La casa di Mastro Titta

febbraio 25, 2022

Via della Conciliazione, come la conosciamo oggi, fa da cornice alla splendida visione di San Pietro. Un rettilineo sul cui sfondo si staglia, maestosa, la basilica con la sua famosissima cupola.
 

Ma poco meno di un secolo fa era tutt’altra cosa: tante casette allineate una accanto all’altra, costrette tra due vicoli che le fiancheggiavano e chi percorreva uno di quei vicoli, arrivava totalmente impreparato alla vista del colonnato e della grande cupola, forse appena intravista, lungo il percorso della stradina.

(foto Internet)
Era la cosiddetta “spina” di Borgo, il quartiere più prossimo a San Pietro. I lavori per la demolizione iniziarono nel 1936 e coinvolse molte altre case a sud del Passetto, lo storico passaggio che collega il Vaticano con la fortezza di Castel Sant’Angelo. Pochi furono gli edifici che si salvarono dal piccone, fra questi il Palazzo dei Penitenzieri, il palazzo Torlonia e Santa Maria in Traspontina, che ebbero la fortuna di trovarsi in allineamento perfetto con l’arteria da realizzare.
  

Proprio a destra della chiesa, in quella viuzza che dal suo campanile prende il nome, al civico n. 2 abitava Giovanni Battista Bugatti, dal quale la gente soleva tenersi a debita distanza, perché “Mastro Titta”, come era meglio conosciuto, era il boia dello Stato Pontificio. Iniziò come apprendista e a soli 17 anni impiccò il suo primo assassino e continuò la sua carriera per circa 68 anni, effettuando non meno di 516 esecuzioni, fra decapitazioni, impiccagioni, squartamenti e mazzolamenti. Il suo era un “mestiere” che faceva con la massima serietà e la convinzione di eseguire solo il volere di Dio, che per mezzo del suo rappresentante in terra, ossia il papa, impartiva l’ordine da eseguire. Era descritto dai suoi contemporanei come una persona mite, affatto brutale, sempre ben vestito, che sorrideva spesso e quando non era impegnato nell’attività ufficiale, si guadagnava da vivere dipingendo o riparando ombrelli nella bottega a fianco della porta di casa.


Il suo stipendio, come boia, consisteva nelle quote di alcune imposte che otteneva indipendentemente dal numero di esecuzioni che effettuava e, simbolicamente, al momento di ogni esecuzione prendeva solo tre centesimi. Aveva inoltre a disposizione il suddetto appartamento e non gli era consentito, per motivi di sicurezza e per la sua incolumità, uscire fuori dalle mura di Borgo, visto che talvolta i familiari di un condannato cercavano di vendicarsi. Poteva farlo solo quando doveva andare a compiere il suo “ufficio” e per obbligo di contratto, indossava il suo mantello rosso e attraversava ponte Sant’Angelo.


Il popolo quando lo vedeva passare diceva: “Mastro Titta passa ponte” e questo stava ad indicare che era imminente un’esecuzione. I luoghi preposti a seconda della modalità erano: Piazza del Popolo per la ghigliottina, largo del Velabro per le impiccagioni, Campo de’ Fiori per il rogo. In molti accorrevano per assistere alle esecuzioni, fra loro anche molti ragazzini, che venivano portati appositamente per mostrare loro quale sorte spettasse a chi infrangeva le regole. L’esempio era “rafforzato” da un sonoro schiaffone che ogni padre dava al proprio figlio al termine dell’esecuzione della pena. Molti degli oggetti utilizzati dal boia sono stati raccolti e conservati, compreso il suo mantello, nel muso del Crimine in via del Gonfalone, che purtroppo però dal 1 giugno 2016 è ”temporaneamente” chiuso per lavori. Oggi la casa di Mastro Titta è stata inglobata in successive costruzioni, ma porta e bottega sono al loro posto originario.

(foto Internet)


(Claudio Colajacomo - Il giro di Roma in 501 luoghi)
(Rinaldo Gennari – Stravaganze romane)
(Annette Klingner – 111 luoghi di Roma che devi proprio scoprire)
(Marita Bartolazzi – Le strade del mistero e dei delitti di Roma)

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