Ghetto: strade caratteristiche

marzo 30, 2021

La via più caratteristica di tutto il Quartiere Ebraico è senza dubbio via della Reginella, che collega via del Portico d’Ottavia a Piazza Mattei. Rappresenta, probabilmente la testimonianza più reale della ristrettezza, dell’angustia, dell’oscurità dell’antico Ghetto, all’interno del quale erano costretti a vivere un numero enorme di persone. Inizialmente estranea al Ghetto, venne inclusa al suo interno ai primi dell’Ottocento, quando papa Leone XIII ampliò ulteriormente l’area, inglobando il nuovo braccio tra via della Reginella e via di S. Ambrogio fino a piazza Mattei: furono aggiunti altri tre "portoni": quello "della Reginella", di un altro tratto di "Pescheria" ed il portone grande di "piazza Giudia". Lungo la via notiamo la cornice marmorea di un antico portale, oggi murato: era l’entrata principale della parte più antica di palazzo Costaguti, che per liberare l’edificio dalle costrizioni che attanagliavano il Ghetto, fu spostata in piazza Mattei dove si trova tutt’ora.
Il portone murato in via della Reginella e l'attuale portone in piazza Mattei
Per quanto riguarda l'origine del toponimo "Reginella" ci sono due diverse opinioni: per alcuni riprenderebbe il nome dall’antico “tempio di Giunone Regina” (che sorgeva nell’area tra il Portico di Ottavia e via della Tribuna di Campitelli); per altri, invece, si riferisce all’usanza di eleggere la più bella del rione, che veniva appunto chiamata Reginella. In questa strada, al civico 2, ha vissuto per molti anni una donna di nome Settimia Spizzichino, deportata ad Auschwitz durante il rastrellamento del Ghetto del 16 Ottobre del 1943, insieme ad altri 1022, e unica donna a tornare viva insieme ad altre 15 persone.


Un’altra via in cui si può cogliere la natura popolare superstite di questo quartiere è via di Sant’Angelo in Pescheria, dove passeggiare vale più di mille stampe d’epoca, più di mille acquerelli di Roesler Franz (che ha avuto comunque il grande merito di averci tramandato la zona com’era prima dell’avvento dei muraglioni), per cogliere il fascino del Ghetto, che per quanto possa sembrare strano, stava proprio nell’intrico dei suoi vicoli.


Alle spalle del portico d’Ottavia, una deliziosa piazzetta dove, in un gioco di scalette e mattoni che sembrano un’escrescenza di quelle antiche colonne, una casetta incantevole si affaccia proprio nel punto in cui via di Sant’Angelo in Pescheria inizia la sua fuga verso via dei Funari.


La casetta non è soltanto bellissima, con le piante che adornano il balconcino e le finestre che affacciano su di un nobilissimo panorama di rovine, ma è anche una delle poche cose rimaste intatte dopo l’abbattimento del Ghetto. E a dircelo è proprio uno degli acquerelli di Ettore Roesler Franz che nell’Ottocento ne immortalò l’aria graziosa all’interno della sua collezione dedicata alla Roma Sparita.


Al di là della casetta, la strada comincia a distendersi ma senza mai diventare rettifilo. Oggi quelle dolci curve hanno lo scopo di permetterci di notare ogni piccolo dettaglio: un portone di legno, un’insegna sbiadita o una finestrella improvvisa, ma un tempo fare le strade così sinuose era uno stratagemma infallibile per bloccare la forza dei venti invernali che altrimenti si sarebbero infilati nei vicoli più stretti e più lunghi acquistando sempre maggior potenza e maggior velocità, gelando le case sghimbesce degli ebrei di Roma.


(101 cose da fare a Roma almeno una volta nella vita)
(romasegreta.it)

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