Sepolture scomparse o vaganti

febbraio 12, 2021


Nella chiesa cosiddetta “delle frattaje”, ossia dei Santi Vincenzo e Anastasio, così chiamata in riferimento all'antica usanza di conservare le interiora dei papi in appositi vasi custoditi, ancora oggi, proprio nella cripta di questa chiesa che si trova di fronte alla celebre fontana di Trevi, erano conservate le spoglie del grande incisore e vedutista Bartolomeo Pinelli.


Alla sua morte avvenuta nel 1835, l’artista sarebbe stato imbalsamato (come un papa) e qui sepolto, dopo un funerale clandestino, senza monumento funebre, né alcuna lapide. Infatti, qualche settimana prima era stato interdetto da ogni funzione religiosa, funerale e sepoltura compresi, in quanto non aveva rispettato i rigidi precetti della Pasqua, nella fattispecie non aveva osservato il digiuno. Il suo nome, pertanto, era stato affisso sulla guglia di fronte alla chiesa di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, dove il governo pontificio esponeva i nomi dei trasgressori rei di non aver rispettato i precetti pasquali, e che per tale motivo veniva chiamata "colonna infame" (venne poi spezzata dall'urto di un carro e sostituita con il monumento attuale). 


Pinelli, personaggio singolare e fuori dagli schemi, con una certa ironia sarcastica non si era lamentato dell’umiliazione pubblica in sé, quanto del fatto che accanto al suo nome avessero scritto “miniatore” e non pittore o incisore. In realtà, quindi, non avrebbe avuto diritto al funerale, che pertanto si svolse in forma notturna e clandestina. Ma della sua sepoltura non c’è traccia nella chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio. Nel 1927 furono effettuate ricerche approfondite per ritrovare le spoglie del povero Pinelli, ma senza risultati: secondo alcuni, al termine delle esequie, la salma fu gettata in una fossa comune o nel Tevere, indegna di essere custodita accanto alle sante budella dei pontefici, considerando non solo la recente interdizione, ma anche le note posizioni anticlericali del “pittore de Trastevere”. L’Istituto di Studi Romani ha voluto comunque apporre una lapide a testimonianza di quello che rimane un mistero insoluto: chi si è liberato del corpo di Bartolomeo Pinelli? Perché? E che fine ha fatto?


Che sia tutta una burla, una di quelle che piacevano tanto all’eccentrico artista? I dubbi restano, come insoddisfatta resta la domanda posta da Belli nel sonetto “
La morte der zor Meo”, composto a pochi giorni dalla scomparsa dell’amico: “cosa ne dite? Se sarà ssarvato?”. La strana scomparsa dei resti dell’incisore trasteverino non è un caso isolato. Stessa sorte, anche se con modalità differenti, è toccata al povero Francesco Borromini che, tormentato in vita, sembra non aver trovato pace neanche da morto. Delusioni, tormenti, risentimenti e la forzata inattività degli ultimi anni lo avevano portato al suicidio: il 2 agosto del 1667 il genio inquieto del barocco romano decise di porre fine alla sua vita trafiggendosi con una spada.


Voleva essere sepolto a San Giovanni dei Fiorentini, accanto al grande architetto Carlo Maderno al quale era legato da un profondo sentimento d’affetto e riconoscenza. Nella chiesa all’inizio di via Giulia, per l’altro, l’artista aveva anche realizzato l’altare maggiore. Ovviamente seppellire un suicida in terra consacrata era uno strappo alla regola (anche se l'artista, morendo qualche giorno dopo, ebbe comunque modo di confessarsi)  e così il corpo di Borromini venne accolto, ma con molta discrezione, senza neanche una lapide. L’epigrafe che si trova sul pilastro della navata di sinistra è solo un tardivo omaggio che risale al 1955.


In realtà, non aveva neanche una tomba tutta sua, ma era ospitato in quella di Carlo Maderno. Dei resti di Borromini si sono perse le tracce: sembra che in origine lui e il suo compagno di loculo fossero sepolti nella cappella della Madonna, alla destra dell’altare maggiore, ma durante alcuni lavori per il restauro della pavimentazione, sarebbero stati spostati sulla sinistra dell’altare maggiore, sotto la cupola dove si trovano ancora oggi. O meglio, dove dovrebbero trovarsi, visto che qualcuno sostiene che durante il trasloco le ossa dei due artisti siano andate perdute. Ad ogni modo, solo nel 1994 è stata aggiunta, accanto a quella di Carlo Maderno, una lastra tombale con il nome di Borromini, che risposi in pace.


Quantomeno Borromini è stato spostato da una parte all’altra nella stessa chiesa, mentre qualcuno si è ritrovato da tutt’altra parte, in un’altra chiesa. È l’insolito destino di Vannozza Cattanei, cortigiana d’alto bordo, amante en titre di papa Alessandro VI Borgia e madre di quattro dei suoi figli. Vannozza morì nel 1518 e fu tumulata in pompa magna, come fosse un cardinale, a Santa Maria del Popolo, precisamente nella seconda cappella a sinistra. Con lei c’era anche il figlio Giovanni, assassinato nel 1497, presumibilmente, dal fratello Cesare. Essere sepolti a Santa Maria del Popolo era segno di grande prestigio e le cappelle erano molto ambite. La potente famiglia Chigi riuscì a impossessarsi di quella di Vannozza, trasformandola in un capolavoro, a cui lavorarono artisti di prim’ordine tra cui Raffaello e Bernini. Che fine hanno fatto Vannozza e Giovanni? Oggi la loro lapide è murata sulla parete destra dell’atrio della basilica di San Marco a piazza Venezia.


Come c’è arrivata? Una volta sfrattati dalla loro cappella, madre e figlio sono finiti indecorosamente negli scantinati di Santa Maria del Popolo, insieme ad altri materiali di scarto successivamente prelevati per realizzare i nuovi pavimenti di San Marco. La lapide, incastrata a rovescio, è stata ritrovata nel 1948 durante alcuni lavori di restauro della pavimentazione e in seguito murata dove ancora oggi la possiamo vedere.

(Giulia Fiore Coltellacci – I luoghi e le storie più strane)

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