La Fontana dell'Acqua Acetosa

giugno 18, 2020



Secondo un censimento condotto nel 2003 dal FAI, il Fondo per l’Ambiente Italiano, la fontana dell’Acqua Acetosa è risultata al primo posto tra “I luoghi del cuore da salvare”. Potrebbe suonare strana una tale dimostrazione d’affetto: rispetto ad altre “colleghe” capitoline è meno conosciuta, anche perché penalizzata da una collocazione lontana dai tradizionali circuiti turistici. Ma tale dimostrazione d’affetto potrebbe suonare strana solo a chi non conosce la curiosa storia di questa fontana amata dai romani, non tanto per le virtù artistiche, quanto per le sue molteplici virtù benefiche. Alla fine, scoprirete che, in fondo, è sempre stata un luogo del cuore. Come documentato da Andrea Bacci, archiatra pontificio e professore di botanica e farmacologia, nel suo De Thermis – un trattato sulle acque, la loro storia e le loro virtù, pubblicato nel 1567 – la fonte era nota per le sue virtù benefiche già nel Cinquecento ed erano molti i romani che ne apprezzavano l’acqua dal sapore acidulo-ferruginoso, da cui deriva il nome. Nel 1613, papa Paolo V commissionò a Giovanni Vasanzio una modesta fontana per permettere ai cittadini di bere con maggiore facilità l’acqua prodigiosa della fonte, che all'epoca si trovava in aperta campagna mentre oggi è in aperta città, nel quartiere Parioli. Il papa fece apporre una lapide che, oltre a esaltare la costruzione della fontana, ne pubblicizzasse anche le virtù: “Risana i reni, lo stomaco, la milza e il fegato. Quest’acqua salubre giova a mille mali”. Il pontefice, scrupoloso, aveva fatto esaminare l’acqua e le analisi ne avevano confermato le caratteristiche, tanto che perfino i medici raccomandavano di berla. Il successo della fonte fu così dirompente che nel 1661 Alessandro VII sostituì la fontanella costruita da Paolo V con una maestosa fontana, che ricordasse un ninfeo, in modo da valorizzarla anche da un punto di vista estetico. Il risultato è un’imponente esedra in travertino spartita da lesene con tre nicchie dalle quali zampilla l’acqua, raccolta in altrettante piccole vasche.


Per via di alcuni riferimenti stilistici a Porta del Popolo, il progetto è stato attribuito a Bernini, ma in realtà è opera di Andrea Sacchi su disegni di Marcantonio De Rossi. Sul timpano dell’esedra Alessandro VII fece apporre una nuova iscrizione, per lasciare ai posteri la memoria dei lavori di restauro da lui realizzati affinché tutti potessero apprezzare in pieno la salubrità dell’acqua acidula. Nell'iscrizione si vantò anche di aver reso il luogo più gradevole con un’opera di ripulitura della fonte e l’aggiunta di alcuni alberi.


Per ribadire l’importanza del sito, fu emanato un editto severissimo per la tutela della fontana. L’Acqua Acetosa divenne così ricercata da scatenare un redditizio business con conseguente creazione di una specifica figura professionale, “gli acquacetosari”, venditori ambulanti che giravano per la città, trasportando su carretti fiaschi e damigiane di acqua della salute. Annunciavano il proprio passaggio con un tipico grido, cercando di attirare i clienti con uno slogan semplice, “Friesca, friesca l’acqua acetosa, al quale qualcuno aggiungeva una battuta ad effetto: “Su pijatela sora sposa, quarche bene certo ve ferà, sora sposa, ve farà piscià”. Gli acquacetosari vantavano un notevole giro d’affari tanto che la loro attività proseguì per tutto l’Ottocento.

Foto Roma Sparita - Gli acquacetosari e i loro carretti
L’acqua della salute a domicilio era molto apprezzata, ma chi poteva (o chi non poteva permettersi il costo del servizio di delivery) si recava direttamente alla fontana che, trovandosi in aperta campagna, era il luogo ideale per piacevoli gite fuori porta, soprattutto quando l’afa estiva rendeva irrespirabile l’aria della città. Insomma, la scampagnata all'Acqua Acetosa era perfetta: si stava al fresco, immersi in una bella pineta e se il pic-nic risultava troppo pesante, un sorso d’acqua di fonte facilitava la digestione, unendo l’utile al dilettevole. Poi arrivarono i problemi: a causa della diminuzione della quantità d’acqua, si formavano file lunghissime e dal momento che i romani non hanno mai amato le file, iniziarono a protestare. Oltre a essere diminuita la portata dell’acqua, ne era scaduta anche la qualità, in quanto la zona era soggetta alle piene del Tevere, che inquinavano la sorgente. Bisognava fare qualcosa. Nel 1711 Clemente XI mise in piedi una commissione per eseguire lavori di risanamento e pulitura della fonte. Ne faceva parte anche il suo medico personale, monsignor Giovanni Lancisi, perché le virtù mediche rimanevano sempre la caratteristica peculiare dell’Acqua Acetosa e pertanto andavano tutelate. Vennero eseguiti interventi di protezione della conca e di pulitura dei condotti, venne effettuato il riallacciamento delle vene acquifere, come ricorda un’altra iscrizione latina e furono posti alcuni idrometri, in parte ancora visibili, per misurare le variazioni del livello e la quantità d’acqua penetrata nella fontana. In seguito al restauro, l’Acqua Acetosa recuperò il suo prestigio e alla fine del Settecento anche Goethe ne divenne un assiduo frequentatore. Nel suo Viaggio in Italia ne loda l’efficacia per curare le malattie dello stomaco. Ma Goethe non fu l’unico straniero a innamorarsi della fontana. Ci fu anche chi la trasformò nella cornice perfetta per i propri incontri amorosi. Arriviamo così al risvolto più curioso della storia. Se nel 2003 l’Acqua Acetosa è entrata di diritto tra i “luoghi del cuore”, un paio di secoli prima era già diventato un luogo del cuore, anzi di due. Negli anni Venti dell’Ottocento, il principe ereditario Ludwing di Baviera soggiornò a Roma per qualche anno. Venuto a conoscenza delle qualità benefiche della fontana, iniziò a frequentarla abitualmente, innamorandosi di questo luogo decentrato e immerso nella natura. Durante le sue visite si innamorò di un’altra habitué dell’Acqua Acetosa, Marianna Florenzi, una marchesa di Perugia giovane e bella.


La fontana divenne la meta privilegiata dei loro assidui e appassionati incontri, più per l’amenità della location che per le qualità mediche dell’acqua. Per rendere ancora più speciale, ma soprattutto più confortevole, questo luogo del cuore, Ludwing finanziò a sue spese alcune migliorie, facendo piantare intorno alla fontana degli olmi e costruendo ai lati dell’esedra due sedili in pietra. Anche il principe volle incidere sul travertino il suo intervento con un’iscrizione: “Luigi principe ereditario di Baviera, ha fatto mettere questi sedili ed alberi – 1821”. I sedili sono ancora lì, al loro posto, mentre l’epilogo della love story ha un retrogusto acetoso. Nel 1825 Ludwing lasciò Roma, la sua amata Marianna e la romantica fontana per tornare in Baviera e salire al trono, senza mai dimenticare, però, l’amato luogo dei loro incontri. In seguito, anche il destino dell’Acqua Acetosa ha preso una piega amara e rugginosa: l’inquinamento, le infiltrazioni delle fogne e degli scoli delle abitazioni, che nel frattempo erano sorte numerose nella zona, ne compromisero definitivamente la purezza, tanto che nel dopoguerra fu dichiarata “non potabile” e il flusso venne chiuso. Non più miracolosa, sembrava destinata ad essere abbandonata a se stessa, dimenticata da tutti, coperta dalla vegetazione, che non era più quella della campagna, ma solo le sterpaglie della città, mortificata dall'incuria, oscurata dal traffico. Poi la sorpresa: nel 2003 il censimento del FAI l’ha inserita tra i monumenti da salvare, innescando un percorso di riqualificazione dell’intera area, che nel 2009 ha portato all'inaugurazione del Parco della Fontana dell’Acqua Acetosa.


I lavori, realizzati dalla Soprintendenza, grazie alla partecipazione attiva del Circolo Canottieri Aniene, hanno restituito all'Acqua Acetosa, la sua vocazione originaria di luogo ameno, immerso nel verde. Se l’acqua non è più acetosa, non giova a mille mali, non cura i reni, lo stomaco, la milza, il fegato, anzi non è nemmeno potabile, che almeno la fontana rimanga un angolo piacevole dove spingersi a fare una passeggiata, anche se non più una scampagnata. E magari, perché no, un luogo romantico per teneri rendez-vous, approfittando dei sedili in pietra nati proprio per l’agio delle coppie innamorate.



(Giulia Fiore Coltellacci - I luoghi e le storie più strane di Roma)

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