Il Cimitero Acattolico

giugno 23, 2020


Nella città santa, simbolo per eccellenza della religione cattolica, trovare posto per seppellire i defunti atei o appartenenti ad altre religioni era impresa difficile, se non impossibile. La legge pontificia era severa in materia. Gli ebrei, per esempio, avevano un pezzo di terra incolta per inumare i loro defunti nella zona fuori Porta Portese e in seguito si spostò sulle pendici del colle Aventino. Per gli assassini e le prostitute era tollerata la sepoltura fuori da Porta del Popolo, lungo il Muro Torto, da sempre luogo sinistro, legato a leggende su fantasmi e apparizioni notturne. Gli eretici venivano bruciati vivi, ovviando in questo modo al problema della sepoltura, mentre le spoglie dei condannati per decapitazione erano prese in custodia dalle numerose confraternite, come quella di San Giovanni Decollato. Le comunità non cattoliche presenti sul territorio romano, tuttavia, richiedevano a gran voce un luogo per la sepoltura dei loro defunti. Ciò nonostante, solo agli inizi del Settecento il papa concesse un piccolo lembo di terra fuori dal centro abitato, lungo la via Ostiense, incastrato fra i resti delle Mura Aureliane e la piramide Cestia.


Chissà se il mausoleo d’ispirazione egizia, decisamente esotico come concezione, abbia influenzato la scelta per un luogo dedicato alle anime non cattoliche. La piramide era parte del perimetro del cimitero e, in un certo senso, ne fu il primo monumento funebre. Come potrete leggere in un mio precedente post, qui si trovano le spoglie di Caio Cesto Epulone, acattolico in anticipo sulla storia e non per scelta, che morì 12 anni prima della nascita di Cristo. Il cimitero è uno dei più belli in assoluto, un piccolo angolo del centro di Roma, dedicato agli stranieri, ai non credenti, ai protestanti, a qualche uomo illustre di religione ebraica. Tutti insieme. Nella terra umida di un luogo che sembra un’enclave di laicità e cultura.


Ha un che di magico camminare fra le lapidi racchiuse da cespuglietti di bosso, soverchiate dai fiori, sconfitte dalla vegetazione spontanea che le rende gioielli di pietra in un mare di verde. Si rincorrono in una dolce salita, fino a incontrare l’abbraccio delle Mura Aureliane: tre, quattro torrette sbrecciate, il confine fra la sua quieta atmosfera nordica e una città solare e caotica. Quelle mura sono state il riparo di Roma dalla barbarie e dai nemici, oggi sorvegliano la quiete di intellettuali, poeti, scrittori, comunisti, atei, la maggior parte stranieri, pochissimi i morti di questo secolo.


I gatti presidiano le tombe. Le vigilano. Si stiracchiano e sonnecchiano appoggiati a un angelo piangente, su una stele celtica. Indugiano sotto un raggio di sole fra i sepolcri, trasformati in affascinanti segnaposto di un territorio di lusso.


Varcato il portone al numero 6 di via Caio Cestio, anche l’aria sembra avere una consistenza diversa, come lattiginosa. E se pure la rossa luce romana si infila negli anfratti del cimitero, lo fa discretamente, rispettando la metrica romantica delle lapidi dei poeti.


Roma è straniera da queste parti. L’unico presidio profondamente locale sono quei felini estroversi, che ti seguono e si strusciano, che ti accompagnano e ti ascoltano quando, vittima del fascino alieno del Cimitero Acattolico, reciti nel tuo inglese smorto gli epitaffi più belli.


La prima vera sepoltura nel cimitero acattolico risale al 1738, nella parte più antica del sepolcreto, in seguito esteso a coprire un’area che oggi si estende lungo l’intero viale Caio Cestio. Alla fine, nel 1870, dopo poco più di un secolo di vita, lo hanno recintato. Si voleva evitare la profanazione delle tombe da parte dei cattolici più intolleranti, inviperiti da tanto riguardo.


La vendetta trasversale di una città espropriata. A questo pensava Pier Paolo Pasolini per le Ceneri di Gramsci? I versi glieli aveva ispirati l’epitaffio della tomba del comunista sardo, confinato in vita ed esiliato in morte dentro le mura di questo luogo non consacrato, ma sacro. “Uno straccetto rosso, come quello arrotolato al collo dei partigiani e, presso l’urna, sul terreno cereo, diversamente rossi, due gerani. Lì tu stai, bandito e con dura eleganza non cattolica, elencato tra estranei morti: le ceneri di Gramsci…”. 



I romani lo hanno soprannominato “il cimitero degli inglesi”, anche se i cittadini britannici sono solo una parte delle persone qui inumate, molte delle quali sono famose e alcune italianissime: Keats, Shelley, Antonio Gramsci, Dario Bellezza, un cuoco (anzi, un cuisinier), un bimbo orientale (cinese, giapponese? Sulla lapide soltanto i segni indecifrabili degli ideogrammi), i tanti notabili stranieri morti a Roma, per accidente o per scelta stanno qui, sotto l’ombra incongrua della Piramide Cestia.


Il cimitero, in passato come oggi, era curato da delegazioni straniere, spesso tra mille difficoltà.  Oggi sono quindici le ambasciate che si prendono cura di quelle sepolture così particolari, anime trapassate lontano da casa, oppure nell'angosciante certezza che oltre la morte c’era solo il buio eterno. Uno degli ultimi “uomini illustri” ad essere qui sepolto è stato lo scrittore, “padre” di Montalbano, Andrea Camilleri.




(Claudio Colajacomo - I love Roma)
(Ilaria Beltramme - 101 cose da fare a Roma almeno una volta nella vita)

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