La Chiesa più laica di Roma

maggio 04, 2020


Abbiamo già parlato della Scala Santa, la preziosa reliquia portata a Roma da Sant'Elena che conduce al luogo più santo del mondo, il Sancta Sanctorum. A Roma, però, c’è un’altra “scala santa” che conduce nella chiesa più “laica” della città: Santa Maria in Aracoeli. La chiesa più “laica” nella città dei papi? Pensate sia un nonsense? A Roma ciò che apparentemente non ha senso in realtà nasconde molteplici significati e altrettante storie, generalmente strane: Santa Maria in Aracoeli non fa eccezione. I misteri del luogo iniziano dal suo toponimo e da questo comincia anche la sua storia che ci trascina direttamente nell'antica Roma. All'origine dell'Aracoeli ci sarebbe l’arx, l’arx capitolina per l’esattezza, uno dei punti più alti dell’Urbe antica, una rocca fortificata sulla quale sorgevano i templi più sacri, quello di Giove capitolino e quello Giunone Moneta (moneta in latino stava per “ammonitrice” in riferimento alla leggenda delle “oche-antifurto” del Campidoglio che avevano sventato un attacco nemico. In seguito, la parola è divenuta sinonimo di denaro perché accanto al tempio sorgeva la Zecca).


Il termine latino arx fu poi volgarizzato in arce, “romanizzato” in àrceli, modificato in arcèli, rimaneggiato in araceli e infine latinizzato di nuovo in Aracoeli, come a voler dare un tocco di cultura. E anche di fascino, ma attenzione perché l’allusione alla volta celeste è puramente casuale, il cielo non c’entra niente e di conseguenza la traduzione letterale di Aracoeli con “altare del cielo” è fuorviante, anche se per raggiungere la chiesa si sale effettivamente verso il cielo, dopo una considerevole quantità di gradini. Di fatto, però, l’allusione a un “altare del cielo” ha un fondo di verità, o meglio, di leggenda. Una leggenda che ci porta nuovamente nell'antica Roma. Si racconta che l’imperatore Augusto, dopo aver visto in cielo la Vergine con il Bambino in braccio, decise di consacrarle un altare proprio qui, sul luogo dell’apparizione, persuaso dell’imminente arrivo del Salvatore. Incredibile: stando alla leggenda, non contento del primato di primo imperatore, Augusto sarebbe stato anche il primo imperatore convertito, addirittura prima della nascita di Cristo. La storia della visione di Augusto compariva come notizia certa nelle guide turistiche medievali, i Mirabilia Urbis, dove i turisti più curiosi erano invitati ad arrampicarsi sulla rocca (le scale ancora non c’erano) per cercare all'interno della chiesa, come prova tangibile della leggenda, il fantomatico altare eretto dall'imperatore e una colonna con l’incisione A Cubiculm Augustorum.


Le ventidue colonne, undici per lato, che delimitano la navata centrale, sono costituite da materiale di spoglio e quella con la scritta verrebbe dalla camera da letto di Augusto, ovvero direttamente dal palazzo imperiale sul Palatino. Ora, come possa essere una prova della fantomatica apparizione rimane un mistero, come misterioso è il foro obliquo che attraversa la colonna, probabilmente utilizzato per osservare gli astri.


Ogni leggenda, in fondo, nasconde un po’ di verità: effettivamente Augusto costruì un altare sull'arx, l'Auguraculum: non era dedicato alla Vergine, ma aveva comunque a che fare con presagi, apparizioni e cielo, trattandosi di un luogo sacro dove gli aruspici predicevano il futuro interpretando il volo degli uccelli.


Santa Maria in Aracoeli ha mantenuto nel tempo la sua doppia anima cristiana e pagana, laica e religiosa. La sua costruzione risale al lontano VI secolo, ma è agli inizi del Trecento che ha assunto le forme romanico-gotiche che la contraddistinguono. Nel Medioevo la chiesa era usata come una sorta di “foro” dove si svolgevano le assemblee popolari, le elezioni dei Conservatori e le celebrazioni di eventi politici come il trionfo di Marcantonio Colonna nella battaglia di Lepanto nel 1571, ricordato con la realizzazione del soffitto ligneo della navata centrale.


Sconsacrata e trasformata in stalla alla fine del Settecento durante l’occupazione francese e la Repubblica, scampata a fatica ai lavori per la realizzazione del Vittoriano, quasi un secolo dopo, ancora oggi la chiesa mantiene un forte legame con il Comune, che vi celebra riti religiosi di carattere ufficiale. La sobria facciata in laterizio, spoglia dei mosaici e degli affreschi che la rivestivano in origine, è un sobrio fondale che non lascia presagire la vastità e l’imponenza dell’interno, la ricchezza degli arredi e il valore delle “chicche” di devozione popolare. Proprio alla devozione popolare si deve la ripida scalinata, costruita nel 1348 a spese del popolo romano, che per realizzarla fece una colletta di 5000 fiorini.


Alla sua inaugurazione presenziò anche Cola di Rienzo, sempre vicino ai bisogni del popolo, e per il popolo la scalinata dell'Aracoeli era davvero importante, una vera e propria “scala santa”. Non solo perché era nata come ex voto, un ringraziamento alla Vergine per aver salvato la città da una terribile peste, una delle tante, ma anche perché una serie di credenze la volevano miracolosa: la salivano in ginocchio le zitelle in cerca di marito, le mamme desiderose di avere figli o latte in abbondanza per nutrirli, ma soprattutto chi cercava un po’ di fortuna, intesa come pecunia. Salirla in ginocchio, di notte, recitando un’Ave Maria e un De Profundis ad ogni gradino, raccomandandosi ai re Magi e con gli occhi e le orecchie bene aperti a cogliere qualsiasi segno da trasformare in numero, procurava sicure vincite al lotto. Dall'Auguraculum di Augusto al Lotto, sempre di fortuna si parla. In caso voleste sfidare la dea bendata, l’impresa richiede un grande sforzo di devozione: gli scalini sono 124 e farli in ginocchio non è una passeggiata. Neanche salire a piedi è una passeggiata, ma la scarpinata val bene la visita alla chiesa. Colpiscono l’inaspettata maestosità dell’interno con le tre navate scandite da colonne, il coloratissimo pavimento cosmatesco, lo splendido soffitto ligneo e gli affreschi di Pinturicchio che raccontano la vita di San Bernardino da Siena, ma a parlarci ancora del ruolo della chiesa nella storia della città sono le sue preziose reliquie.


Ci raccontano di credenze, di leggende e di devozione popolare. Tutto è partito da Augusto e dalla sua visione della Vergine con il bambino e allora ecco che, sotto l’edicola che custodisce le reliquie di sant'Elena, visibile attraverso un vetro c’è un altare cosmatesco del Duecento appoggiato su un antico muro di epoca romana che si presume costruito sul luogo della mitica ara voluta dall'imperatore. Sul grande altare maggiore, un’immagine bizantina della Vergine dipinta nel VI secolo è ritenuta miracolosa e un tempo veniva portata in processione o recapitata a domicilio ai malati di un certo rango.


Ma il vero idolo delle folle, il più popolare di Santa Maria in Aracoeli è un bambino: il Santo Bambino. È una statuetta di legno, fatta con un legno speciale: olivo dell’orto dei Getsemani. Fu scolpita alla fine del Quattrocento da un frate francescano e poi si dipinse da sé, per miracolo. E per ottenere miracoli e grazie ci si rivolge, ancora oggi, al Santo Bambino: se le sue labbra si colorano di rosso c’è speranza, se restano pallide… Per i suoi poteri taumaturgici di guaritore, la piccola statua divenne subito un idolo popolare ricoprendosi di gioielli preziosi donati come ex voto per le grazie ricevute. Avvolto in una veste dorata sfoggiava una parure di smeraldi, zaffiri, diamanti, topazi e altri ornamenti di cui si appropriarono i francesi quando la chiesa fu ridotta a stalla.


Ma in seguito il Santo Bambino ha continuato a fare miracoli e la gente a ricoprirlo d’oro, quindi c’è voluto poco perché si rifacesse il corredo. Proprio per i suoi ricchi bijoux, però ha sempre fatto gola ai ladri: è stato più volte rubato, ritrovato, rubato di nuovo, prima di scomparire e ricomparire in una chiesa di Cori dove sembra sia custodito l’originale mentre nell'Aracoeli sarebbe rimasto un sosia, o forse no. Poco importa perché il bambinello continua ad essere un idolo, tempestato non più di diamanti e gioielli, ma di letterine scritte dai bambini e dai grandi di tutto il mondo. Ogni Natale lascia la teca di vetro e la sua cappellina per diventare il protagonista del bel presepe allestito nella chiesa secondo un’usanza antica.


Alla fine dell’Ottocento Giggi Zanazzo diceva che quello di Santa Maria in Aracoeli era “er più mejo presepe che se vedesse a Roma”. Sicuramente era il più amato. Il Santo Bambino rimane il referente di fiducia per chi a Natale desideri un miracolo più che un regalo. In fondo possiamo anche provare a crederci visto che le leggende hanno sempre un fondo di verità. E poi lo abbiamo detto che Santa Maria in Aracoeli è un luogo strano: è la chiesa più “laica” della città, nata sul luogo più sacro della Roma pagana, a cui si accede tramite una “scala santa”, che santa non è, ma è stata santificata dalla devozione popolare. Allora qui davvero tutto è possibile!

(Giulia Fiore Coltellacci - I luoghi e le storie più strane di Roma)

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