Sant'Andrea delle Fratte e le sue curiosità

aprile 23, 2020


In fondo a via di Propaganda Fide s’innalza la facciata neoclassica e piuttosto disadorna di Sant'Andrea delle Fratte. Osservandola non si immagina di certo che questa chiesa nasconda tanti capolavori ma, soprattutto, tante curiosità da non sapere da quale iniziare. Si potrebbe partire intanto dal nome, nel quale vi è memoria di boschetti e cespugli da campagna romana, la cui presenza, oggi, appare davvero improbabile a due passi da piazza di Spagna. Quanto è cambiata la città da quando la famiglia Del Bufalo decise, nel XVI secolo, di ricostruire una chiesetta medievale dedicata all'apostolo Andrea? A quel tempo sorgeva proprio ai margini dell’abitato, o come ricorda anche la vicina strada, a “capo le case” e il titolo originario era Sant'Andrea de hortis, divenuto poi de fracta , volgarizzato in “delle Fratte”. Prima di entrare nell'edificio, alziamo il naso verso il cielo per ammirare il particolare campanile che sporge da uno dei suoi fianchi.


È di Francesco Borromini e non si esagera dicendo che è uno dei più belli in città. Il geniale architetto si divertì anche qui a giocare con forme ardite. Progettò una pianta insolita - prismatica nei due ordini inferiori, quindi circolare e infine ondulata – e come coronamento realizzò una sorta di tempietto circolare con colonne che, come per incanto, si trasformano in figure di donne alate. Riuscì inoltre – era, del resto, la sua abilità – a creare uno strepitoso movimento dinamico grazie alla combinazione di masse piene e vuote e all'alternanza di linee concave e convesse.


Mai come in questo caso, però, la sua rivoluzionaria poetica architettonica andò oltre l’effetto desiderato. Al movimento ideale del gioioso campanile, infatti, si aggiungeva, fino a poco tempo fa, un curioso movimento reale. Tutte le volte che suonavano le campane, e capitava di frequente, lo si vedeva oscillare in maniera impressionante tanto che venne ribattezzato “il campanile ballerino”. Era tale il singolare fenomeno che la Soprintendenza decise, una decina d’anni fa, di sostituire i rintocchi con un disco registrato, non tanto per privare i romani dello spettacolo danzante, quanto per preservare il capolavoro da rovinosi capitomboli. Torniamo ora alla facciata, che rappresenta un po’ il simbolo del travagliato processo costruttivo di Sant'Andrea delle Fratte. I lavori per la nuova chiesa, infatti, procedettero in maniera dilazionata e ci vollero ben quattro architetti. Il primo, Gaspare Guerra, diede l’impostazione generale, ma nel 1612 fu costretto a sospendere il cantiere per mancanza di fondi. Nel 1653 lo successe il Borromini, al quale si devono l’abside, il già richiamato campanile e il tamburo della cupola. Quindi fu la volta di Mattia de Rossi che, con il contributo di tanti benefattori, portò quasi a termine l’opera. Mancava appunto la facciata, rimasta incompleta dai tempi del Guerra. Venne ultimata solo nel 1826, da Pasquale Belli, con un finanziamento del cardinale Ettore Consalvi. Si racconta che il porporato riuscì a procurarsi il denaro con la vendita di una preziosa tabacchiera tempestata di brillanti che aveva ricevuto in omaggio dai sovrani d’Europa dopo il congresso di Vienna.


E veniamo così all'interno, dove ai lati dell’abside campeggiano due bellissimi angeli, uno con la corona di spine, l’altro con il cartiglio. Sono di Gian Lorenzo Bernini, la cui presenza a Sant'Andrea delle Fratte insieme al Borromini potrebbe non stupire poi tanto. Quante volte abbiamo visto i due terribili rivali della Roma seicentesca uniti negli stessi monumenti! Tutto normale, dunque, se non fosse che le due statue non si trovano nella destinazione originaria. Si tratta, infatti, di due dei dieci angeli che decorano Ponte Sant'Angelo.


Sono quelli eseguiti personalmente dall'artista e che, secondo la leggenda, parvero così belli a Clemente IX Rospigliosi, che volle ripararli in questa chiesa per preservarli dai pericoli delle intemperie. Sul ponte, così vennero poste le copie di Paolo Nardini e di Giulio Cartari, allievi del maestro. Racconti a parte, sembra che la storia sia andata diversamente e che il papa volesse appropriarsene. La sua idea era di spedirli a Pistoia, città natale della sua famiglia, così li fece portare, provvisoriamente, a Palazzo Rospigliosi. Fortunatamente, da lì non si mossero più perché nel giro di poco tempo il papa morì. Riacquistati, probabilmente, da Prospero Bernini, nipote dell’artista, vennero da questi donati a Sant'Andrea delle Fratte, nel 1729, “la chiesa”, scrive Cesare d’Onofrio, “quasi di fronte al Palazzo Bernini, nella quale per quarant'anni il Cavaliere, di buon mattino, era andato ad ascoltare la Messa”.


E così, per ironia della sorte, si unì di nuovo l’opera del Bernini a quella del Borromini, quasi nella richiesta di un altro confronto anche dopo la morte dei protagonisti. Infine, ultima particolarità di questa chiesa è la Cappella della Madonna del Miracolo, cosiddetta in seguito alla prodigiosa apparizione che la Vergine, nel gennaio del 1842, fece all'ebreo Alfonso Ratisbonne, entrato in chiesa solo per ammirarne le opere, e che, invece, dopo la visione, immediatamente si convertì e poco dopo chiese di essere battezzato. Per questo avvenimento, la chiesa è conosciuta anche come Santuario del Miracolo o la “Lourdes romana”.


(Gabriella Serio - Curiosità e segreti di Roma)

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