Il Colosseo questo (s)conosciuto
giugno 25, 2020
È il simbolo di Roma e non solo oggi, ma da quando fu costruito dai tre imperatori della famiglia Flavia: Vespasiano, Tito e Domiziano tra il 72 e l 82 d.C. La sua costruzione fissò la tipologia edilizia dell’anfiteatro romano, che si mantenne costante in tutto l’Impero romano: alla fine del II secolo d.C. quasi ogni municipio, dalla Britannia all’Africa, aveva il suo Colosseo sul modello di quello della capitale. La vera novità rispetto all'architettura precedente fu la cavea posta al di sotto dell’arena, con grandi spazi destinati al movimento del pubblico, dei gladiatori e delle belve. La pianta dei colossei è sempre ovale basata sul triangolo di Pitagora con lati 3,4,5, con il quale si costruiva un ovale con 4 centri e quattro archi di cerchio. L’anfiteatro Flavio ha l’asse maggiore di 188 m., quello minore di 156 m, la circonferenza di 527 m. ed è alto 57. Poteva contenere fino a 87.000 spettatori, come attesta il Catalogo delle 14 Regioni di Roma e considerando che la popolazione della città ammontava a circa 800.000 abitanti, abbiamo che il 10% della città si ritrovava dentro il Colosseo ad assistere ai giochi gladiatori.
(foto di Claudio Lugi) |
Martirio di Sant’Ignazio di Antiochia |
Sembra che la grande idea di rinverdire i giochi gladiatori nel Colosseo venne ad un certo Lorenzo il Bavaro. Correva l’anno 1332, Roma era ancora senza il papato, trasferito ad Avignone, e la mancanza della corte aveva portato una gran noia tra i rampolli della nobiltà. L’idea fece quindi subito il giro della città, che a dir il vero era ridotta a circa 50.000 abitanti. Tra luglio ed agosto si raccolsero le adesioni tra i giovani delle casate più prestigiose: Ciccio Della Valle, Galeotto Malatesta, Caffarello Caffarelli, Mezzo Astalli, Agapito Colonna, Cencio Guidoni, Giovanni Marsi e un’altra trentina di giovani neo gladiatori, mentre altri furono scartati, sia perché di casato poco importante, sia per la scarsa fedeltà al papa, ma anche per la poca bellezza fisica dell’aspirante. Se i combattenti erano in esubero, scarseggiavano invece i leoni e le fiere da mandare nell'arena come ai tempi gloriosi. Si ripiegò quindi sui tori nostrani, di cui abbondava la campagna romana. Finalmente il 3 settembre dell’anno 1332, tutta la città prese posto nell'enorme anfiteatro Flavio, ancora in buono stato di conservazione, prima dei saccheggi ai quali sarà sottoposto nei secoli successivi, quando a sue spese si costruirà la città barocca. I gladiatori, vestiti in modo pittoresco come se fosse carnevale, fecero prima un bel giro dell’arena, fermandosi a rendere omaggio al palco creato per le patrizie romane, proprio dove una volta c’era il podio imperiale. Subito dopo tutti si schierarono al centro, pronti per la battaglia e la gloria; il Magistero alzò solennemente il braccio e la folla ammutolì. Squillarono le trombe e dai sotterranei si levò un forte muggito dei tori, stimolati ai fianchi dai servi con pungoli di metallo. Ecco la cronaca del combattimento: gli animali irrompono nell'arena, accecati dal sole e impauriti dalle grida del pubblico. Per qualche minuto i due gruppi di contendenti si guardano da lontano, finché uno dei giovani decide che è l’ora di conquistare l’alloro, e si fa avanti impavido verso le bestie. Purtroppo tanto valore sarà inutile perché nessuno aveva pensato che le spade, belle da mostrare al pubblico, non erano le armi più adatte all'occasione.
Molte si spezzarono, ma anche quelle che riuscirono a colpire le dure carni, non uccisero i tori, anzi li fecero ancor più inferocire. A farla breve anche quella volta il Colosseo si tinse di sangue, ma non fu quello delle bestie: ventri furono squarciati dalle corna, pezzi d’uomo volarono contro i fianchi dell’arena, perfino una testa mozzata arrivò tra gli spettatori inorriditi. Dopo neanche mezz'ora dall'inizio della corrida oltre la metà dei quaranta combattenti era a terra sanguinante mentre la folla assisteva inorridita e affascinata al contempo. Alla fine si contarono 18 morti e 9 feriti gravi. Per placare la folla si decise allora di abbattere tutti i tori e distribuirne le carni, causando però una nuova battaglia, stavolta sugli spalti.
(di Luigi Stanziani)
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