provocante danno al ritratto una connotazione molto intima, privata, personale.


Non a caso l’artista decise di tenerlo per sé, come fosse il corrispettivo della foto dell’amata nel portafoglio o sul display del telefono. Perché Costanza Bonarelli, oltre ad essere la moglie di Matteo Bonarelli, fido collaboratore di Bernini, era anche la focosa e giovane (quasi vent'anni di meno) amante dell’artista. Costanza, però, disinvolta nella vita, proprio come il Bernini la scolpisce nella pietra, contemporaneamente frequentava anche Luigi, il fratello di Gian Lorenzo. Scoperta la tresca, liberatosi del busto di Costanza (oggi esposto al Museo del Bargello a Firenze), Bernini inseguì il fratello prima a San Pietro, dove gli ruppe due costole con un palo di ferro, poi a Santa Maria Maggiore dove lo cercò infuriato, con la spada sguainata. Sembra che abbia anche inviato un servo a casa della donna, con l’intenzione di sfregiarla. A questo punto intervenne la madre, con una disperata lettera al cardinale Francesco Barberini, nipote di Urbano VIII, dove scriveva che Gian Lorenzo, credendosi “padron del mondo”, aveva battuto il fratello, e supplicava il cardinale di trovare un modo per “raffrenare l’impeto di suo figlio”. La questione fu risolta con Costanza spedita in casa di correzione e il fratello Luigi che riparò a Bologna per circa un anno; chi ebbe la peggio fu il servo, esecutore materiale dello sfregio: fu prima condannato e poi esiliato. Quanto a Gian Lorenzo, prima fu condannato a una multa di 3 mila scudi e poi graziato. Il Papa, Urbano VIII, mandò per un suo Cameriere l’assoluzione del delitto scritta in Pergamena, in cui appariva un Elogio della sua Virtù, degno da tramandarsi alla memoria dei Posteri. 

Statua di Urbano VIII di Gian Lorenzo Bernini conservata ai Musei Capitolini
In pratica se la cavò con un elogio e senza neanche un'ammenda pecuniaria (!).  Ma gli toccò pagare una tassa ancora più salata per un tipo come lui: il papa gli impose di sposarsi. E così nel 1639 il nostro convolò a nozze con Caterina Tezio, “la più bella di Roma”. Poco prima anche Costanza era tornata a Roma e dal marito, il quale aveva ripreso a lavorare con Bernini, che in qualche modo aveva messo una pietra sopra la faccenda. O meglio, su tutta la faccenda ci mise un busto di marmo, la Medusa. Il volto della creatura mitologica è quello di Costanza, la donna che lo aveva tradito e ferito. Una personale vendetta dello scultore che con originalità non scelse di rappresentare la Gorgone nell'atto di pietrificare gli uomini con il suo sguardo, ma al contrario nel momento in cui Minerva la punisce trasformandola, (punirla poi di cosa? di essere stata forse vittima di uno stupro? ... ma questa è un'altra storia). La metamorfosi, però, non è ancora completa: il viso è una maschera di paura, gli occhi atterriti, le sopracciglia aggrottate, la bocca dischiusa, come a voler emettere un grido muto, mentre si accorge che davanti, solo davanti, i capelli cominciano a diventare serpenti, attorcigliandosi sulla fronte, in una danza inquietante. Se nella cappella Cornaro, a Santa Maria della Vittoria, assistiamo rapiti a un’estasi di piacere provocata dall'amore divino, davanti al busto di Medusa dei Musei Capitolini rimaniamo pietrificati di fronte all'estasi di una vendetta provocata dall'amore terreno: la vendetta di un uomo innamorato e tradito, che non sa e non vuole dimenticare.

(Giulia Fiore Coltellacci - I luoghi e le storie più strane di Roma)

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