Il Vicus Sceleratus

ottobre 28, 2020


Non è vero, ma ci credo: difficile resistere al fascino delle leggende, soprattutto se riguardano luoghi intrisi di misteriosa malìa. È il caso del seducente, minacciosamente romantico edificio lungo via Cavour, semicoperto di rampicanti, decorato da un balconcino e attraversato da una ripida scalinata che sparisce ingoiata da un arco buio: è noto come il “palazzetto dei Borgia”. La cosa strana è che, presumibilmente, non fu mai una proprietà della famiglia Borgia, né di Vannozza Cattanei, l’amante ufficiale di papa Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia, e madre dei suoi figli Cesare, Lucrezia, Giovanni e Goffredo. Nessun Borgia avrebbe mai abitato qui. La toponomastica non aiuta la veridicità storica, visto che il breve tratto di strada che da via Leonina porta a via Cavour si chiama Salita dei Borgia. 


La cosa divertente, poi, è che nel sedicente palazzetto Borgia, soggiornò Giulio II che odiava a tal punto Alessandro VI da rifiutarsi di occupare gli appartamenti in Vaticano dove l’acerrimo nemico, che l’aveva preceduto, aveva gozzovigliato, affidando a Raffaello la decorazione dei nuovi ambienti da lui scelti. Ironia della sorte, per raggiungere da via Cavour San Pietro in Vincoli, la chiesa del monumentale sepolcro del papa guerriero, c’è un unico modo: percorrere Via San Francesco da Paola, ovvero la ripida scalinata dove affaccia il palazzetto in questione. 


Deve essere stato il fascino misterioso che circonda questo luogo ad averlo reso nell’immaginario popolare la location ideale per le sanguinose, sanguinarie e intricate vicende della famiglia Borgia. Non si fatica a immaginare che dal portale a sesto acuto che si apre a metà della salita, la notte del 14 giugno 1497 possa essere uscito Giovanni, per non tornare più: sparito nel nulla, probabilmente fatto sparire dal fratello Cesare, il temibile Valentino. Proprio da una botola posta sotto il balcone, invece, la famigerata Lucrezia avrebbe fatto scivolare i suoi amanti, dopo averli posseduti e uccisi. Lord Byron, romantico per antonomasia, si figurava la dark lady del Rinascimento, affacciarsi a quel balcone in preda alle passioni. L’immagine è plausibile, la finzione credibile, peccato che fisicamente impossibile, visto che quando il balcone con relativa finestra ad arco fu costruito, nel 1520, dai veri proprietari del palazzetto, i Margani, la bella Lucrezia aveva già lasciato Roma, per trasferirsi a Ferrara, dopo le nozze con Alfonso d’Este


Va detto che la fantasia popolare potrebbe anche essere stata influenzata dalla nomea del luogo, meglio noto con il toponimo di Vicus Sceleratus, proprio perché teatro di un efferato crimine di famiglia, uno scellerato fatto di sangue legato alla storia più remota dell’Urbe. Siamo ai tempi della monarchia, o meglio ai suoi sgoccioli. Siamo nel lontano VI secolo a.C. al tempo del sesto re di Roma, Servio Tullio, padre di due figlie, Tullia maior e Tullia minor. Non contenta di condividere con la sorella il nome, Tullia minor pretese di condividerne il marito, tradendo il legittimo consorte, tale Arunte, con il cognato Lucio Tarquinio. Tullia minor puntava ad maiora e con lei anche Lucio Tarquinio: l’obiettivo era usurpare il posto del padre e per ottenere lo scopo passò sul cadavere del padre, letteralmente. Diabolica orditrice di trame (in confronto Lucrezia Borgia è un agnellino, anche perché ancora ci si domanda se fu diabolica o diabolicamente usata come pedina), Tullia minor pianificò con Lucio un complotto per eliminare la sorella, il marito Arunte e infine Servio Tullio, operando una vera strage di famiglia. Secondo la ricostruzione dei fatti, Lucio Tarquinio provocò il re, spingendolo dalle scale e probabilmente uccidendolo. Quando Tullia, che abitava dove oggi si trova la chiesa di San Pietro in Vincoli, vide il cadavere del padre abbandonato in quella che da quel momento sarebbe diventato il vicus sceleratus, accecata dalla perfidia e dall’odio, lanciò il suo cocchio a tutta velocità, schiacciando sotto le ruote il corpo senza vita di Servio Tullio.

Lucio Tarquinio divenne il nuovo re di Roma, settimo e ultimo, e dal suo soprannome è facile dedurre che non fu molto amato. Tarquinio il Superbo fu troppo superbo per i quiriti, che non apprezzarono la tirannia con cui esercitò il potere. Lo odiarono a tal punto che non si limitarono a cacciarlo, ma misero direttamente la parola fine alla monarchia. Non volevano più consegnare Roma nelle mani di uno e preferirono che diventasse una res publica. Figlie che spappolano i padri sotto le ruote del proprio cocchio, fratelli che uccidono fratelli, non c’è che dire, la nomea del vicus è davvero scellerata. In conclusione, non si sa se l’atmosfera sinistra del luogo sia una conseguenza delle sanguinose vicende, o se proprio la sua atmosfera sinistra l’abbia reso il luogo perfetto per delitti perfetti. 


Fatevi una passeggiata all’ombra del palazzetto ricoperto d’edera fantasiosamente attribuito ai famigerati Borgia e fermatevi ad ammirare il romantico, perché è romantico, balconcino che ingentilisce la facciata 


per poi lasciarvi inghiottire dalla buia scalinata: leggende? Credenze? Invenzioni? Molto probabile, però qui vale quanto mai il detto: non è vero ma ci credo, perché il luogo rende tutto verosimile. E dato che siete arrivati in cima, non perdetevi la visita alla chiesa di San Pietro in Vincoli ed al suo straordinario capolavoro: il Mosè di Michelangelo.


(Giulia Fiore Coltellacci - I luoghi e le storie più strane di Roma)

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