Il tempio di Venere e Roma

agosto 10, 2020

Foto Claudio Lugi

Oggi ne rimane ben poco, ma la grande pedana che potete vedere sulla sinistra dell’imbocco di via dei Fori Imperiali dal lato del Colosseo, è ciò che resta del tempio più grande di Roma. Un tempio, anzi due, progettati, sembra, dall'imperatore Adriano in persona.


Se per noi Adriano, ormai immancabilmente immaginato con il volto di Albertazzi, è considerato il grande imperatore filosofo, sappiate che le fonti antiche non ce lo presentano pacato e profondo come la Yourcenar nel suo "Memorie di Adriano". I Romani quell'imperatore, diventato tale, forse, per gli intrighi di Plotina, spagnolo ed effeminato, ellenizzato fino al midollo e per questo detto dispregiativamente “grecuzzo”, piagnucolante per la morte dell’amante Antinoo (ma lo avete visto? Come dargli torto?) 


che per giunta se ne stava sempre in giro per l’impero e, piuttosto che risiedere a Roma, si era fatto costruire una villa a Tivoli, non lo potevano proprio vedere. 


Sembra che fosse anche piuttosto vendicativo. Cassio Dione scrive, senza mezzi termini, che la sua invidia era “implacabile”, capace di rovinare e distruggere chiunque eccellesse in qualcosa. Tra le vittime di tanta gelosia e acrimonia vi fu Apollodoro di Damasco, il Michelangelo del II secolo d.C., mandato in esilio e poi a morte per uno screzio avvenuto alla corte di Traiano. Cassio Dione racconta, infatti, di come un giorno, mentre Traiano e il suo vulcanico architetto ragionavamo su progetti e opere pubbliche, il giovane Adriano si fosse intromesso e di come Apollodoro, infastidito, lo avesse zittito invitandolo perentoriamente a tornare alle sue “zucche”, visto che di quei discorsi non ne capiva nulla! Sembra un richiamo disneyano, ma Apollodoro aveva in realtà fatto un’acida allusione alla passione di Adriano per le cosiddette “volte a ombrello”, assai simili a zucche, ritenute ineleganti dall'architetto.


Adriano se la legò evidentemente al dito e divenuto a sua volta imperatore volle vendicarsi. Inviò allora ad Apollodoro il progetto del tempio di Venere e Roma, per sbattergli sotto il naso che lui di quelle cose se ne intendeva, eccome e che poteva ben fare a meno dei suoi servigi. Apollodoro non seppe incassare il colpo, anzi. Per ingenuità o vanità iniziò a snocciolare all'imperatore una serie di possibili migliorie da apportare al suo progetto e concluse l’elenco osservando che i calcoli sulle dimensioni del tempio erano errati, perché se le statue delle dee avessero potuto alzarsi, avrebbero sbattuto la loro divina testa contro il soffitto. Poco furbo? Di certo, tanto più che le critiche gliele mise per iscritto… Quando si dice firmare la propria condanna a morte. Con i suoi 14.500 mq. quello di Venere e Roma è il tempio più grande di Roma. Lo spazio in cui sorge era un tempo occupato dall'atrio della Domus Aurea di Nerone, che al posto del citofono aveva il colossale ritratto dell’imperatore.


Per spostarlo di pochi metri portandolo accanto all'anfiteatro (dove oggi sorge un’aiuola ornata di cipressi) e far posto al tempio, fu necessario un tiro composto da ben 24 elefanti. I resti del podio che si possono vedere oggi risalgono a un restyling voluto da Massenzio, che aggiunse ai due templi delle absidi speculari, una visibile, l’altra ubicata all'interno del convento di Santa Francesca Romana (quella dedicata a Roma). 

Le absidi erano decorate da volte cassettonate stuccate, studiate anche dal Palladio. Il tempio iniziò ad essere spogliato dei suoi marmi e delle sue decorazioni a partire almeno dal VII secolo, quando sappiamo che l’imperatore Eraclio donò a papa Onorio le tegole di ottone della copertura del tetto per decorare San Pietro. Colpo definitivo fu poi inferto dalla natura, con un terremoto nel IX secolo. Le poche colonne conservate sono state oggetto di anastilosi (sono state cioè rialzate a partire dall'Ottocento, la presenza di quelle mancanti è oggi suggerita da siepi di bosso).




(Flavia Calisti - Alla scoperta dei segreti perduti di Roma)

You Might Also Like

0 commenti

POST POPOLARI