L'Elefante Annone

marzo 27, 2020


Pirro e Annibale sono passati alla storia anche per avere terrorizzato il valoroso esercito romano con il loro elefanti da guerra. Ma solo un elefante è riuscito a conquistare Roma e lo ha fatto con le sue pacifiche e potenti armi di seduzione. Il suo nome è Annone e se non è passato alla storia forse, è per lo sciocco imbarazzo di ammettere che c’è stato un momento in cui tutti i romani, ma proprio tutti, furono soggiogati dal fascino gentile di un pachiderma, letteralmente schiavi della sua simpatia. Annone non era un elefante come tutti gli altri. Tanto per cominciare era bianco, una varietà rarissima, e quindi ancora più speciale. Era approdato sulle coste italiane insieme a un vascello carico di animali esotici e doni preziosi provenienti dalle colonie che il re del Portogallo Emanuele I aveva inviato a papa Leone X per onorarne l’elezione al soglio pontificio. L’arrivo dell’elefantino a Roma, nel marzo del 1514, fu un evento memorabile, la città lo accolse come un ospite di prim'ordine: era dai tempi dell’impero che non si vedeva un pachiderma, bianco per giunta. Proprio l’idea di ristabilire un legame con la potenza dell’Urbe imperiale fece apprezzare al pontefice l’eccentrico regalo, simbolo della rinnovata grandezza della Roma dei papi. Annone si presentò come una star: scortato dal suo “personal trainer” indiano, l’addestratore, e da un “bodyguard” saraceno, sfilò davanti alla folla ammirata vestito elegantemente. Indossava una gualdrappa rossa ricamata di perle, impreziosita da fibbie d’oro e con tanto di nome scritto in argento, sfoggiando sul dorso un forziere in argento a forma di castello pieno zeppo di doni per il papa e la sua corte. Pappagalli colorati, pavoni, scimmiette addomesticate, leopardi, una pantera nera e altri animali esotici completavano l’inusuale corteo. L’elefante si fece apprezzare subito per la naturale simpatia, l’intelligenza e il “sense of humour”, una prerogativa che incontrò il favore dei romani. Le cronache raccontano che, arrivato sotto la finestra del papa, addestrato alla perfezione, danzò, emise un barrivo e fece tre inchini prima di spruzzare acqua dalla proboscide, schizzando i presenti, anche il Santo Padre. Bastò questo per conquistare tutti, compreso Leone X che si affezionò all'istante.


Decise di chiamarlo Annone, come il condottiero cartaginese dell’esercito di Annibale e di accoglierlo nella sua corte con tutti i riguardi: allestì una comodo e lussuosa stalla in Vaticano, al Belvedere per la precisione, in modo che ogni domenica i romani potessero salutare il loro beniamino, poi stabilì che una cifra del bilancio fosse utilizzata per il suo mantenimento, circa duecento ducati all'anno e mise a sua disposizione una squadra di “elephant sitter” d’eccezione, artisti di prim'ordine come Raffaello e il sua grande amico e committente Giovan Battista Branconio, influente personaggio della corte papale definito da Pietro Aretino addirittura il “pedagogo di Annone. Sembra che Branconio avesse chiesto a Raffaello di realizzare un ritratto dell’elefante per rallegrare gli appartamenti del papa, aggiungendovi un’iscrizione di suo pugno in latino che celebrava Annone e Leone. La prova dell’affetto nutrito da Branconio per il piccolo pachidermaè riconfermata dal ciclo di affreschi della cappella Branconio nella chiesa di San Silvestro a L’Aquila dove è raffigurato il piccolo pachiderma bianco. Anche Aretino si occupò del prezioso ospite che ispirò la sua commedia satirica Le ultime volontà e testamento di Annone, elefante, in cui il poeta prende di mira i vizi delle gerarchie vaticane senza risparmiare nessuno. Nessuno si sentiva svilito all’idea di essere alle dipendenze di un pachiderma, anzi era considerato un privilegio riservato ai preferiti dal papa. E poi era impossibile resistere ad Annone: sembrava quasi dotato di intelligenza dicevano i contemporanei e con i suoi scherzi e le sue buffonate vivacizzava la frivola vita della corte papale, di cui era la mascotte. Tra i suoi tanti scherzi, uno dei più divertenti resta la resa in giro con cui “punì” il poeta Giacomo Baraballo, all'epoca piuttosto famoso, il giorno della sua incoronazione poetica in Campidoglio. La cerimonia prevedeva che Annone scortasse il poeta durante il tragitto, ma dato che Baraballo non brillava di simpatia, per dispetto qualcuno gli suggerì di montare l’elefante senza specificare il dettaglio fondamentale che non era abituato a essere cavalcato. Il poeta, famoso per la presunzione oltre che per il suo lavoro, si vantò di poter recitare versi degni di Petrarca, a cavallo dell’elefante albino. Ma lungo il percorso, all'altezza di Castel Sant'Angelo, forse anche spaventato dai tamburi, Annone lo scaricò con una scrollata di groppa. La folla non riuscì a trattenere le risate né gli sbeffeggiamenti, trasformando il corteo in una buffonata e riconfermando Annone il cocco dei romani, anzi meglio: era uno di loro, affine per umorismo e gusto per gli scherzi. Tanto per la cronaca, l’evento è stato immortalato dal famoso intagliatore Giovanni da Verona su un battente della porta della Stanza della Segnatura in Vaticano. La dolcissima vicenda di Annone, però, ha un finale piuttosto triste: poco dopo il suo arrivo l’elefante si ammalò, forse di cuore e le sue condizioni furono aggravate dal clima umido e malsano del Vaticano che d’estate diventata mefitico. I medici di corte le tentarono tutte ma a nulla servirono le loro cure, neanche le più stravaganti come i preparati a base di polvere d’oro che forse furono più letali della malattia stessa. Affaticato dal lungo viaggio che dall'isola di Ceylon l’aveva portato a Roma, aggravato dal clima e dalla mondana vita da divo, dopo soli due anni Annone morì lasciando un vuoto nel cuore di tutti. Fu sepolto nel cortile del Belvedere, forse omaggiato con una lapide incisa da Raffaello di cui si sono perse le tracce. Nel 1962, durante i lavori nei Giardini del Belvedere, alcuni operai trovarono delle ossa appartenenti a un animale. Inizialmente si pensò addirittura a un dinosauro, ma quando ci si rese conto che erano antiche ma non fossilizzate e che appartenevano a un elefante, l’interesse svanì e la faccenda venne archiviata finché negli anni Ottanta, uno studioso americano, incuriosito dal suo ritrovamento, approfondì la faccenda e apì che si trattava degli amabili resti di Annone. Le tracce del suo passaggio nella Città Eterna non sono da rintracciare solo nelle cronache dei contemporanei ma anche in giro per Roma, basta solo sapere dove cercare. A parte il battente destro della porta della Stanza della Segnatura in Vaticano, di Giovanni da Verona, un ritratto di Annone spunta anche sulla lunetta di una delle porte delle mura Vaticane, mentre al numero 35 di via delle Coppelle, la sua sagoma compare nel fregio del portico di Palazzo Baldassini.


Immortalato mentre spruzza acqua dalla proboscide, l’animale gentile è il protagonista della Fontana dell’Elefante del giardino di Villa Madama, realizzata da Giovanni da Udine, sempre su un disegno perduto di Raffaello che doveva essere lo schizzo preparatorio per un grande affresco con Annone protagonista, da realizzare nelle stanze del papa.


Sembra che proprio una copia di questo disegno fosse stata inviata anche alla corte di Isabella d’Este, la quale, perduta da poco la sua cagnolina, si era appassionata alla dolce e triste storia di Annone. Fu così che la sua fama varcò i confini di Roma: ritroviamo il nostro amico tra i Mostri di Bomarzo


e perfino a Mantova, dove Giulio Romano lo ha immortalato negli stucchi di Palazzo Te. In realtà è rimasta anche un’altra traccia del passaggio dell’elefante bianco, un ricordo perfettamente in linea con il suo senso dell’umorismo: si tratta del vecchio modo di dire “Fare il portoghese” con cui si definisce chi consuma a sbafo. In segno di riconoscenza per il prezioso e apprezzato regalo, il papa volle che l’ambasciatore portoghese e il suo entourage fossero suoi ospiti: ovunque si recassero – osterie, teatri, alberghi – potevano lasciare in conto, ci avrebbe pensato lui a saldare. Non appena si diffuse la notizia del privilegio speciale, molti romani pensarono di approfittarne mangiando e bevendo a sbafo. Al momento di pagare, con improbabile accento straniero, dichiaravano di essere portoghesi. Quando il papa visionò la lista dei debiti capì subito che la delegazione portoghese non poteva aver speso così tanto. Leone X non gradì lo scherzo e furioso per la beffa oltre che per il danno, revocò il privilegio di “fare il portoghese”. A tutti, in eterno.

(Giulia Fiore Coltellacci – I luoghi e le storie più strane di Roma)

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