Vicus Caprarius - La città dell'acqua

marzo 22, 2022

Dopo i lunghi mesi della pandemia, in cui abbiamo goduto di una Roma magnifica, ma surreale, vedere di nuovo la Fontana di Trevi affollata di turisti, ci fa sperare in quel “ritorno alla normalità”, che da tempo tutti desideriamo. Intenti a lanciare la famosa monetina nell’acqua, esprimono un desiderio, che forse si avverrà o, quanto meno, come vuole la tradizione, torneranno sicuramente nella Città Eterna.


La fontana è alimentata dall’acqua dell’acquedotto Vergine, costruito nel 19 a.C. da Marco Vispanio Agrippa, amico e genero di Augusto, e tutt’oggi ancora funzionante. La storia la vediamo incisa sulla facciata della fontana, ai lati della nicchia centrale, dove scorgiamo due soldati romani e una fanciulla: la Vergine che indicò ai militari il punto esatto, presso il VII miglio della via Collatina, dove sgorgava l’acqua, e alla quale si deve il nome dell’acquedotto.


Probabilmente, però, il nome potrebbe derivare anche dalla purezza delle acque: la totale assenza di calcare la rendeva, infatti, particolarmente leggera, oltre a contribuire alla conservazione dell’impianto, mantenendo sempre libero il canale. È il sesto degli undici acquedotti costruiti per portare acqua a Roma e ai suoi abitanti, e il motivo per cui sia l’unico ad essere ancora in funzione, da più di duemila anni, lo si deve al fatto che, a differenza dei suoi vistosi “fratelli”, la cui architettura spettacolare è famosa in tutto il mondo,


il suo percorso si snoda per circa quattordici chilometri nei sotterranei della città, a profondità notevoli, che sfiorano anche i quaranta metri nei pressi di Piazza Ungheria. Questo gli ha permesso di passare quasi indenne attraverso le vicende storiche e urbanistiche della città. In via del Nazareno sono ancora visibili i resti di tre delle sue arcate in travertino, mentre ben 15 arcate fanno bella mostra di sé nel piano interrato de La Rinascente, dove furono ritrovate, durante i lavori per il nuovo grande megastore, e sistemate in modo da poter essere visibili da tutti.


Quella che è, invece, meno conosciuta è l’area archeologica scoperta a pochi passi dalla famosa Fontana di Trevi, tra via di San Vincenzo e vicolo del Puttarello, chiamata Vicus Caprarius – la città dell’Acqua. Durante alcune indagini archeologiche effettuate tra il 1999 e il 2001, nel corso di alcuni lavori di ristrutturazione dell’ex cinema Trevi, venne, infatti, alla luce, un complesso edilizio di età imperiale, notevole testimonianza del tessuto urbanistico dell’antica Roma.


I resti venuti alla luce, si riferiscono ad un’insula, ossia un caseggiato a più piani, nel quale alloggiavano più famiglie. La stessa, nel corso nel IV secolo venne trasformata in una domus signorile. Il termine Città dell’acqua è dovuto all’enorme serbatoio idrico, detto Castellum Aquae, in cui venne trasformata, invece, la parte sud in età adrianea (tra il 117 e 138 d.C.). Qui confluivano le acque dell’acquedotto Vergine ed era costituito da due stanze comunicanti, rivestite di cocciopesto, miscela di laterizi e calce, utile per isolare le pareti dall’umidità.


Il suo compito era quello di raccogliere l’acqua potabile e distribuirla alla rete idrica cittadina; l’immissione dell’acqua avveniva probabilmente dal Vicus Caprarius e usciva, attraverso due condotte, verso il lato meridionale. Ancora oggi all’interno dell’antico serbatoio sgorga uno scroscio d’acqua, che rende l’ambiente ancora più suggestivo.


La sua capienza, di circa 150.000 metri cubi di acqua, è la conferma che la struttura sia relativa all’Acquedotto Vergine e non ad un’utenza privata, così come anche i due canali per la fuoriuscita dell’acqua, di diverse dimensioni, utili per differenziare le utenze pubbliche da quelle private.  I lavori di recupero e valorizzazione del sito archeologico, sono stati possibili grazie alla disponibilità del Gruppo Cremonini, proprietaria dell’immobile e all’interno è possibile osservare, nelle tre sezioni dell’antiquarium, vari reperti rinvenuti durante la campagna di scavo:


vediamo così preziosi rivestimenti in marmi policromi, raffinate decorazioni quali la celebre testa di Alessandro helios, le tipiche anfore africane per il trasporto dell’olio, nonché un “preziosissimo tesoro” di oltre 800 monete.




(Gabriella Serio - I tesori nascosti di Roma)
(Claudio Colajacomo - Il giro di Roma in 501 luoghi)
(romasotterranea.it)
(vicuscaprarius.com)
(passaggilenti.com)

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