Mausoleo Ossario Garibaldino

maggio 19, 2020


"Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta”, dice il primo verso dell’inno nazionale, ma colui che lo ha scritto ha perduto la sua vita a soli ventidue anni e dorme, eternamente, sul Gianicolo, il colle da cui Roma si ammira così bene.


Un colle strategico perché si trova proprio sopra il Vaticano, cioè la sede di quel papa che occorreva sconfiggere sul terreno per fare l’Italia.


Era un ragazzo, o poco più, Goffredo Mameli quando si spense per la cancrena dovuta a una ferita a un piede, che si era procurata combattendo al fianco di Garibaldi, proprio lì sul Gianicolo, nella villa del Vascello che fu l’ultimo baluardo della resistenza contro i francesi.


Prima di terminare quella breve esistenza aveva anche dovuto sopportare l’amputazione di una gamba, ma non era bastato. Quindi quei versi eroici e un po’ ingenui sono sostanziati dal fatto che lui, la morte, ce l’ha messa di suo, non solo sulla carta. Sono i versi di un ventiduenne, colmi di speranze e generose ambizioni e, nonostante le tante proposte di cambiarlo, alla fine quel canto è diventato l’inno ufficiale dell’Italia. Solo dal dicembre del 2017 però. Fino a quel momento era rimasto sempre come inno provvisorio, da cambiare con qualcosa di meglio. C’è di sicuro qualcosa di meglio, sia musicalmente che poeticamente, però quella vita generosamente gettata, rimane lì, su quel colle a ricordarci che, nonostante tutto, si può anche decidere di morire per i propri ideali. Fu Garibaldi in persona a battersi perché le spoglie dei patrioti morti per Roma capitale venissero conservate sul Gianicolo e così, nel 1941, venne inaugurato il Mausoleo Ossario Garibaldino, che accoglie i resti dei caduti nelle battaglie per Roma Capitale dal 1849 al 1870.


Lo aveva progettato l’architetto Giovanni Jacobucci: un quadriportico di travertino circondato da un recinto. L’interno brilla per le tessere di mosaico dorate che decorano il soffitto, lungo le pareti  sono disposti 36 loculi chiusi da lapidi che ricordano i nomi di oltre 1600 eroici caduti. Nei loculi sono conservati solo pochi resti (ca. 200), per lo più anonimi, che furono raccolti e riuniti: alcuni di loro erano stati seppelliti al Verano, altri nei luoghi delle battaglie, ai piedi delle mura.


C’è Ciceruacchio, ovverosia Angelo Brunetti, difensore della Repubblica romana. Quello cui Luigi Magni, nel suo film “In nome del popolo sovrano” fa dire: “so’ carrettiere ma a tempo perso omo, e l’omo se ‘mpiccia”. C’è Giuditta Tavani Arquati, uccisa con il marito e, anche lei come Ciceruacchio, col figlio adolescente. Incastonati fra i mosaci dorati della cripta sono rimasti i ricordi di quella brevissima Repubblica romana, che nacque troppo presto dagli ideali risorgimentali e troppo presto finì nel sangue.






(Marita Bartolazzi - Le strade del Mistero e dei delitti di Roma)

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