Villa Farnesina

luglio 09, 2020


Villa Farnesina è una delle più belle creazioni del Rinascimento italiano. Impossibile non innamorarsi della sua elegante architettura come della raffinata decorazione pittorica, uno straordinario e colto omaggio all'antichità. È impossibile non innamorarsi anche perché, leggendo tra le righe della storia e curiosando tra le pieghe delle storie private, si scopre che per una strana coincidenza tra arte e vita, l’amore è il vero padrone di questa nobile dimora.


A proposito di padroni di casa, iniziamo con una doverosa precisazione: più che Farnesina, in riferimento ai Farnese, che ne entrarono in possesso nel 1579, dovrebbe chiamarsi Villa Chigi, dal momento che fu il ricco banchiere senese Agostino Chigi a costruirla ai primi del Cinquecento. Il palazzo doveva essere la testimonianza del suo prestigio sociale, della sua ricchezza economica, ma anche della sua sensibilità artistica.


Da vero uomo del Rinascimento, infatti Chigi non era solo un danaroso businessman, ma anche un fine mecenate e un raffinato cultore delle arti e lo dimostrò chiamando a raccolta artisti di punta per realizzare il suo ambizioso progetto. Ricco sfondato, poteva permettersi il meglio: Baldassarre Peruzzi, che si occupò del progetto architettonico, oltre che del programma decorativo, Sebastiano del Piombo, il Sodoma e soprattutto la star del momento, Raffaello, che si portò dietro alcuni dotati collaboratori come Giulio Romano, Giovanni da Udine e Giovan Francesco Penni. Tutto nella villa doveva celebrare Agostino Chigi e lasciare stupefatti gli ospiti: artisti, poeti, principi, cardinali e perfino papi.


Il palazzo divenne in breve tempo il luogo più alla moda di tutta la penisola. Se la mondanità rivive solo nelle cronache pettegole dell’epoca, la passionalità del banchiere è testimoniata proprio dall'apparato decorativo della villa. Chigi aveva il “pallino” non solo per gli affari, ma anche per le donne, a giudicare dal suo “curriculum amoroso”. Prima ancora di trasferirsi nel palazzo della Lungara, in seguito alla morte della prima moglie Margherita, intrecciò un’intensa relazione con la divina Imperia, famosa cortigiana nota tra i membri dell’élite romana per l’avvenente bellezza e la grande cultura che le avevano garantito una clientela d’eccellenza tra poeti, nobili e diversi cardinali. Agostino Chigi, però, ne diventò il protettore e amante ufficiale, anche se non esclusivo, nonché padre della figlia Lucrezia, almeno secondo alcune fonti. Secondo altre fonti, il banchiere avrebbe chiesto a Raffaello di dare alla ninfa protagonista de Il trionfo di Galatea, il volto dell’amata Imperia, un gesto molto romantico, ma che contrasta con la versione dell’artista.


Si racconta che, estasiato dalla bellezza dell’affresco, Baldassarre Castiglione domandò al pittore quale donna l’avesse ispirato e lui rispose che Galatea era un’invenzione della sua fantasia. Le fantasie amorose di Agostino, invece, si diressero presto altrove, quando iniziò a corteggiare (per amore? Per convenienza?) la giovane Margherita Gonzaga, figlia di Francesco Gonzaga, marchese di Mantova. Il corteggiamento non andò a buon fine e neanche la storia con Imperia che, infelice per l’allontanamento di Chigi, cadde vittima della depressione e nell'agosto del 1512 si avvelenò. Non appena Agostino venne a conoscenza dell’insano gesto, inviò dei medici per cercare di salvarla ma, nonostante gli sforzi, la donna morì. Morì con tutti i sacramenti e perfino la benedizione di Giulio II, perché era amata Imperia, ma forse non con avrebbe voluto. Venne sepolta nella chiesa di San Gregorio al Celio,


in un mausoleo che Agostino stesso aveva fatto costruire, ma per quell'ingiusto destino che accomuna Imperia ad altre cortigiane dell’epoca, neanche un secolo dopo il suo posto fu usurpato da un canonico e ogni traccia della sepoltura della divina cortigiana è scomparsa per sempre. Agostino passò presto a un altro amore, Francesca, una ragazza bellissima e di umili origini, conosciuta a Venezia. Se ne invaghì, la rapì e visse con lei more uxorio per sette anni, ovvero fin quando Leone X lo obbligò a regolarizzare il rapporto. Il papa in persona celebrò il rito con una solenne cerimonia seguita da un banchetto di nozze memorabile, come memorabile erano tutti gli eventi mondani organizzati dal banchiere nella sua villa. È passata alla storia la messa in scena ideata per il battesimo del primogenito durante il quale fece gettare nel Tevere le suppellettili d’oro e d’argento usate per il banchetto. In realtà fu un trucco per lasciare gli ospiti di stucco: sembra che avesse fatto stendere nel fiume alcune reti in modo da poter recuperare le preziose suppellettili. Era pur sempre un banchiere, non uno scialacquatore.


Proprio in previsione delle tardive nozze con Francesca, Chigi affidò a Raffaello il ciclo pittorico della galleria al pian terreno: voleva qualcosa che stupisse gli invitati e l’artista lo accontentò, con la scelta di una narrazione continua, un unico racconto che alludesse alle nozze. Scelse la favola di Amore e Psiche, raccontata da Apuleio ne L’Asino d’oro, un riferimento colto che il banchiere non poteva che apprezzare.


Per “addobbare” a festa l’ambiente e renderlo spettacolare, Raffaello ebbe l’intuizione di trasformare la loggia d’ingresso in una finta pergola in modo da dare l’impressione che la vegetazione del giardino si prolungasse nei festoni di fiori e frutta dipinti, creando una suggestiva continuità tra interno e esterno in un tripudio di vita (e vitalità erotica, visto che non mancano piccole licenziosità).


Mentre Raffaello e i suoi collaboratori si occupavano della Loggia di Amore e Psiche, al primo piano si lavorava alla camera matrimoniale e anche in questo caso la decorazione doveva essere a tema.


Il compito fu affidato a Giovanni Antonio Bazzi, detto il Sodoma, il quale realizzò un ciclo pittorico il cui tema principale sono le nozze tra Alessandro Magno e Rossane. La scena clou è quella del matrimonio: il condottiero offre la corona alla sua sposa che lo attende seminuda sul bordo di un ricco letto a baldacchino, circondata da amorini, una scena propiziatoria per i novelli sposi.


A Baldassarre Peruzzi toccò la decorazione della Sala delle Prospettive, location del banchetto nuziale: un ambiente dove lo spazio si apre grazie a giochi prospettici e dove, attraverso un finto loggiato, si scorgono vedute urbane e campestri, mentre sotto il soffitto si susseguono scene mitologiche più o meno allusive al matrimonio.


Nonostante tutte queste premesse, il matrimonio tra Agostino e Francesca durò poco, molto meno dei preparativi: il banchiere morì nel 1520, appena un anno dopo le nozze, e la sua sposa lo seguì pochi mesi dopo. Potrebbe essere quasi un finale romantico, se non fosse funestato dal sospetto che Francesca sia stata avvelenata a causa della ricchissima eredità lasciatale da Agostino. Villa Farnesina, però, non è stata lo scenario esclusivo degli amori del padrone di casa. Se vogliamo credere alla leggenda, e quando si tratta di leggende d’amore vogliamo crederci, potrebbe anche chiamarsi “Villa Fornarina”. Come si è detto Agostino Chigi affidò il ricco programma decorativo della villa ai migliori artisti dell’epoca, tra i quali Raffaello, un divo noto per la sua arte, ma anche per la sua ars amatoria e gli eccessi amorosi. Sembra che propri mentre lavorava agli affreschi della Loggia, intento a omaggiare attraverso la mitologia gli amori del suo committente, l’artista si invaghì di Margherita Luti (ma a quel tempo si chiamavano tutte Margherita???) detta la Fornarina, perché figlia di un fornaio, giovane donna che abitava a Trastevere, a pochi passi dalla villa di Chigi. Sembra che tra i due fu amore a prima vista, un vero colpo di fulmine: chi dice che il pittore rimase folgorato vedendola romanticamente affacciata alla finestra della sua casa, presso Porta Settimiana,


chi sostiene che lei era opportunamente affacciata per adescare clienti (secondo una versione della storia, Margherita sarebbe una cortigiana) e chi afferma che il coupe de foudre avvenne sulle rive del Tevere, quando Raffaello avvistò la bella Fornarina intenta a bagnarsi, completamente nuda. Indipendentemente dalle modalità dell’incontro, l’artista perse la testa. Nelle Vite il Vasari racconta che Raffaello si innamorò a tal punto da non riuscire più a concentrarsi sul lavoro. Nella sua testa c’era solo Margherita, l’amore vero, passionale, carnale… altro che la favola di Amore e Psiche.


Agostino iniziò a preoccuparsi per il ritardo che la cotta dell’artista gli costava, anche in termini economici e, pur di rimetterlo al lavoro, ospitò Margherita nella villa, permettendole di rimanere accanto a Raffaello che, ispirato dalla sua musa, riuscì a terminare la loggia. Ma quella tra Raffaello e Margherita – amante, musa e modella del pittore – non era una favola e i due amanti non ebbero il lieto fine. La prematura morte dell’artista, il 6 aprile del 1520, stroncò l’idillio e pochi mesi più tardi Margherita si chiuse nel convento di Santa Apollonia distrutta dal dolore. Questa passionale, intensa e leggendaria storia rivive in alcuni luoghi e opere d’arte: nella finestra della casa della Fornarina a Trastevere, il palazzetto all'angolo con via di Porta Settimiana (anche  se, secondo la tradizione,  esistono almeno altre due case della Fornarina, una in vicolo del Cedro e l’altra in via del Governo Vecchio) e nei medaglioni con le figure dei due amanti che compaiono nella decorazione di Villa Lante al Gianicolo. Ma rivive soprattutto nel ritratto della Fornarina di Palazzo Barberini,


nella bellezza sfuggente e seducente dell’ultima amante dell’artista, forse la più amata, nella firma Rahael Urbinas sul bracciale che, come dice Antonio Forcellino, “segna più il possesso della persona che l’autografia del quadro” e nell'anello all'anulare sinistro, rivelato da un recente restauro, simbolo di un matrimonio d’amore indissolubile. E rivive anche nella Loggia di Villa Farnesina e nel ricordo di un’artista che, pazzo d’amore, non riusciva a lavorare senza la sua donna accanto.



(Giulia Fiore Coltellacci – I luoghi e le storie più strane di Roma)

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