Il Ripensamento dello scalpellino

luglio 26, 2021

In piazza del Quirinale, un tempo detta di Monte Cavallo, dove si affaccia l’ingresso del Quirinale, ma anche quello del palazzo della Consulta, è sistemata la composita fontana dei Dioscuri. È un monumento imponente costituito dai due colossi che conducono alle briglie due cavalli rampanti, divisi da un solido basamento che sorregge un obelisco liscio sormontato da un globo con una croce sulla sommità. La composizione è completata alla base da una grandissima vasca marmorea di circonferenza cospicua, che raccoglie l’acqua riversata da una coppa superiore traboccante di più modesto diametro che poggia su un pilastro centrale. L’opera, eterogenea nelle singole componenti e pervenuta a noi dopo sofferte vicende, merita la nostra attenzione per tanti piccoli particolari che molto intrigano.


Spicca dunque, nel curioso agglomerato, l’obelisco che separa Castore e Polluce, tratto dalla sua prima sede romana dove adornava il mausoleo di Augusto a Campo Marzio, con l’altro obelisco gemello, ora sistemato in piazza Esquilino. Alla base dei Dioscuri, una scritta mendace ci dice essere opera di Fidia, l’una, e di Prassitele, l’altra. Ma si tratta di copie romane del secondo e terzo secolo di originali greci del V secolo a.C. Sul retro del basamento centrale una scritta riporta la storia dell’obelisco. Una curiosa “tessera” in marmo aggiunta dopo il completamento dell’iscrizione contiene una correzione, come se l’autore avesse voluto emendarsi. Insomma, l’autore della lapide ha brutalmente “sbianchettato”, ma, ahimè, è ben visibile uno “svirgolato” della vecchia scritta, probabilmente una “Q” in origine. La modifica apportata potrebbe essere stata suggerita dalla volontà di mitigare, in qualche modo, l’eccessiva compiacenza della scritta originale verso il papa, potente committente della nuova sistemazione monumentale.


Dice dunque la scritta, della quale facciamo una liberissima traduzione:

ME (obelisco) UNA VOLTA TRATTO DALLE CAVE D’EGITTO E CHE LA POTENZA ROMANA AVEVA TRASPORTATO PER LE VIE DEL MARE AL FINE DI ESSERE COLLOCATO COME AMMIREVOLE MONUMENTO DEL SEPOLCRO DI AUGUSTO LA’ DOVE IL FIUME TEVERE ATTRAVERSAVA IL SACRO BOSCO DEI CESARI Già ROVESCIATO E INFRANTO, IL TRASCORRERE LOGORANTE DEL TEMPO INVANO TENTO’ DI NASCONDERE SOTTO UN CUMULO DI ROVINE INFATTI IL PONTEFICE PIO MI RIPORTA ALLA LUCE E MI ORDINA DI SALIRE SULLA VETTA DEL COLLE QUIRINALE DOVE TRA LE DUE STATUE DI ALESSANDRO DAR0’ IL MASSIMO SEGNO DI TESTIMONIANZA ALLE GRANDI GLORIE DI PIO SESTO.

Si dice che l’ultima riga recasse la ben più esagerata affermazione TESTABOR QUANTO SIT MINOR ILLE. Cioè, “STARO’ LI’ AD ATTESTARE QUANTO ALESSANDRO SIA INFERIORE A LUI, PIO VI”. Verità o leggenda, il ripensamento dello scalpellino c’è tutto.



(Rinaldo Gennari - Stravaganze Romane)

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