Le Case messaggio

maggio 05, 2020


Avete presente il messaggio in bottiglia, quella romantica forma di comunicazione che consiste nell'affidare al mare un messaggio con la speranza che le onde lo portino a riva e qualcuno lo legga per trarne conforto o ispirazione? Bene, a Roma c’è chi ha escogitato un metodo alternativo di inviare messaggi al mondo, un modo di comunicare davvero originale se non addirittura bizzarro e un tantino esibizionista: scrivere un messaggio sulla facciata della propria casa. Non si tratta di missive anonime, ma di iscrizioni concepite come elementi di decoro che riportano a chiare lettere il nome del mittente, ovvero il proprietario del palazzo, che ha deciso di condividere con i passanti, almeno con i più curiosi, alcuni pensieri, riflessioni, consigli. Un esempio è a via del Portico d’Ottavia.


L’edificio è il più antico del Ghetto, costruito nel 1468 dal ricco mercante Lorenzo Manili quando addirittura il Ghetto non esisteva e gli ebrei vivevano liberi nella zona. Conosciamo con precisione il nome del proprietario e l’anno di costruzione grazie al messaggio sulla facciata, una vera e propria dichiarazione d’amore per il glorioso passato della città da parte di un grande ammiratore. L’intero fronte del palazzo è occupato da un fregio in pietra con un’iscrizione latina scandita su tre righe:

Mentre Roma rinasce all’antico splendore, Lorenzo Manilio, in segno d’amore verso la città, costruì dalle fondamenta, sulla piazza di Giudea, in proporzione alle sue modeste possibilità, questa casa, che dal nome del suo casato prende il nome di Manilia, per sé e per i suoi discendenti nell’anno 2221 dalla fondazione di Roma: all’età di 50 anni, 3 mesi e 2 giorni fondò il giorno secondo prima delle calende di agosto.

Non passa inosservata la pignoleria con cui Lorenzo Manili puntualizza alcuni dettagli come la sua età, né la scelta di calcolare la data dal giorno della fondazione di Roma, il 21 aprile del 753 a.C.: si tratta di un vero estimatore della Roma antica. Con una sfumatura di megalomania, Manili ha fatto scrivere il suo nome in altri tre punti della facciata, una volta perfino in greco che, all’epoca degli antichi romani, era la seconda lingua. L’omaggio all'antichità è ribadito con l’inserto nella facciata di alcune decorazioni originali, un antico frammento raffigurante una cerbiatta e il suo cucciolo e un altro con un leone che azzanna un’antilope.


La casa-messaggio di Lorenzo Manili non era nata solo da un’esigenza privata, dalla devozione di un estimatore delle passate glorie dell’Urbe, ma assecondava anche le indicazioni di papa Paolo II che auspicava una “rifondazione” di Roma animata da un sincero spirito umanistico. Qualche tempo prima, in pieno Medioevo e poco distante dal Ghetto, nel Foro Boario, proprio di fronte al Tempio di Portuno, tale Nicolò della famiglia dei Crescenzi aveva avuto più o meno la stessa idea: incidere un lungo messaggio sul portone del palazzo di famiglia. Realizzata tra l’XI e il XII secolo, la Casa dei Crescenzi è un raro esempio superstite a Roma di dimora aristocratica medievale.


La facciata è movimentata dall'inserto di numerosi frammenti marmorei come cornici, colonnine, pilastri e fregi di vario genere, ma a noi interessa soprattutto la lunga epigrafe in latino sull'architrave flesso che sormonta la porta principale:

Nicolò, di cui è questa casa, non fu ignaro che la gloria del mondo non ha nessuna importanza di per sé: non fu la vanagloria a spingerlo a costruire questa casa, ma il desiderio di rinnovare l’antico decoro di Roma. Nelle belle case siate memori dei sepolcri e state certi, per Dio, che lì non resterete a lungo. La morte viene sulle ali; per nessuno la vita è eterna, la nostra permanenza è breve e il suo stesso corso è lieve. Se pure tu fuggissi il vento, se pure tu chiudessi cento porte, se tu comandassi mille scorte, non ti coricheresti senza la morte. Se pure ti chiudessi in un castello alto fino alle stelle, proprio là essa suole strappare anche più velocemente chiunque lei voglia. Sorge verso le stelle la casa sublime, la cui mole il grande Nicola, primo fra i primi, eresse dalle fondamenta, per rinnovare il decoro dei padri. Del padre il nome è Crescenzo, della madre Teodora. Questa mole illustre eretta per il caro figlio, il padre che l’innalzò a Davide l’attribuì.


Oltre a dichiarare apertamente nomi e cognomi dei legittimi proprietari del bel palazzo, la logorroica iscrizione è un invito a riflettere sulla caducità della vita e l’impossibilità di sfuggire alla morte, con un’insistenza un po’ persecutoria sull'immagine della Signora con la falce che ti raggiunge ovunque tu sia e qualsiasi cosa tu faccia, una sorta di “ricordati che devi morire” a beneficio del passante di tutte le epoche, che ricorda tanto il prete di “Non ci resta che piangere”. La casa dei Crescenzi ha assunto, nel tempo, diverse denominazioni tra cui anche quella di Casa di Cola di Rienzo, per via di una somiglianza tra il nome del legittimo proprietario, Nicolò dei Crescenzi e il vero nome di Cola, che era Nicola di Rienzo Gabrini. Era nota anche come Casa di Pilato, perché nel Medioevo la processione della Via Crucis partiva da qui e arrivava a Testaccio: il Monte dei Cocci impersonava il Golgota, mentre la Casa dei Crescenzi era la Casa di Pilato.


All'epoca della sua costruzione si trovava in una posizione strategica per via della vicinanza all'antico ponte Emilio, quando ancora non era Rotto e rappresentava uno dei pochi attraversamenti del Tevere. Nonostante oggi la Casa dei Crescenzi non sfoggi più la nobiltà di un tempo, non sia più “sublime” né la sua mole possa definirsi “illustre”, sbertucciata dal tempo, ammaccata dagli eventi e schiacciata dall'edificio dell’Anagrafe, resta un’affascinante testimonianza del Medioevo romano, oltre che un originale esempio di casa-messaggio. Non più “splendida”, ma ancora in piedi: dopo essere stata una stalla, ha riconquistato dignità e rispettabilità quando, nel 1939, è diventata la sede del Centro Studi per la Storia dell’Architettura. Spostiamoci avanti di qualche secolo e di qualche chilometro: arriviamo precisamente al civico 148 di via dei Coronari, una delle strade più famose ed esclusive della capitale.


Non parlo di oggi, o meglio, non solo: già ai primi del Cinquecento, se volevi dimostrare il tuo prestigio sociale, era qui che dovevi abitare. Prospero Mochi, self made man, partito dal nulla e divenuto imprenditore di successo, dimostrò a tutti la solidità della sua posizione venendo ad abitare al 148 di via dei Coronari, in un delizioso palazzetto a tre piani costruito nel 1516 da Pietro Rollessi, aiutante di Antonio da Sangallo il Giovane. Via dei Coronari rispondeva alla volontà di Sisto IV di voltare pagina, lasciandosi alle spalle la Roma medievale con tutto il suo dedalo di viuzze e vicoletti tortuosi e malandati, aprendo la strada alla Roma rinascimentale, alla rinascita della città dei papi: questa strada fu via dei Coronari, la Via Recta, aperta per volere del papa verso la fine del Quattrocento, l’unica dritta a Roma, la più lunga, una sorta di “grand boulevard” che divenne subito “in”. Si facevano carte false per abitare sulla via che portava sciami di pellegrini in Vaticano (i coronari erano i venditori di corone, rosari e immagini sacre). Proprio con la compravendita di immobili e terreni, oltre che creando società di prestito e d’investimento, Prospero Mochi aveva accumulato una fortuna. La sua professione ufficiale era quella di “abbreviatore papale”, una sorta di intermediario negli affari pontifici, un ruolo molto vantaggioso che affiancò a quello di sovraintendente delle fortificazioni e alle mura di Roma. Come sappiamo che Prospero Mochi era abbreviatore papale? Lo ha scritto lui stesso, a mo’ di decorazione sulla facciata del suo palazzetto di via dei Coronari dove ha lasciato, come post-it incisi sulla pietra, anche alcuni consigli utili per vivere bene.


Oggi alcune incisioni sono poco leggibili per il trascorrere del tempo oltre che per la loro collocazione sulla cornice delle finestre più alte. Le sue tre regole d’oro sono:

 “Considera tuo cio che fai! (Tua puta que tute facis); 
“Non tutti possiamo fare tutto” (Non omnia possumus omnes) e 
“Mantieni le promesse” (Promissis mane). 

La fonte è attendibile, considerando che Prospero Mochi fu un uomo di successo, artefice della propria fortuna, quindi se siete alla ricerca di saggi consigli per imbroccare la strada giusta, la recta via, (scusate il gioco di parole), fate un salto al numero 148 di via dei Coronari e prendete nota: per una vita prosperosa, impegnatevi a dare un valore a ciò che fate, ficcatevi nella testa che non si può fare tutto e ricordatevi che le promesse vanno sempre mantenute. Questo è il saggio messaggio inciso sulla casa di un uomo del Rinascimento, valido in qualunque epoca.

(Giulia Fiore Coltellacci - I luoghi e le storie più strane di Roma)

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