3° ITINERARIO - RIONE II TREVI

marzo 01, 2021

Totale del percorso km. 4,3      Questa la mappa

Il Rione Trevi trae il suo nome, probabilmente, da “trivium” che indicava, nel Medioevo, l’incrocio a tre vie. Questo trivio si trova nei pressi della fontana di Trevi, all'altezza di piazza dei Crociferi. Per la minor concentrazione di chiese rispetto agli altri, possiamo definirlo il rione più laico, ma quelle presenti hanno comunque un’antica tradizione e posseggono notevoli opere d’arte. Il personaggio più importante che abitò in questo rione è senz'altro Michelangelo Buonarroti, il quale morì a 89 anni in una casa in località “Macel de’ Corvi”, che si trovava vicino a Piazza Venezia dalla parte del Foro di Traiano. Partiamo per questo terzo itinerario da quello che è definito “La casa degli Italiani”: il Palazzo del Quirinale.
Si trova su uno dei sette colli di Roma, il più alto, e proprio per questa posizione elevata, ha ospitato fin dall'antichità nuclei residenziali, edifici pubblici e di culto, tra cui il Tempio del Dio Quirino (dal quale deriva il nome del colle). Durante il Medioevo si popolò di palazzetti gentilizi, chiese e torri al posto degli antichi templi. La storia del palazzo inizia nel XVI secolo quando il cardinale Ippolito d'Este si fece erigere un casino nel contesto di una vigna appartenuta ai Carafa. Il papa Gregorio XII, dopo una visita al cardinale, fu fortemente attratto da questo luogo, e decise, a sue spese, di costruire qui una villa di campagna per il soggiorno estivo, e sfuggire così alla zona insalubre del Vaticano che, nei mesi estivi, era soggetta alla malaria. Fu papa Sisto V a farne la sede pontificia estiva, facendola ingrandire dall'architetto Domenico Fontana e preoccupandosi anche della sistemazione della piazza, collocando qui il gruppo scultoreo dei Dioscuri, che precedentemente ornava l’ingresso delle “Terme di Costantino”.
Sotto Clemente VIII vennero curati in particolare i giardini, e infine fu Paolo V a completare il palazzo, acquistando ulteriori terreni ed affidando a Flaminio Ponzio la definizione perimetrale del complesso. Alla morte di quest’ultimo, i lavori passarono sotto la direzione di Carlo Maderno, che li portò avanti fino alla fine del pontificato di Paolo V. Durante il Settecento furono aggiunte le fortificazioni e si realizzarono le meravigliose decorazioni interne sotto la direzione di Pietro da Cortona. Nel 1786 Pio VI fece separare le due statue dei Dioscuri per dare uno sfondo migliore all'obelisco che volle innalzare nella piazza. Di granito rosso, faceva coppia, davanti al Mausoleo di Augusto, con quello rialzato a Piazza Esquilino. Anche questo senza iscrizioni e quindi di origine e data incerte. All'inizio dell’800, quando le truppe napoleoniche occuparono Roma, deportando il papa in Francia, il Palazzo venne scelto come residenza dell’Imperatore. In realtà Napoleone non soggiornò mai a Roma, ma l’edificio fu comunque riadattato al gusto neoclassico su progetto dell’architetto Raffaele Stern, che fu lo stesso ad occuparsi poi, di cancellare ogni traccia dell’occupazione francese, quando questa finì e Pio VII rientrò a Roma. L’ultimo papa a soggiornare al Quirinale fu Pio IX e con l’annessione di Roma al Regno d’Italia, diventò la dimora della famiglia reale. Infine, nel 1946, con la nascita della Repubblica Italiana, il Quirinale divenne la Residenza ufficiale del Presidente della Repubblica. Da allora l’architettura e gli arredi sono rimasti praticamente invariati. Il sito ufficiale, con la storia particolareggiata e le indicazioni per la visita, ora possibile quasi tutti i giorni della settimana. Dalla balconata della piazza, la vista è mozzafiato, con la cupola di San Pietro che si staglia alta sopra i tetti della città.
A questo punto percorriamo Via del Quirinale, costeggiando la cosiddetta “Manica Lunga” del Palazzo e, dopo avere attraversato il quadrivio di via delle Quattro Fontane, che rappresenta l’altezza massima del colle, arriviamo in Piazza San Bernardo. In questa piazzetta, trasformata in un parcheggio, si trovano, l’una di fronte all'altra, due chiese: la Chiesa di San Bernardo e La Chiesa di Santa Susanna.
Purtroppo, quest’ultima è chiusa al pubblico, e visitabile solo su prenotazione tramite l’associazione l'”Arteficio”. Le sue origini sono antichissime, IV sec. d.C., quando fu edificata sulle case di Gabinio e Caio, che erano padre e zio della martire cristiana, decapitata per avere rifiutato, su volere imperiale di sposarsi con un pagano. Fu riedificata nel 1475 da papa Sisto IV. Ma è il 1603 l’anno della rinascita di Santa Susanna, quando venne chiesto all'architetto Carlo Maderno di ridisegnarne la facciata. Considerata uno dei primi esempi di architettura barocca, con innovazioni stilistiche, che anticipano gli elementi strutturali dell’architettura del Borromini, è completamente affrescata con dipinti che raccontano il martirio della santa eseguiti da un’equipe di artisti fra i migliori dell’epoca, tra cui Baldassarre Croce e Cesare Nebbia, mentre il “martirio di Santa Susanna”, rappresentato nella pala d’altare, è opera di Tommaso Laureti. Nella navata sono rappresentate le scene che raccontano l’episodio biblico di “Susanna e i Vecchioni”: la Susanna babilonese, moglie del ricco Joachim, viene sorpresa ed importunata da due anziani giudici (i vecchioni) mentre si rinfresca alla fontana del suo giardino. Non riuscendo nel loro intento di sedurre la ragazza, i due l’accusano di averla trovata con un giovane e per questo viene condannata a morte. Verrà salvata da Daniele, mandato dal Signore, al quale Susanna aveva rivolto le sue preghiere, che smaschererà i due vecchi giudici. La chiesa di S. Bernardo, invece, fu ricavata da una delle due Sale circolari che si ergevano ai lati dei resti delle Terme di Diocleziano, probabilmente luogo di studio, o sferisterio, cioè il luogo dove veniva insegnato il gioco della palla.
Il suo nome per esteso è infatti “San Bernardo alle Terme”. Denominata anche “la Chiesa senza finestre”, ha forma circolare, con una cupola a cassettoni ottagonali e prende luce solo dall'impluvium, il grande foro posto al centro della cupola (oggi chiuso da un lanternino) che la fa somigliare, in piccolo, al Pantheon.
Nel perimetro del muro interno, suddiviso da un ordine di lesene, vi sono otto grandi nicchie sopraelevate contenenti statue di santi in stucchi, realizzate dal Mariani nel 1600 circa. Il volto dei santi guarda gli altari e la porta, ma sono collocati in modo tale da non guardarsi tra loro. 
Come sopra menzionato, due erano le sale circolari delle antiche Terme e anche l’altra sala è perfettamente conservata situata all'angolo tra via del Viminale e piazza dei Cinquecento. 
In Largo di Santa Susanna, in un’aiuola incolta, sommerse da erba alta, c’è un tratto di quelle mura antichissime che a me affascinano tanto: le Serviane. Sono all'apparenza soltanto un agglomerato di massi sicuramente poco valorizzati e non all'altezza del grande passato storico di cui sono testimoni. Mi fermo a scattare qualche foto, suscitando sicuramente la curiosità dei vari passanti e automobilisti, che perplessi penseranno cosa mai ci sia di così interessante da fotografare in quei "quattro sassi".
Mi incammino poi in via Barberini ed arrivo nell'omonima Piazza, dominata dalla splendida fontana del Tritone, opera del Bernini. Ma prima una piccola deviazione verso via Veneto per scattare una foto alla fontana, più piccola, cosiddetta “delle Api”.
Inizialmente posizionata all'angolo con via Sistina, fu poi smontata per questioni di intralcio al traffico e abbandonata in un deposito comunale. Dell’originale fontana, sempre del Bernini, ne è rimasto ben poco. Fu rimontata nei primi anni del 1900, ma molte parti sono andate perdute, ad eccezione del frammento contenente l'ape centrale, e quindi ricostruite, purtroppo non in modo molto fedele. Una curiosità riguarda l’iscrizione della fontana: inizialmente dichiarava che "papa Urbano VIII l'aveva fatta fare nell'anno XXII del suo pontificato", ma mancavano ancora due mesi al raggiungimento del 22° anno. Questa inesattezza diede origine a così tante critiche e maldicenze che il Cardinale Barberino, suo nipote, mandò uno scalpellino a cancellare una "I", lasciando scritto soltanto "XXI". Ma anche in questo caso le critiche non cessarono, anzi! I maldicenti sentenziarono che il Cardinale avesse voluto augurare al papa di non arrivare all'anno 22, e neanche a farlo apposta, il papa morì otto giorni prima del compimento del fatidico anno di pontificato. La fontana del Tritone, invece, fu posizionata al centro della piazza nel 1642.
Alimentata dall'Acqua Felice, è composta da quattro delfini con la testa in basso che sostengono una grande conchiglia con le valve aperte, al centro della quale si erge il dio marino Tritone nell'atto di soffiare in una grossa conchiglia a forma di cono. Tra le code dei delfini sono intrecciati artisticamente due stemmi papali con le tre api, simbolo araldico della famiglia Barberini, che qui aveva fatto edificare il proprio palazzo, da cui il nome della Piazza.
Questo fu progettato e costruito, fra il 1625 e 1633, per papa Urbano VIII, da Carlo Maderno, (alla cui morte, nel 1629, subentrò Gian Lorenzo Bernini) ampliando un precedente edificio appartenente alla famiglia Sforza. Sede della Galleria Nazionale di Arte Antica, comprende lavori di Bernini, Caravaggio, van Dyck, Holbein, Beato Angelico, Lippi, Lotto, Preti, Poussin, Stanzione, El Greco, Raffaello, Tiepolo, Tintoretto, Rubens, Murillo, Ribera e Tiziano, e merita senz'altro una visita. Informazioni su opere, orari, costi e gratuità qui.
Proseguiamo la nostra passeggiata percorrendo la via del Tritone, che dalla fontana prende il nome. È una via costellata di imponenti palazzi umbertini alternati ad edifici barocchi e molti negozi. Non posso fare a meno di camminare con la testa “per aria”, nel vero senso della parola, osservando quei palazzi nei loro dettagli: finestre rinascimentali al piano nobile incorniciate con stucchi di vasi e disegni geometrici; finestre con timpano triangolare o curvo e protomi leonine sotto i davanzali; un volto femminile sulla sommità del portone in un bellissimo palazzo al civico 66, con finestre al piano nobile, affiancate da paraste decorate, con figure di donne sotto il davanzale, e anche quelle ai piani superiori, pur se meno nobili, sempre comunque decorate con corone di frutta e con volti femminili. Poi ci sono i palazzi, in stile liberty, in Largo del Tritone, dove si apre il Traforo Umberto I che porta in via Nazionale, passando sotto i giardini del Quirinale. La storica sede de “Il Messaggero”, dei primi anni del 1900, è un alternarsi di balconcini, timpani alle finestre, decorazioni a stucco, colonne e pilastri. È sede del giornale dal 1920. Sull'altro lato è situato il palazzo che per molti anni fu sede centrale della Banca d'America e d'Italia, e oggi filiale della Deutsche Bank. Anche qui finestre dalle grandi cornici, capitelli con testine di Mercurio al piano nobile, colonne all’ultimo piano, e tra decori in fregi sulle lesene centrali sopra l’entrata, è raffigurato il volto di Mercurio con l’elmo alato, il dio dei commerci collegati al denaro. Se poi volete fare un tuffo nel passato, entrate nel modernissimo negozio della “Rinascente”, anche se non amate lo shopping. Durante i lavori per il nuovo grande megastore, ben 15 arcate dell’Acquedotto Vergine, sono tornate alla luce con tutto il quartiere antico che vi era intorno.
Quest’ultimo, per motivi tecnici, è stato rinterrato, mentre il grande acquedotto trionfa in fondo alla sala in tutta la sua magnificenza, con un gioco virtuale di luci e suoni che ne spiega la storia. È l’unico degli undici principali acquedotti di Roma antica rimasto ininterrottamente in funzione, per venti secoli, sino ai nostri giorni, alimentando le monumentali fontane della città barocca, tra cui Fontana di Trevi, che ne rappresenta la mostra terminale. Inaugurato nel 19 a.C. da Agrippa, genero dell’imperatore Augusto, trae probabilmente il nome dalla purezza e freschezza delle sue acque, mentre la leggenda racconta che si chiami così in ricordo della fanciulla che indicò il luogo delle sorgenti ai soldati assetati. Probabilmente, il motivo della sua conservazione, sta nel fatto che il suo percorso, di circa 20 km, sia quasi interamente sotterraneo, tranne gli ultimi 2 km, che correvano su arcuazioni continue, nell'ultimo tratto cittadino. Svoltando in via del Nazareno, possiamo vedere, parzialmente interrate, tre arcate in blocchi bugnati di travertino poste ai lati di un fornice più grande, che costituiscono il tratto più importante ancora oggi visibile del percorso urbano dell'acquedotto.
In largo del Nazareno mi colpisce, sui due portali del Palazzo del Bufalo, al civico 3, uno stemma di un animale feroce, (probabilmente una leonessa), con l'iscrizione "CUM FERIS FERUS", ossia "Feroce con chi è feroce", il tutto sovrastato da una finestra con due colonne, mentre al civico 8 una testa di bufalo. Di fronte al palazzo, (ma facente parte del confinante rione Colonna) una fontana costituita da un prospetto marmoreo ornato al centro da un bassorilievo raffigurante una bella testa di toro dal vello ricciuto (emblema araldico della famiglia del Bufalo) con ai lati due cannelle che versano acqua nella sottostante vasca rettangolare antica.
Sempre lungo il confine dei due rioni (Colonna e Trevi) percorro via del Bufano, via del Pozzetto e arrivo a Piazza San Silvestro, che appartiene però a ColonnaMi concentro quindi su Piazza di San Claudio ed entro a vedere l’omonima chiesa.È una delle cinque chiese cattoliche francofone di Roma, (Trinità dei Monti, San Luigi dei Francesi, San Nicola dei Lorenesi e Sant'Ivo dei Bretoni). Fu fondata da una colonia di Borgognoni che emigrarono a Roma durante la guerra dei Trent'anni e riunendosi in una confraternita, edificarono un oratorio, che venne poi proclamato da Innocenzo XI chiesa nazionale dei Borgognoni. La costruzione dell’attuale chiesa risale al 1729 e fu dedicata a San Claudio martire e San Andrea apostolo. La facciata è suddivisa in un ordine inferiore con un bel portale e due nicchie ai lati in cui sono situate le due statue dei santi protettori. Nella parte superiore un grande finestrone centrale sormontato da un timpano curvilineo con lo stemma dei Tre Gigli dei re di Francia. Entro per una rapida occhiata; l'interno, a croce greca con cupola centrale, è piuttosto cupo, sull'altare maggiore una scultura in bronzo raffigurante il Globo terrestre, fa da trono all'esposizione eucaristica all'interno di una raggiera dorata; sopra la raggiera, un affresco di Antonio Bicchierai, che raffigura L'Eterno benedicente.
Esco, attraverso via del Tritone ed entro in Santa Maria in Via. Non tutti conoscono la particolare storia di questa Chiesa, detta la “Piccola Lourdes di Roma”. Una targa sul muro accanto ad essa parla di “Beata Vergine del Pozzo”, e in effetti la chiesa è famosa per la Cappella del Pozzo che conserva, al suo interno, il ritratto della Madonna a testimonianza dell’antica leggenda romana. In realtà la Chiesa ha origini lontanissime, visto che è citata in una bolla di Papa Agapito II già nel 995 d.C., ma la notorietà l’acquisisce nella notte tra il 26 e 27 settembre del 1256. Si racconta che adiacente alla piccola chiesetta ci fosse una stalla di proprietà del cardinale Pietro Capocci.
"Durante la notte, le acque del pozzo, improvvisamente rigurgitano ed allagano tutto il locale. Gli inservienti che accorrono per mettere in salvo le bestie, si accorgono di qualcosa sulle acque che galleggia. È una tegola con su dipinta l’immagine della Madonna; cercano di afferrarla, ma la tegola, come un pesce, sfugge ripetutamente dalle loro mani. Corrono a svegliare il Cardinale, il quale dopo una breve preghiera, riesce a raccogliere il dipinto e l’acqua miracolosamente cessa di traboccare. L’indomani il cardinale raccontò l’accaduto al papa Alessandro IV, esprimendo il desiderio di trasformare la stalla, a proprie spese, in una cappella ove conservare la Sacra Immagine. Il papa approvò l’idea e la cappella fu costruita, dedicata alla Madonna del Pozzo, adiacente all'antica Chiesa preesistente, la quale in seguito viene ampliata ed abbellita”. Nel 1592, sotto la direzione di Giacomo Della Porta e, subito dopo, di Francesco da Volterra, ebbe inizio la ricostruzione della facciata che, in antecedenza, era molto semplice, e fu completata nel 1681 da Carlo Rainaldi. L’interno della Chiesa è a navata unica, che conduce a quattro cappelle laterali per ogni lato, tra le quali, la prima sulla destra, è la succitata “Cappella della Madonna del Pozzo” dove è presente l’immagine della Vergine, opera di pittore di scuola romana del XIII secolo, e l’antico pozzo (provvisto di rubinetto) dove i fedeli possono attingere l’acqua, ritenuta miracolosa,
mentre la terza sul lato destro, è la “Cappella Aldobrandini“, che conserva al suo interno la pala d’altare raffigurante “l’Annunciazione” e due distinte opere del Cavalier D’Arpino (1596), “Adorazione dei Magi” e “Natività”. Proseguendo la mia passeggiata sulla via che dalla Chiesa prende il nome, svolto poco dopo sulla sinistra in Via dei Crociferi, e quasi subito, inizio a sentire il “rumore” del più spettacolare, scenografico e famoso monumento: la Fontana di Trevi. La zona è piena di turisti ad ogni ora del giorno. Credo sia il posto, in tutta Roma, che ne attiri la maggior quantità, o forse dà questa impressione per via delle ridotte dimensioni della piazza.
Per vivere al meglio la visita, bisogna estraniarsi dal convulso contesto in cui la fontana è immersa, contemplando le scenografie architettoniche di questo luogo magico. L’origine della fontana risale al 19 a.C., anno in cui, come abbiamo già ricordato, Marco Vipsanio Agrippa, genero di Augusto, portò a Roma l’acquedotto dell’Acqua Vergine. All'inizio era solo una delle fontane minori dell'acquedotto, costituita da tre vasche di raccolta, affiancate ed addossate ad un edificio; ma quando l'acquedotto subì un'interruzione, presumibilmente dall'ottavo secolo in poi, la "fontana minore" divenne la mostra terminale dell'Acquedotto Vergine. Nel 1453, in periodo Rinascimentale, il papa Niccolò V incaricò Leon Battista Alberti di eseguire un restauro della fontana. Vennero così tolte le tre vaschette, sostituite con un unico bacino rettangolare. Successivamente, altri restauri sono stati fatti alla fontana, compreso un tentativo da parte di papa Urbano VIII, che affida a Gian Lorenzo Bernini la sistemazione della piazza e della fontana. L’architetto progettò una grande mostra d’acqua, orientata verso il Quirinale, e l’allargamento della piazza. I  fondi per il progetto, fra l’altro finanziato con una antipaticissima tassa sul vino, che suscitò una serie di “pasquinate”, ben presto si esaurirono e il cantiere fu bloccato. Rimase solo un basamento ad esedra con una vasca antistante in cui si incontrano le tre bocche d’acqua. La realizzazione dell’attuale fontana di Trevi si deve a papa Clemente XII che nel 1732 indice un concorso al quale partecipano i maggiori artisti dell’epoca e sceglie quello dell’architetto Nicola Salvi.
Il progetto intende raccontare la storia dell’Acquedotto dell’Acqua Vergine tramite una grande opera di architettura. I lavori iniziano nel 1732 e già nel 1735, Clemente XII la inaugura, nonostante questi non siano ancora terminati. Ci vorranno ben trenta anni, e altre due “inaugurazioni”, prima di considerarla finita, nel 1762, sotto il pontificato di papa Clemente XIII, per opera di Giuseppe Pannini, subentrato dopo la morte di Nicola Salvi. Il tema rappresentativo della fontana è il mare. Ai piedi del palazzo al quale è addossata, c’è una scogliera rocciosa. Nel centro, in una grande nicchia, la statua di Oceano su un cocchio a forma di conchiglia, trainato da due cavalli alati, che simboleggiano le due diverse condizioni del mare: uno agitato e l’altro calmo, frenati a loro volta da due statue di tritoni, uno giovane e l'altro anziano, anch'essi a simboleggiare l’impeto dell’età giovanile e la pacatezza di quella adulta. Ai lati di Oceano, due figure allegoriche, la Salubrità e l’Abbondanza, riconoscibile, quest’ultima, dalla grande cornucopia piena di fiori e frutta. Sopra le due statue si trovano due rilievi che alludono alla leggenda della sorgente e alla storia dell’acquedotto: a destra, la vergine che indica la sorgente ai soldati romani e, a sinistra, Agrippa che ordina l’avvio dei lavori di costruzione dell’acquedotto.
Quattro colonne corinzie sorreggono il prospetto superiore e in loro corrispondenza si trovano quattro statue che simboleggiano le quattro stagioni. Al centro di queste è la grande iscrizione commemorativa fatta apporre da Clemente XII, nel 1735, in occasione della prima, frettolosa, inaugurazione. La leggenda più famosa legata alla fontana è senz'altro quella secondo la quale, il turista che getta una monetina, farà sicuramente ritorno a Roma. Si calcola che ogni anno si estraggono dalla fontana circa un milione di euro in monete, che, dal 2007, vengono date in beneficenza. Durante i primi mesi del 2020, una grande epidemia causata dal virus del Covid 19, ha costretto, per oltre due mesi, la popolazione ad una quarantena forzata, con le frontiere chiuse ai turisti. Appena è stato possibile poter di nuovo riuscire, andare in giro per una città semi-deserta è stata un'esperienza magnifica; vedere luoghi, solitamente presi d'assalto da folle di turisti, incredibilmente vuoti e silenziosi, qualcosa di surreale. Uno di questi luoghi è stato, per l'appunto, la fontana di Trevi.
Una curiosità invece riguarda il grande vaso di travertino posto sul parapetto a destra guardando la fontana, denominato, per la sua forma, l'Asso di coppe. Sembra che il Salvi, stanco delle critiche continue di un barbiere che aveva il suo negozio lì davanti, abbia escogitato questa decorazione per coprire la visuale all'uomo, che alla fine, capì e smise di criticare.
Sulla piazza affaccia la Chiesa dei Santi Vincenzo ed Anastasio, che vanta una delle più belle facciate barocche di Roma, chiamata dai romani "Il Canneto" per la presenta di 18 colonne, disposte 10 nell'ordine inferiore e 6 nell'ordine superiore, più 2 poste ai lati del grande finestrone centrale. Costruita tra il 1644 e il 1650, per il Cardinale Giulio Mazzarino, da Martino Longhi il Giovane, su una preesistente struttura del trecento dedicata al solo Anastasio il Persiano, monaco di Gerusalemme, martirizzato in Assiria nel 628. Successivamente le fu affiancato anche il nome di Vincenzo, martire spagnolo. Per la sua vicinanza al Quirinale, a quel tempo residenza pontificia, era conosciuta anche come “Parrocchia Pontificia” e qui sono conservati, in appositi loculi, gli organi dei papi, da Sisto V (1590) fino a Leone XIII (1903), che poi venivano imbalsamati. Il Belli definì la chiesa “un museo de corate e de ciorcelli”, che le valse l’altro soprannome di “chiesa delle frattaje”. Stomaci ed intestini sono (per fortuna!) celati agli sguardi dei turisti e conservati in una zona non visitabile. Forse, proprio per rispettare questa "nobile presenza”, la chiesa presenta un interno molto poco significativo e quindi poco attraente da un punto di vista turistico.
È sicuramente la facciata l’attrazione maggiore, dove, oltre alle numerose colonne, è presente il busto di una nipote del cardinale Mazzarino, presumibilmente Maria Mancini, moglie del principe Lorenzo Onofrio Colonna, e amante di re Luigi XIV, che costituisce l’unico esempio di una figura di donna, tutt'altro che santa, posta come ornamento in una chiesa romana. Anche le due statue di donna a seno nudo, che sostengono, a braccia alzate, la trabeazione del secondo ordine, sono esempi unici a Roma per una chiesa.
Salendo i gradini che portano alla chiesa e voltandosi, si ha un punto di vista completamente nuovo sul grandioso monumento e sulla fiera turistica che intorno ad esso ogni giorno si svolge, ed entrando, anche solo per pochi minuti, non si potrà non percepire il contrasto fra l’assoluto silenzio interno e il fragoroso rumore esterno. La cosa straordinaria di Roma, è che agli occhi del visitatore attento e curioso, rivela dei tesori, che troppo spesso restano nascosti e poco conosciuti. È il caso, per esempio, della Galleria Sciarra. Lasciata piazza di Trevi, percorro via delle Muratte, fino a tornare di nuovo in via di Santa Maria in Via, e arrivo proprio di fronte a questo passaggio pedonale straordinario.
Fu il principe Maffeo Sciarra a realizzarla, per collegare gli spazi della sua proprietà a quelli della sua attività editoriale, che comprendeva, fra l’altro, la rivista culturale “Cronache Bizantine” di cui era direttore Gabriele D’Annunzio.
Il progetto è dell’architetto Giulio De Angelis e autore degli affreschi il pittore Giuseppe Cellini, che li realizzò nel 1887. La decorazione in stile liberty rappresenta la “Glorificazione delle donne”. Donne eleganti che rappresentano le virtù femminili della vita borghese ottocentesca, e che vogliono essere anche un omaggio alla madre del principe, Carolina Colonna Sciarra, di cui l’acronimo (CSS) è ricamato su uno scudo all’ingresso della galleria, vicino allo stemma di famiglia.
Ci sono La Pudica, La Sobria, L’Umile, La Prudente, La Paziente, La Benigna, La Fedele, La Forte, La Signora, L’Amabile, La Misericordiosa, rappresentate nella parte alta; mentre nella fascia inferiore sono rappresentate scene di vita quotidiana borghese attribuite alla figura femminile, come la cura del giardino, o l’esercizio musicale, l’abbigliamento nuziale o la conversazione galante. In quest’ultima sembra vi sia ritratto proprio Gabriele D’Annunzio, anche se la sua visione della donna era tutt'altro che di “angelo del focolare”. La galleria Sciarra è un cortile privato che è aperto al passaggio pubblico durante gli orari di ufficio, dalle 9 alle 18.30. Percorrendo via di San Marcello, proprio di fronte alla storica birreria "Peroni", si trova un'altra di quelle meraviglie che regala Roma a chi le sa cercare, il Santuario mariano più piccolo della città, e forse anche del mondo: la Cappella della Madonna dell'archetto. L'archetto era quello che collegava la via di San Marcello a piazza della Pilotta, tramite un vicolo piuttosto buio e malfamato.
Un’immagine della Vergine, disegnata da Domenico Muratori, allievo del Carracci, nel 1690, venne posta, quasi a protezione, in quel luogo cosi pericoloso, da una nobildonna romana, Alessandra Mellini, della nobile famiglia dei Muti Papazzurri Savorelli. Il 9 luglio 1976 la Madonna mosse gli occhi più volte, addirittura pianse, di fronte a vari testimoni; evento, questo, che si verificò anche in altre Immagini Sacre sparse per la città, quali la Madonna dell'Arco dei Pantani, la Madonna Addolorata, la Madonna della Provvidenza e la Madonna del Rosario, e che venne attribuito come premonitore dell’invasione francese, che si verificò poco tempo dopo. Riconosciuto il miracolo, il luogo divenne meta di pellegrinaggio, e si ritenne opportuno chiudere un lato del vicolo rendendolo una strada senza uscita che terminava con l’immagine sacra. A metà dell’800, per volere del marchese Muti Papazzurri, discendente della nobildonna che donò l’immagine sacra, venne costruita la minuscola chiesa ad opera dell’architetto Virginio Vespignani, che realizzò un vero e proprio tesoro di arte neo-rinascimentale. L’interno, ricco di materiali preziosi, è a croce latina con soffitto a cassettoni di stucco dorato, e pavimenti in marmi pregiati. Sull'altare è posta l’immagine della Vergine Maria racchiusa in una teca di legno dorato. La cupola, vero prodigio architettonico, a causa del minuscolo spazio che la contiene, è affrescata da Costantino Brumidi, un artista da noi poco conosciuto, ma famoso negli Stati Uniti, per aver affrescato la cupola del Campidoglio di Washington.
Questa chiesa-gioiello in miniatura è stata dichiarata Monumento Nazionale d’Arte dalla Sovrintendenza delle Belle Arti. Siamo così arrivati a Piazza Santissimi Apostoli, dal nome della Basilica che quivi sorge. Questa basilica è l’unica, a Roma, a non essere stata edificata su preesistenti edifici romani, e inizialmente era dedicata agli Apostoli Giacomo e Filippo, di cui conserva le reliquie.
Fu costruita da papa Pelagio I (556-561) e terminata dal suo successore Giovanni III (561-574). Dopo la distruzione, nel 1348, dovuta ad un terremoto, fu riedificata, nel XV sec., da Martino V (1417-1431) della famiglia Colonna, che, nelle immediate vicinanze, stava costruendo il proprio palazzo di famiglia, e venne dedicata ai Dodici Apostoli. Alla fine del XV secolo venne aggiunto il portico con loggiato ad opera dell’architetto Baccio Pontelli, e nell’abside Melozzo da Forlì eseguì un grandioso affresco con l’Ascensione di Gesù Cristo risorto fra angeli e apostoli, (1480 ca.) che venne poi staccato e diviso in più parti, quando nel 1711 si decise di rimodernare l’edificio. Alcune parti dell’affresco sono conservate ai Musei Vaticani, al Quirinale e al Museo Prado di Madrid. La facciata neoclassica è opera del Valadier, che la eseguì nel 1827, caratterizzata da un ampio finestrone centrale, che, si dice, sia grande quanto il fornice di porta del Popolo. Il portico, come abbiamo detto, eseguito da Baccio Pontelli verso la fine del XV sec., è a nove arcate su due ordini, di cui il primo con pilastri ottagonali e il secondo con semi colonne ioniche, chiuso con finestre barocche, verso la fine del XVII sec. da Carlo Rainaldi, il quale aggiunse anche la balaustra con le statue di Cristo e dei 12 apostoli. Una curiosità: sul piedistallo di ciascuna delle statue è incisa una lettera; tredici lettere, "F.L.D.L.C.S.O.T.C.E.C.V.B., che per molto tempo hanno costituito un enigma per il loro significato.
Ora sappiamo che costituiscono un “elogio” per il cardinale Lorenzo Brancati, bibliotecario della Vaticana, che si stabilì a Roma, dalla città di Lauria in Basilicata e che fu colui che ordinò e pagò le tredici statue. L’architetto usò questo sistema “enigmatico” per tramandare ai posteri la notizia, ma senza urtare la suscettibilità del pontefice con una scritta troppo laudativa. Esattamente significano "Frater Laurentius De Laureolo Consultor Sancti Officii Theologus Cardinalis Episcopus Custos Vaticanae Bibliothecae”. L’interno è a tre navate e colpisce subito il meraviglioso affresco della volta, “Trionfo dell’Ordine Francescano” del Baciccio (1707) e l’affresco di Giovanni Odazzi, “La Caduta degli Angeli”, dove per uno straordinario effetto illusionistico, gli angeli sembrano cadere davvero.
La pala d’altare, la più grande di Roma, è opera di Domenico Muratori (lo stesso che ha dipinto la Madonna dell’Archetto), e raffigura il “Martirio degli Apostoli Filippo e Giacomo” (1704). Altra opera importante è il monumentale sepolcro di papa Clemente XIV, di Antonio Canova del 1787.
Scendo infine nella Cripta realizzata da Luigi Carimini, tra il 1869 e 1871, dove sono collocate le reliquie degli apostoli Giacomo e Filippo e anche di altri martiri.
La cosa straordinaria di questa chiesa è, a mio avviso, la Cappella Bessarione, con i suoi meravigliosi affreschi, del XV sec. attribuiti a Melozzo da Forli, Antoniazzo Romano e loro botteghe, scoperta casualmente nel 1959, durante dei lavori di restauro eseguiti nell'adiacente palazzo Colonna. Su prenotazione obbligatoria, il venerdì e sabato mattina, sono visibili gli affreschi passando sopra una passarella sospesa che permette al visitatore di guardare le opere molto da vicino.
Nella piazza affaccia uno dei più grandi e importanti palazzi di Roma: Palazzo Colonna. Forse l’unico Palazzo nobiliare a Roma ad essere sempre appartenuto alla stessa famiglia. È da 23 generazioni, dal ‘500 ad oggi, che i Colonna vivono nelle sue stanze. Purtroppo, non ho visitato il Palazzo e la sua Galleria, quindi non posso raccontarvelo. qui il sito ufficiale, e non appena provvederò a colmare questa mia lacuna, verrò ad aggiornare il post. Quelle che invece ho visitato, e che mi hanno lasciato letteralmente di stucco, sono le Domus Romane sotto Palazzo Valentini, l'ex Palazzo della Provincia, ora sede della Prefettura di Roma.
L’originalità di questa visita sta nel percorso multimediale curato da Piero Angela con la collaborazione di Paco Lanciani e Gaetano Capasso, che attraverso ricostruzioni virtuali, effetti grafici e filmati, riportano in vita le due Domus, mostrandocele come dovevano essere nella realtà. Si cammina su lastre di vetro poste a protezione di quei resti, con una voce narrante che spiega i vari ambienti, e un gioco di luci che mette in evidenza il particolare di cui si sta raccontando. Sembra una magia. Anche qui, come per la Domus Aurea, la visita è obbligatoriamente guidata, quindi inutile annoiarvi con ulteriori dettagli, forse meglio farvi vedere questo video che sicuramente vi farà venire la voglia di andare, il racconto della colonna Traiana è qualcosa di unico! E vi assicuro che dopo averlo ascoltato, la guarderete con occhi diversi!
A questo punto le visite sono terminate, possiamo tornare al punto di partenza, passeggiando per strade molto caratteristiche.
Da via di Sant'Eufemia, prendiamo via delle Tre Cannelle e arriviamo in via IV Novembre, svoltiamo a sinistra e ci troviamo davanti via della Pilotta, con i suoi caratteristici archi che collegano Palazzo Colonna ai giardini retrostanti della Villa Colonna.
Arriviamo in Piazza della Pilotta, dove ha la sede la Pontificia Università Gregoriana, e dalla parte opposta è situato il secentesco palazzo Muti Papazzurri. Proseguiamo in via dei Lucchesi, tagliamo per il vicolo omonimo, e arriviamo in via della Dataria, saliamo la scalinata e siamo arrivati di nuovo in piazza del Quirinale, dove finisce il nostro terzo itinerario.

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