Ettore Roesler Franz e la sua Roma Sparita

aprile 22, 2020


C’era una volta una Roma a dimensione umana, quotidiana, nella quale osterie, botteghe e farmacie erano note una per una ai suoi abitanti. Dove le giornate, molto più lunghe di oggi, si trascorrevano prevalentemente per strada o sulle rive del Tevere, nei quartieri e nei vicoli animati dal vociare del popolo e dal crepitio degli zoccoli di asini e cavalli sui mitici sampietrini.


Era la Roma dei vaccinari, degli acquaioli e dei vascellari; e ancora dei fiumaroli, dei renaioli e dei tintori. Vecchi saperi e abilità popolari legate profondamente all'acqua, perché ancora il Tevere era padrone della scena e rivestiva un ruolo fondamentale nella vita e nell'economia della città. Non stiamo parlando di chissà quanto tempo fa, ma solo della fine dell’Ottocento, immediatamente prima che il volto dell’Urbe cambiasse radicalmente con le grandi ristrutturazioni urbanistiche seguite alla proclamazione a capitale d’Italia.


E fortunatamente il caso volle che ci fosse all'epoca un meticoloso cronista, un “poeta cromatico”, il quale, testimone dell’irreversibile processo di modernizzazione in atto, sentì la necessità di conservare memoria di quel mondo semplice e a lui caro che andava scomparendo. Si chiamava Ettore Roesler Franz e, se si escludono il nome e i materiali per dipingere, comprati rigorosamente in Gran Bretagna, era un “romano de Roma” al cento per cento (la sua famiglia, di origine tedesca, vi si era trapiantata all'inizio del Settecento e vi aveva fondato il celebre hotel d'Allemagne, a due passi da piazza di Spagna, che ospitò, fra gli altri, Stendhal, Luciano Bonaparte, Wagner, Winckelmann e Goethe). A partire dal 1878 e per una ventina di anni, si aggirò, quindi, per la città con tele, pennelli e cavalletti, rivolgendo la sua attenzione alle zone maggiormente interessate dalle trasformazioni e più esposte al pericolo di demolizione. Il risultato di tanto peregrinare fu una serie straordinaria di acquerelli, unica e preziosa testimonianza a colori di una Roma che non c’è più.


E oggi è proprio grazie al Franz se è ancora possibile immergersi per qualche istante nella semplicità, nell'umiltà e anche nella povertà della vecchia città. Consapevole di quello che stava facendo, chiamò la sua raccolta “Roma Pittoresca. Memoria di un’era che passa”, meglio conosciuta come Roma Sparita, composta di circa centoventi acquerelli oggi conservati nel museo di Roma in Trastevere in piazza Sant'Egidio.


È in questo luogo che bisogna andare se si vuole avere facilmente un’idea di come doveva apparire, per esempio, il vecchio ghetto prima che fosse raso quasi tutto al suolo a colpi di piccone. Un quartiere sordido, incredibile e poverissimo, spesso inondato dal Tevere, ma allo stesso tempo animato da una comunità fiera e vitale.


Trastevere non ha poi perduto gran che del suo aspetto anteriore se si esclude, ovviamente, l’asse umbertino di viale del Re (ora viale Trastevere) che ha spaccato in due, da nord a sud, l’intero rione. L’atmosfera che si respira è ancora quella schietta e sincera degli acquerelli di Roesler Franz che neanche il folclore artefatto e le schiere di turisti con fotocamera sono riusciti a scalfire.


Quant'è cambiata, invece, l’area attorno a piazza Barberini, che il pittore vedeva sterrata e fangosa, o la pianura attorno a Castel Sant'Angelo: una grande oasi di pace, di verde e di tranquilli orti, i cosiddetti Prati di Castello, in seguito inghiottiti dal cemento del rione Prati.


E pensare che al posto della caotica piazza Risorgimento si trovava un paesaggio agreste e un’antica porta di cinta leonina, l’Angelica, dove, secondo Chateaubriand, soltanto lì era possibile udire il canto dell’usignolo.


La trasformazione più profonda, però l’ha subita senz'altro il Tevere, con la costruzione dei muraglioni, che nelle “istantanee” del Franz appare come festoso e immenso cortile. Dove non c’erano le case a specchiarsi nelle acque, si aprivano terrazzamenti adorni di vasi fioriti, pergolari di osterie e boschetti di alberi.


Il porto di Ripetta e Ripa Grande ancora accoglievano i tanti navigli, barche e zatteroni carichi di olio sabino, di grano, di legname, di mattoni di frutta e di vino. Tutto questo e molto di più era la Roma di ieri, peccato che sia sparita.



(Gabriella Serio - Curiosità e segreti di Roma)

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