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Sant'Andrea della Valle - Facciata |
La storia di Sant'Andrea della Valle
è disseminata di litigi, incomprensioni, ripicche, piccoli e grandi melodrammi.
Cominciamo dal nome, ovvero dalla valle in questione. L’appellativo deriva dal
fatto che anticamente, ma proprio al tempo degli antichi Romani, l’area era una
zona depressiva dove convogliavano le acque di quello che Tacito definiva il “lago
di Agrippa”. Lo storico racconta che il divo Nerone si divertiva a giocare in
questa sorta di stagno, organizzando battaglie navali e dissolute orge a bordo
di una grande barca ornata d’oro e avorio. Successivamente bonificata, la valle
venne livellata e nel 1591 fu costruita la chiesa. O meglio, iniziarono i
lavori per la realizzazione della basilica, progetto di Giovan Francesco
Grimaldi e Giacomo Della Porta, perché la sua gestazione fu lunga e molto
travagliata, in alcuni casi addirittura melodrammatica. Nel 1655, infatti, erano
stati costruiti solo il corpo centrale e la cupola di Maderno, la seconda più
alta di Roma, dopo quella di San Pietro, ma mancava ancora la facciata.
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Sant'Andrea della Valle - La cupola vista da Largo del Pallaro |
Subentrò
Carlo Rainaldi, al quale il progetto della facciata di Maderno non piaceva
affatto e quindi cercò di modificarla tentando allo stesso tempo di soddisfare
la richiesta del pontefice Alessandro VII di celebrare la sua famiglia. Rainaldi
pensò di colmare la differenza tra la parte inferiore e quella superiore della
facciata senza ricorrere al tipico escamotage architettonico barocco delle
volute, ma realizzando al loro posto due angeli da affiancare allo stemma della
famiglia Chigi, sei colli sormontati da una stella. Questa era l’idea, solo che
la realizzazione scatenò il primo dramma: “il gran rifiuto”. Quando Ercole
Ferrata, incaricato di realizzare i due angeli, presentò la prima scultura
finita, fu ricoperto di critiche e le più aspre provenivano proprio da Alessandro
VII, che senza tanti giri di parole disse che era orrenda, con quelle ali poi,
una piegata e l’altra distesa era davvero inguardabile! L’artista non prese
affatto bene i severi giudizi del committente e rispose a tono, rifiutandosi di
scolpire il secondo angelo e intimando al papa che, se lo voleva, se lo sarebbe dovuto fare da solo. Fine primo atto: Ferrata lasciò il cantiere infuriato, abbandonando la
facciata asimmetrica. E così è rimasta, con il vuoto lasciato dall'angelo mancante
e il superstite con le ali sbilenche, una delle quali poggiata in modo anomalo
alla parete, come a volerla sorreggere.
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L'angelo della facciata con lo stemma dei Chigi |
La strana posizione dell’angelo non
passò inosservata e non fu risparmiata dai commenti del popolo, né tanto meno
dalla voce del popolo, Pasquino, che così interpretò i pensieri dell’infelice
statua: “Vorrei volare al pari di un uccello, ma qui fui posto a fare da
puntello”. Il secondo atto, “ripicche e dispetti”, si svolge all'interno della
chiesa. Gli attori principali sono Domenico Zampieri, detto il Domenichino, e
Giovanni Lanfranco, nomi di spicco del primo barocco, entrambi allievi di
Annibale Carracci. Il primo era un personaggio piuttosto strano: basso e con
le gambe storte, era soprannominato “il bue” per la sua rinomata lentezza e non
godeva di grande popolarità per via del carattere estremamente timido e taciturno.
Sembra che riservasse ai rapporti sociali solo un’ora al giorno, attenendosi a
una rigida lista di sette persone, cui dedicarsi in quell'unica ora, perché il
resto della giornata si concentrava esclusivamente sulla sua arte. Tanta dedizione
era ripagata: non a caso era il preferito del maestro, che gli passava le
commissioni migliori, e di conseguenza il più odiato dai colleghi, tra cui
Giovanni Lanfranco. Siamo intorno al 1621 quando Domenichino ottenne l’ambito incarico
di realizzare gli affreschi dell’abside e della cupola di Sant'Andrea della Valle.
Si mise subito al lavoro dedicandosi per mesi alla preparazione. In questo
lasso di tempo, però, Lanfranco ne approfittò per lavorarsi i frati,
demonizzando lo stile fuori moda del collega, un conservatore ancora legato
al gusto rinascimentale, e celebrando invece la sua arte, innovativa, proiettata
verso la nuova maniera barocca. Senza contare che lui, Lanfranco, era molto più
rapido.
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Affresco della cupola: Gloria del Paradiso di Giovanni Lanfranco |
Quando Domenichino fu pronto per passare dalla teoria alla pratica,
trovò il rivale arrampicato sulla cupola e scoprì che a lui erano rimasti solo
gli affreschi del transetto absidale e i pennacchi sotto la cupola. Delusione, rabbia…
vendetta? Chissà quali sentimenti si agitarono nell'animo dell’artista, fatto
sta che un giorno Lanfranco stava per salire sui ponteggi per lavorare agli
affreschi, quando si accorse che erano stati manomessi. Tutti i sospetti
ricaddero, ovviamente, sul suo antagonista, ma il giallo rimase insoluto. Per fortuna
di tante scaramucce, liti e ripicche (vere o presunte), rimangono la Gloria del
Paradiso di Lanfranco che domina la cupola e i Quattro evangelisti di
Domenichino che la piantonano nei pennacchi:
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Domenichino: I quattro Evangelisti |
dell’odio rimane solo la bellezza,
questa è la magia dell’arte. A proposito di arte, arriviamo al terzo atto: “il
finto dramma”. Tra le tante vicende drammatiche che hanno avuto come palcoscenico
Sant'Andrea della Valle, la più nota è l’unica frutto dell’immaginazione. Gli appassionati
di lirica conoscono bene questa chiesa, in quanto vi è ambientato il primo atto
della Tosca, una delle opere più famose di Giacomo Puccini. È nella prima
cappella di sinistra che il pittore Cavaradossi lavora al ritratto della
marchesa Attavanti, scatenando la gelosia della sua amante Tosca. La cappella
Attavanti è in realtà la cappella Barberini, oramai la più famosa della chiesa
per via dell’opera di Puccini, ma è solo una delle numerose, tutte molto
scenografiche.
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La Cappella Barberini dove fu ambientato il primo atto della Tosca di Giacomo Puccini |
E con Tosca cala il sipario su Sant'Andrea della Valle, luogo di
drammi, melodrammi, litigi e ripicche a colpi di scalpelli, pennelli e acuti.
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Teatro dell'Opera di Roma |
( Giulia Fiore Coltellacci - I
luoghi e le storie più strane di Roma)