La Cappella Chigi in Santa Maria del Popolo

gennaio 09, 2022


Entrare nella chiesa di Santa Maria del Popolo è come entrare in un museo senza pagare il biglietto. È un vero e proprio scrigno di opere d’arte e solo in una città come Roma, questo è possibile in molte delle sue chiese.


In particolare, però, voglio parlarvi di una cappella all’interno di questa chiesa e non, come forse penserete, della famosissima cappella Cerasi, custode di ben due capolavori del Caravaggio, ma dell’altrettanto famosa Cappella Chigi. È la seconda che si trova percorrendo la navata sinistra.


In questa cappella si trovavano le sepolture di due Borgia: Juan di Candia, secondogenito di Alessandro VI e quella di sua madre, Vannozza Cattanei. Ma il banchiere Agostino Chigi voleva proprio questa come sede per la propria cappella di famiglia e come tomba per accogliere le sue spoglie e quelle del fratello Sigismondo, così, allora come oggi, il denaro risolse ben presto ogni intralcio e le due scomode deposizioni di madre e figlio furono smantellate. A tutto questo si aggiunga anche il fatto che il banchiere godeva anche dell’appoggio di papa Giulio II, acerrimo nemico di quegl’intriganti dei Borgia. Per mostrare tutta la ricchezza e il potere familiare chiamò il suo artista preferito, Raffaello, che per lui lavorava anche nella villa Farnesina alla Lungara.


Egli disegnò l’architettura della cappella a forma cubica sormontata da una cupola emisferica che poggia su un tamburo dal quale entra la luce attraverso otto finestre. Ma Raffaello morì giovanissimo, e alla sua morte, che seguì di soli cinque giorni quella del ricco banchiere, la cappella era incompleta. Fortunatamente, grazie ai disegni, fu possibile continuare i lavori, che vennero eseguiti rispettando alla lettera i cartoni dello stesso Raffaello, da Luigi De Pace.


L’interesse astrologico di Agostino Chigi per l’astrologia è il filo conduttore di questi disegni, che rappresentano le immagini di Dio Creatore del firmamento, con intorno i simboli del Sole e dei sette pianeti; tre le belle figure di angeli in movimento, spicca sulla sommità il tondo con Dio Padre in prospettiva, che sembra nell’atto di sporgersi come se accogliesse sia chi entra nella cappella, sia chi vi è stato deposto per l’eternità.


L’unico figlio di Agostino, Lorenzo Leone, proseguì con i lavori della cappella, ma solo grazie al fatto che il previdente padre aveva predisposto un lascito testamentario, destinato unicamente al proseguimento dell’opera. Il padre, infatti, non si fidava molto di quel figlio spendaccione e buono a nulla, come si confermò, in effetti, quando, nel giro di pochissimi anni, riuscì a dilapidare le ingenti ricchezze di famiglia, riuscendo addirittura a far chiudere, nel 1528, la rinomata banca Chigi. L’unica cosa buona che fece fu quella di chiamare Francesco Salviati, l’artista più talentuoso di quel tempo, a terminare l’opera pittorica della cappella.


Fu suo il compito di terminare la pala d’altare con la Nascita della Vergine, non finita da Sebastiano Del Piombo e di dipingere alcune scene del libro della Genesi dell’Antico Testamento intorno al tamburo della cupola. Oltre però non si riuscì ad andare: le casse erano definitivamente in bolletta. Passò del tempo prima che le sorti della famiglia si risollevassero, e anche le sue finanze, e questo fu possibile grazie all’elezione al soglio pontificio di un cardinale senese, Fabio Chigi, che prese il nome di Alessandro VII, il papa che lasciò un segno profondo nella Roma barocca, grazie anche all’artista che in quegli anni progettò il colonnato di San Pietro, sistemò diverse piazze come quella del Pantheon e della Minerva, e che fu chiamato per completare i lavori nella cappella: Gian Lorenzo Bernini.


Le tombe dei due fratelli Chigi, a forma piramidale, erano state disegnate da Raffaello, ma il Bernini vi aggiunse i due splendidi medaglioni marmorei ovali con i ritratti di Agostino e Sigismondo. Poi si occupò della realizzazione di due statue: tra il 1655 e il 1657, scolpì “Daniele nella fossa dei leoni” e nel 1661, terminò il capolavoro di "Abacuc e l’Angelo".


Disegnò, inoltre, nel punto centrale del pavimento, un mosaico raffigurante uno scheletro, simbolo della morte, che porta verso il cielo lo stemma dei Chigi, come a voler simboleggiare la “risurrezione” del casato.


Una scritta “Mors aD CaeLos” è volutamente indicata con alcune lettere scritte in maiuscolo. Quelle lettere MDCL indicano la data della sua realizzazione, ovvero 1650.


Altre due statue decorano la cappella: la prima, del Lorenzetto, è “Giona che esce dalla balena”, anche questa su disegno di Raffaello, l’altra, è Elia, iniziata dal Lorenzetto, ma terminata, dopo la sua morte, da Raffaello da Montelupo nel 1540.




(Gabriella Serio – I tesori nascosti di Roma)
(Bellezzeromane.com)

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