Il Tempio di Giove Capitolino

agosto 06, 2020



Tra i numerosissimi e straordinari tesori conservati nei Musei Capitolini, ve ne è uno, del tutto particolare, che non è stato portato qui da nessun papa o collezionista di sorta, perché già si trovava sul posto da tempo immemorabile. Stiamo parlando dei resti del Tempio della Triade Capitolina, Giove Ottimo Massimo, Giunone Regina e Minerva, luogo di culto per eccellenza dello stato romano fin dall'età monarchica. Anche se non si può propriamente definire un’opera d’arte, si tratta di una delle più importanti testimonianze dell’antica Roma. Per vedere le sue imponenti fondazioni – tutto ciò che di esso rimane – bisogna recarsi nella nuova esedra vetrata dove è stato collocato l’originale della celebre statua di Marco Aurelio. 


Certo non è facile distogliere l’attenzione dall'unica scultura equestre di epoca classica giunta a noi perfettamente integra, scampata alla fusione nel medioevo solo perché scambiata per quella di Costantino, primo imperatore cristiano. 


Forse però, raccontando la storia del grande tempio, si avrà voglia di soffermare lo sguardo anche su quei grandi, squadrati e apparentemente insignificanti, blocchi di tufo che si vedono affacciandosi da un parapetto della sala e che si trovano lì, incastonati nel terreno del colle, fin dal IV secolo a.C.


Secondo la tradizione, infatti, la “prima pietra” del tempio venne posta da Tarquinio Prisco, il quinto re di Roma, lo stesso che avviò la costruzione del Circo Massimo e della Cloaca Maxima, il grande condotto fognario che bonificò quella valle paludosa e malsana diventata poi il Foro Romano. Come però accadde per la maggior parte dei suoi grandiosi progetti, anche per il tempio di Giove Capitolino – come si suole anche chiamarlo – lo sfortunato dinasta etrusco non fece in tempo a vederne conclusi i lavori, perché venne assassinato. Servio Tullio, il suo successore, sospese il cantiere perché preso da altre cose, così a portare a termine l’opera ci pensò Tarquinio il Superbo, l’ultimo re della “Grande Roma dei Tarquini”. Sovrano discutibile, ma dai gusti raffinati, fece venire dall'etrusca Veio il miglior artista del momento, Vulca, che insieme ai suoi discepoli creò le statue di culto per le tre celle e la grande quadriga di terracotta dipinta, posta sulla sommità del tetto.


Di tutte queste opere, è vero, oggi non resta più nulla, ma fortunatamente, possiamo farcene un’idea ammirando le splendide statue di Apollo ed Ercole, oggi nel Museo Etrusco di Villa Giulia, con tutta probabilità realizzate dalla stessa bottega del maestro, per il santuario di Portonaccio a Veio.

Cacciato il tiranno da Roma, il tempio di Giove Capitolino venne inaugurato il 13 settembre del 509 a.C. nel primo anno della Repubblica. Da quel momento iniziò costantemente a essere al centro della vita politica e religiosa della città. Di fronte alla sua solenne facciata si concludeva la suggestiva cerimonia del trionfo con il generale vittorioso che rendeva omaggio agli Dei. Qui aveva luogo il rito di investitura dei consoli, il primo gennaio; da qui, inoltre, partivano i governatori diretti alle province. Al suo interno, dentro una teca lapidea, erano anche conservati i libri Sibyllini, una celebre raccolta di profezie, cui si ricorreva nei momenti di grave crisi, attraverso uno speciale collegio sacerdotale. Se vi è abbondanza di testimonianze circa la sua storia, lo stesso non si può dire su i resti materiali che, soprattutto per le strutture dell’alzato, sono inesistenti. Bisogna però tenere presente che il tempio non ebbe mai vita facile perché fu più volte distrutto dalle fiamme e ricostruito esattamente sulle medesime e possenti fondazioni che ancora oggi vediamo.


A partire dal IV secolo d.C., poi, iniziò l’opera di spoliazione del materiale più prezioso cui seguirono saccheggi e distruzioni. Nel Medioevo diventò una cava in piena regola per materiale da costruzione. Non ebbe, insomma, la fortuna di altri templi antichi che, come il Pantheon, vennero trasformati in chiese e quindi riconsacrati a nuova vita. Forse la ragione va ricercata nel fatto che rappresentava un simbolo troppo forte della vecchia e gloriosa Roma pagana.

(Gabriella Serio – I tesori nascosti di Roma)

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